Calabria 2017

Giorno 21

Alle 18.15 scendo dalla motonave e sono sullo stivale, nel continente.

Ora vero e proprio Appennino.

Aspetto Andrea, un ragazzo che mi deve dare due dritte e mi vuole conoscere. 10 minuti ed arriva. Spiego meglio cosa sto facendo e verso le 19 prendo a salire. Intanto il venticello si fa sentire. Non è proprio freddo, ma ancora ci sono temperature sotto la media. Non andrò molto lontano visto che presto sarà buio. Ma voglio uscire dalla città per passare la notte tranquillo.

Decido che devo fare almeno 5km.

Imbocco via Lia per un tratto è subito la segnaletica che mi porta a prendere un sentiero che sale da subito per guadagnare quota.

150m più in su del livello del mare il panorama si apre e sembra già di essere in un altro mondo. Reggio Calabria è lì sotto, il rumore si sente ancora, il vento soffia e sposta i fili d’erba più alti, qualche cactus qui è lì, ma io guardo oltre il mare. Cima Dinnammare, la riconosco dalle antenne. Poi gran parte dei Peloritani… Non lo noto subito, ma leggermente offuscato c’è pure l’Etna che ancora fuma. Salgo ancora mentre il sole tramonta. Il terreno è piuttosto sabbioso e no ho molta aderenza ed il passo si fa più lento. Passo a fianco ad un vecchio fortino, potrebbe essere un bel riparo ma non ho ancora fatto i 5km. Un pezzetto di strada e poi ancora sentiero. La traccia c’è ma non è sempre evidente. I segnavia ci sono e sembrano freschi. Continuo seguendo la traccia a terra e cerco di aiutarmi dai segnavia quando ho qualche dubbio.

Nonostante non sia molto in alto, il panorama è notevole. Verso il Montalto le nuvole sono piuttosto basse.

Ho un breve incontro con dei rovi, spero non sia una anticipazione di quello che mi aspetta più avanti.

Allo scoccare del quinto km trovo un posticino abbastanza riparato dal vento e decido di fermarmi per la notte. Le temperature sono più gradevoli, ma cosa dico? Decisamente più gradevoli!

Non mi faccio fregare però. Non ho fatto molti km oggi, ma la notte la temperatura scende e così entro nel sacco con la felpa ancora addosso. È abbastanza buio e guardando il cielo mi ricordo di un’altra cosa che facevo, ma da qualche giorno per via del meteo avevo lasciato in disparte. Guardare le stelle. Giove spicca davvero molto, perché molto più luminoso delle altre stelle.

Giorno 22

Il primo impatto è che le temperature sono decisamente più gradevoli anche se chiudo la felpa appena esco dal sacco a pelo. Il sole è sorto ed avrei voluto riposare ancora. È già ora di mettersi in marcia.
Alle 7 sono i piedi con lo zaino in spalla, ma l’applicazione Viewranger che utilizzo per le mappe ed i tracciati è davvero lenta oggi. Spengo e riaccendo il telefono sperando di migliorare e purtroppo non è così.

Nel frattempo continuo a camminare su una stradina che a tratti è sabbiosa. Salgo fino ad incontrare l’asfalto che seguo per un po’. Il sentiero devia a destra in una stradina, ma non c’è segnavia. Lo so perché la traccia che mi hanno passato ieri svolta proprio qui. 300 metri e mi trovo in difficoltà. Un quadrivio e nessuna indicazione. C’è un uomo che sta sistemando il campo e chiedo a lui indicazioni.

Le seguo, ma mi stanno mandando da tutt’altra parte. Recupero la traccia e non è precisa e mi manda tra le piante e un sacco di rovi che mi si aggrovigliano alle caviglie. Per terra ci sono segni di passaggio e penso che nel tempo il Sentiero non curato si sia chiuso, ma comunque gli animali lo utilizzano. Cerco a fatica un passaggio comodo e ad una trentina di metri più a Nord rispetto la traccia ufficiale trovo un passaggio più comodo e noto anche su un albero un segnavia.

Proseguo più facilmente e ritorno su asfalto. Sopra il paese di Arasì seguo le indicazioni che vanno dritte verso una giungla di rovi e non ho nessuna voglia di entrarci. Torno indietro dove avevo visto una stradina e riprovo, magari la traccia anche qui è falsata. Niente.

Un altra stradina più in su, nemmeno quella.

Percorro l’asfalto, ritorno al bivio dove ho seguito i segnavia e proseguo in direzione opposta rispetto a dove vengo, ma su comodo asfalto. Recupero il Sentiero perché trovo un segnavia sul guardrail. Non è messo bene nemmeno da questa parte.

50 metri più avanti ritorno su una strada sterrata, non ci sono segnavia, ma la traccia è ufficiale. Qui proseguo, ma sono i pascoli a tenere bene lo stretto passaggio. Ancora strada di campagna che è sbarrata da filo spinato, non c’è un cancello. Vedo una strada più bassa che potrebbe andare bene. Anche qui niente cancello e filo spinato. Non mi va di rischiare di farmi male per scavalcare questa recinzione di filo spinato. Sto perdendo la pazienza.  Mi avvio verso la strada asfaltata e poco dopo la traccia ritorna ad uscire.

Comincia con una stradina dove ogni tanto si deve fare attenzione a qualche ginestra che intralcia il passaggio, poi bruscamente si blocca. Proseguo un po’ ed è troppo stressante. Vado dritto verso la strada asfaltata, ne ho avuto già abbastanza per oggi ed anche per i prossimi giorni. Mi tolgo le scarpe per levare i sassolini che mi sono entrati e mi trovo una zecca sullo stinco. Ancora cammina, non si è attaccata. Spero di non averne alte.

Ora sentiero ritorna nel bosco. Ci penso su, e cerco di ricordare se l’anno scorso ebbi trovato difficoltà in questo tratto, ma mi pare fosse decente. Non sono sicuro. Ci provo. Proseguo abbastanza bene, ma non ho ritmo. Questa cosa mi ha buttato giù di morale. E probabilmente ne avrò ancora per 2000km di queste situazioni.

Nel bosco sento dei cinghiali scappare… mi fanno sorridere

Finito il bosco trovo una strada secondaria un po’ rotta, ma essendo a piedi non è un problema. Si congiunge con la strada principale e per 4km la seguo fino ad arrivare a Gambarie. È il 25 aprile e sulle strade c’è un gran via vai di auto e persone. C’è chi sta grigliando e chi gioca mentre aspetta. Mi fermo nella piazza del paese che ricordo un paese fantasma. Oggi vi sono un sacco di macchine e persone, la giornata è molto soleggiata senza nemmeno una nuvola. Molti mi guardano incuriositi mentre seduto sulla panchina consumo il mio pranzo e mi rilasso per qualche minuto. Vorrei mangiare ancora, ma è meglio non esagerare!
Quest’anno trovo il sentiero che porta al Montalto. È una carrareccia dove subito trovo degli alberi che ostacolano il passaggio per poi continuare senza problemi nel bosco di alti faggi che da poco mostrano le foglie di un verde molto brillante. La salita è blanda, se non fosse che gli alberi sono ancora spogli non vedrei nient’altro che un corridoio di faggi.

A 1650m incontro qualche lingua di neve residua. Cerco di non bagnarmi i piedi, ma proseguendo incontro sempre più neve e non posso evitare di far entrare della neve nelle scarpe. Inizialmente le scarpe sembrano diventare umide e tenermi al caldo. Poi in una pozza d’acqua creata dal disgelo e coperta da foglie finisco per bagnare prima il piede destro e poi quello sinistro. Ora i piedi sono in difficoltà. Sento freddo ai piedi per la prima volta da quando sono partito.

L’acqua di disgelo non ha una temperatura maggiore di un grado e continuare a camminare sulla neve non aiuta. Per buoni 20 minuti ho dei leggeri dolori ai piedi proprio per le temperature. Ho più freddo ora che sono in pantaloncini corti e felpa che sull’Etna. Piano piano la sensazione di freddo passa e si placa. Non ho più grande sensibilità ai piedi, ma ancora non sono in pericolo, sono solo freddi e questo mi aiuta a camuffare il dolore della cucitura che costantemente batte contro l’osso. Salgo fino alla strada che sale in cresta e spero di trovare dell’asfalto per potermi sedere un po’ sull’asciutto e mangiarmi un bel pezzo di cioccolato. Camminare sulla neve mi rallenta perché sprofondo qualche centimetro e non mi consente di avere una buona aderenza. Quando posso sfrutto il margine della strada che a volte è privo di neve per sfruttare un passo più disteso e farlo diventare più rapito. Arrivo e la strada è coperta da neve… niente cioccolato.

200 metri più avanti, in una zona soleggiata, la neve si è sciolta e l’asfalto è asciutto. Metto giù lo zaino, tiro fuori la cioccolata e ne mangio 50 grammi,anzi no…70 e ne mangerei ancora in realtà. Seguo la strada che ritorna coperta dalla neve ed arrivo ad un bivio di sentieri. Uno è il Sentiero Italia che sale a Montalto e poi scende a San Luca ed un altro che scende direttamente. Per arrivare a San Luca mi hanno detto che il sentiero non è curato e che troverò difficoltà nella discesa e che ci sono diversi possibili guadi da fare.

Così prendo il sentiero che scende direttamente nell’altro versante verso i Piani di Zervò. Ne ho avuto abbastanza di spine e quant’altro. Il sentiero scende nel versante nord e continuo a bagnare i piedi, quando accennano a scaldarsi ecco la pozza. Comunque scendo velocemente nonostante i molteplici rami caduti sulla strada. Il sentiero esce dalla strada, potrei proseguire per accorciare, ma lo seguo. Non c’è più neve e le scarpe piano piano si stanno asciugando. A 1600 metri entro nelle nuvole che fino a poco fa avevo sotto di me. Il sentiero cambia vallata e le nuvole non ci sono più, meglio così perché stavo cominciando ad avere freddo. La discesa è bella intensa e mi riesco a scaldare, purtroppo non riesco ad evitare le pozze dei ruscelli che scendono a valle ed i piedi sono di nuovo bagnati.  Le scarpe si riempiono di foglie, avrò i piedi sporchissimi!

Intercetto il sentiero che più tardi diventerà Sentiero Italia. Il sole sta calando e si nasconde dietro i crinali. Lo vedo che illumina gli alberi sulla costa di fronte a me. Comincio a cercare un posto dove passare la notte. Un leggero venticello mi infreddolisce, ma ritrovo il ritmo e così tra saliscendi mi scaldo. In questo tratto ci sono un sacco di rami per terra che spesso finiscono tra le gambe, quelli più fini li spezzo, quelli più fortunati come fossero su una fionda vengono sparati lontani. Anche qualche sasso si diverte a colpirmi i malleoli. Sta diventando buio ed il bosco non aiuta la vista. I segnavia rosso bianco rosso, quelli nuovi, spiccano come una piccola luce. Sto camminando ormai da qualche km su un piano inclinato, non c’è un sentiero in piano qui.  Diventa sempre più difficile man mano che il tempo passa. Vorrei trovare un riparo perché questa notte non sarà così caldo. Cammino fino a quando non vedo più i  segnavia e con la torcia diventerebbe una ricerca estenuante su queste tracce appena visibili.

Mi metto a dormire con il giubbotto, non voglio rischiare di svegliarmi al freddo e dover uscire per prendere il giubbotto ed indossarlo. Che poi, a dirla tutta, ci vuole un sacco di tempo a riscaldarlo visto che io ho già freddo.

Giorno 23

La notte il vento ha soffiato, ma non ho avuto eccessivo freddo, ho fatto bene a mettere da subito il giubbotto. Fresco è fresco, comunque non più di altre mattine. Con mia grande sorpresa sia i calzini che le scarpe si sono asciugati durante la notte.

Comincio a camminare ed ho qualche difficoltà, i segnavia non sono recenti ed a volte sono messi in posizioni poco indicate. Altre volte c’è ne sono 3 in 7 metri, basterebbe un cartello e sarebbe tutto più facile. Arrivo ai Piani di Zervò, una specie di fattoria dove non vedo anima viva, solo qualche pecora nel recinto con la scritta “Capre”, anatre, asini, capre e galline.

Una mucca sta facendo colazione e nel suo recinto, in una piccola discarica,  fra barattoli e involucri di plastica spiccano un paio di televisori a tubo catodico: non si sa mai che si annoi e che si voglia guardare qualche interessantissimo programma alla tv. Un cartello mi dice che qui passa l’E1, e così capisco perché la segnaletica come il Sentiero Italia nonostante non lo sia. Faccio qualche guado, ed almeno qui ci sono dei sassi ad agevolare il passaggio. Mi ritrovo nel bosco e c’è la nebbia, il vento e gli uccellini che cantano, il sole non riesce a scaldare ancora.

Continuando nel bosco le nuvole non si alzano. Perdo i punti di riferimento, se non ci fosse il GPS a dirmi in che direzione sto andando o in che punto mi trovo sarei smarrito. Anche oggi il sentiero è piuttosto ben segnalato, ma a terra non è messo bene. Il piano di calpestio dovrebbe essere migliorato. Il sentiero quando si avvicina ai Zomano prosegue nel bosco a zig zag senza un apparente motivo: non c’è un panorama particolare o una possibile attrazione. Prosegue a caso tra stradine e  tratti nel bosco senza direzione precisa, facendo diventare difficile individuare il segnavia successivo perché a volte i cambi di direzione sono anche di 90 gradi. Ci sarebbe la possibilità di proseguire diritti, e quindi non capisco.

Le nuvole sono costanti, e la temperatura anche. Nelle salite riesco o a scaldarmi un po’ anche se durano troppo poco. Alcuni tratti vicino a torrenti presentano segnavia scarsi o meglio, poco visibili. Seguo i segnavia e quando ho difficoltà mi aiuto con la traccia sul telefono. Ogni tanto, nel silenzio del bosco incontro qualche mucca, mi guardano senza reagire. Passo abbastanza veloce, nemmeno si ricorderanno di me tra qualche minuto.

A mezzogiorno ho già percorso 30km. La prima volta di questo viaggio. Mi fermo lungo la strada dove trovo una baracca che mi offre un po’ di riparo dall’umidità e dal vento. Mi sento appiccicoso che forse è anche peggio quando fa freddo. Questa sensazione mi resta addosso per un po’, in modo particolare nella zona del collo, dove la felpa va a toccare. La nebbia continua e forse è complice del mio sentirmi appiccicoso: con l’umidità che mi si attacca addosso credo di non essere il solo motivo di questa sgradevole sensazione. Tra i segnavia e la traccia del CAI c’è una discordanza. La mappa e la traccia sono uguali, ma sul campo, i segnavia differiscono in alcuni brevi tratti.

Mi rendo conto che il meteo e la stagione differenti dall’anno scorso mi stanno aiutando. L’anno scorso passavo di qui il 25 giugno oggi è il 26 aprile. Le temperature più basse mi permettono di andare più veloce senza affannarmi, inoltre ho una maggiore visibilità perché la vegetazione è ancora molto bassa. In più c’è il vantaggio di ricordare alcune cose ed avere la mia traccia dell’anno scorso, e questo mi permette di proseguire più tranquillo.

Arrivo alla strada che poi mi porterà al passo della Limina. Una zona aperta dove il vento si fa sentire. Dal passo in poi i segnavia diventano più radi, perché non sono più nel parco dell’Aspromonte. La mappa che mi hanno dato non è corretta in questa zona, ma potrebbe esserlo più avanti dove l’anno scorso non sono più stato un grado di seguire questi segnavia. In queste strade vengono con i 4×4 a divertirsi, ma rovinano il terreno in piano rendendolo pieno di piccoli canyon. Qualche passaggio c’è, anche se in alcune zone ci sono delle pozze di ristagno dell’acqua che non sono facili da evitare senza deviazioni. In prossimità della statale cerco di seguire la mappa ed infatti ben nascosti ci sono dei segnavia che mi riportano nel bosco. Nel bosco ci sono delle sacche di aria fredda e quando esco nei prati apprezzo quei pochi gradi in più che ci sono.

Poco prima di un bivio sbuco sull’asfalto. Lo seguo ed al bivio nessun segnavia. La mappa mi fa percorrere 5 chilometri su asfalto di cui non sono convinto. Ci sono un sacco di stradine potenziali Sentiero Italia, ma essendo i segnavia vecchi e nemmeno nascosti non perdo la testa e tempo nel cercare la via giusta. Il CAI mi ha passato questa mappa approssimativa e la seguo per quanto possibile. La stanchezza si fa sentire e mi fermo per un po’ di cioccolato. Sul terreno asfaltato mi rendo conto di un fastidio alla pianta del piede, sono quasi sicuro che sia dovuto all’umidità delle scarpe, mi sa che ho una piccola porzione di pianta a carne viva. Una leggera deviazione che l’anno scorso non avevo notato mi permette di accorciare di 2 chilometri quasi. Oggi ho passato i 60 ormai è vorrei farne 65. Ho ancora luce a sufficienza, ma non so se la voglia e le gambe collaborano. Gli ultimi 2 chilometri sono tosti, non per la salita, non per il terreno, ma per la stanchezza, la testa sa che c’è un punto in cui posso fermarmi per passare la notte e non vuole continuare a subire le lamentele delle gambe e dei piedi.

Le nuvole dopo avermi accompagnato per una giornata intera hanno deciso di andarsene e vedo il sole finalmente, non mi riesce a scaldare, ma forse non sarà molto umido questa sera.  Arrivo in una area picnic, ci sono due tavoli in legno belli sghembi ed una fontanella. Ora ho finito.

64 chilometri, comunque più che sufficiente.

Mi sistemo sopra il tavolo e con calma mangio, mentre lo faccio da dentro il sacco a pelo controllo le mappe che mi hanno passato. C’è della concordanza in alcuni punti tra la traccia del CAI e le cartine. Forse in quei punti posso andare tranquillo.

Per non rischiare di avere freddo anche oggi a nanna vestito.

Giorno 24

Passo bene la notte, mi sveglio anche con un po’ di caldo, ma dura poco. Comincia a fare luce e non riesco a restare fermo, sono le 6 ed il corpo ha già riposato. Controllo il piede e sembra una emorragia. Approfitto della fontana, lo pulisco ed il nero se ne va, forse è solo una vescica. Nonostante l’acqua fredda non ne soffro.

Comincio a camminare e mi tormenta, perciò raggiungo l’asfalto e mi sistemo per bucarla. Infilo il piede della scarpa e brucia. Dovevo pensarci ieri sera. Questa sera dovrò ripetere l’operazione. Seguo la mappa, ma non è corretta e mi porta in un sentierino stretto che si chiude sempre più. Ritorno sulla strada principale è mi dirigo verso Fabrizia.  Più avanti stando molto attento trovo i segnavia e una strada nel bosco che taglia rispetto la statale. La vescica si è calmata e mi ricorda che è ancora lì. Seguo per poco questa strada ed arrivo su una asfaltata, la attraverso come dice la mappa e non trovo segnavia, continuo e riprovo perché ci sono un sacco di alberi tagliati dove avrebbero potuto mettere dei segnavia.

Niente. Rinuncio. Guardo meglio la mappa e vedo che c’è un potenziale passaggio più semplice e diretto dopo un pezzo sulla strada. Infatti dopo cinquanta metri dal Sentiero trovo un segnavia ed arrivato alla strada che secondo la mia ipotesi poteva essere valida, non trovo nulla. Ci provo comunque perché ogni tanto li mettono il luoghi poco indicati. Nulla.

Chiamo un numero che mi hanno lasciato ieri per avere le mappe. Dopo un po’ di chiacchiere, mi dicono che quella zona è un casino, e capisco che non hanno le mappe nemmeno loro. Scarica il barile ad un’altra persona per mandarmi delle mappe. Io però non ho connessione quindi non posso vederle. Seguo la strada asfaltata per arrivare a Fabrizia. Di 10km sicuramente 4 sono stati fatti a vuoto. Mi hanno detto che dopo la situazione migliora. Lo spero vivamente.

A Fabrizia trovo di nuovo la segnaletica da dove sono arrivato, ma non so bene da dove sarei dovuto sbucare. Passo tutto il paese fino al cimitero dove mi hanno detto di arrivare. Effettivamente i segnavia ci sono. Scendo e sbaglio subito. Seguo la strada principale invece devo infilarmi in una stradina. È chiusa e finisce in un campo privato dove i cani mi stanno cacciando a suon di abbaio. Torno indietro e vedo una specie di fossato coperto dalla vegetazione. Li passa il Sentiero Italia. Non ci avrei mai pensato se non fosse che mi hanno detto di aver segnato l’itinerario con una bomboletta a spray rossa. Infatti vedo lo spray su un albero. Continuo e ad ogni bivio devo perdere un sacco di tempo per capire la direzione da prendere. Non hanno messo lo spray secondo una logica. A volte vicino al bivio a volte lontano che diventa invisibile se la vegetazione gli cresce di fronte. Non è un bel proseguire.

Purtroppo è tutto il giorno che non riesco ad avere la rete dati e non posso scaricare la nuova mappa. Tra un tentativo e l’altro continuo e finisco di nuovo in un fossato, dove ortiche ed acqua si divertono ad infastidirmi. 20 metried è sbarrato dai rovi. Scendo in una zona paludosa e passo oltre le spine. Per fortuna poi migliora, mi trovo in una stradina stretta per raggiungere dei campi che sono coltivati. Bivio e mi ritrovo di nuovo difficoltà: scelgo la strada opposta a quella che va verso la statale, solo più avanti so di aver preso la direzione giusta, ma è una soddisfazione che dura poco perché ne trovo un altro di bivio.

Un uomo sul trattore mi vede in difficoltà e mi dice :” ex Sentiero Frassati”. Faccio cenno di sì non avendo capito bene, almeno è un sentiero. Altre difficoltà per trovare la via giusta in questo intreccio di strade e sentieri e finalmente arrivo a Mongiana. Mi prendo il pranzo: 2 mele, due barattoli di fagioli e del pane. Una mela la mangio subito. Il resto lo comprerò a Serre San Bruno. Comincio a salire ed il sole oggi è generoso, non è troppo caldo ma regala comunque dei bei raggi che gradisco. Mi fermo al sole per pranzare. Lascio solo un po’ di pane: mezzo chilo era troppo. Parto con i piedi che fanno male, ma so che appena si scaldano passeranno i dolori. Avendo mangiato più del solito mi sento la pancia gonfia e così parto con calma.

Il sentiero aiuta perché è in piano con qualche leggera salita. Ci sono in sacco di fontanelle a fianco della strada. La strada si snoda nel bosco dolcemente fino ad un passo dove scende fino a Ferdinandea (un territorio di 3600 ettari delle Serre calabresi). Restano solo dei rudere sfruttati dalla forestale. Risalgo il bosco per valicare e scendere a Serre San Bruno, per fortuna la temperatura è gradevole. Gli uccellini cantano, cantano talmente bene che se non sto attento nemmeno li sento. La strada è lunga, e sembra portarmi da nessuna parte, non sale e non scende apparentemente e segue la morfologia del terreno. Sento delle motoseghe e dei trattori lavorare e vedo diversi alberi accatastati a fianco strada. Sento dei dolori ai piedi e comincio a camminare in maniera strana, i dolori si propagano alle articolazioni delle ginocchia. Finalmente dopo un sacco di sforzi arrivo al valico per Serre San Bruno.

Sono nel bosco e non vedo il paese, nemmeno i segnavia. Qui mi affido alla traccia, perché l’anno scorso avevo preso una direzione sbagliata, quella proprio opposta. Mi fido della traccia, ma non vedo segnavia, solo dopo 500 metri incontro il primo. Per assurdo sembra abbastanza recente e mi chiedo perché rinfrescare questo segnavia e non quello al quadrivio. La traccia si perde nel bosco senza seguire una strada. Cerco di improvvisare cercando di seguirla il più possibile. Torno indietro dove ho visto una strada e la prendo per seguire meglio la traccia. 200 metri più avanti un segnavia. Altri incroci e sono così fortunato da scegliere quello giusto. La traccia finisce per incrociare la strada che percorro e di nuovo va nel bosco dove non c’è una via che pian piano si aggiusta e si rimette in linea con la strada. Per fortuna, perché è ormai un po’ che non vedo più segnavia.

Il telefono comincia a prendere e mi arrivano un sacco di messaggi, tra cui anche una mappa ufficiale finalmente. Il percorso combacia con quanto ho fatto nel pomeriggio, ma per la mattina e ieri non ho informazioni perché la mappa finisce. A Serre arrivo stanco per i dolori ai piedi. Mi consolo perché che c’è un supermercato e non un alimentari. Quando entro ci sono pure i bagni, prima di tutto mi lavo le mani e poi vado a fare la spesa. Non compro molto perché domani a Girifalco troverò un altro supermercato. Cena per stasera, pranzo e colazione per domani. Per questa sera doppia porzione di ceci. Mentre giro per gli scaffali cerco qualcosa da sgranocchiare mentre cammino, da mangiare subito. Nel reparto salatini ci sono un bel po’ di sfiziosità, ma sono tutte cose salate e poi rischio di avere sete.

Finisco per scegliere gli stessi biscotti secchi che ho preso per la mattina. Fuori si è formata della foschia, ma con in mano il pacco di biscotti sono contento. Lo finisco tutto subito. Dal paese cerco di essere il più fedele alla mappa, ma è leggermente sgranata, ed i segnavia di certo non aiutano. Individuo il tratto di strada e lo percorro senza vedere nessuna indicazione, al bivio trovo una bandierina semi nuova che mi fa prendere la direzione giusta. Ora poco, pochissimo dislivello nei campi dove mancano completamente i segnavia… Con la traccia, ma soprattutto con la mappa vado più tranquillo. I dolori ai piedi continuano ed a volte dei sassolini entrano nella scarpa ad aumentare il fastidio. Il ritmo ne risente.

A Serre San Bruno non mi sono rifornito di acqua perché mentre lo stavo facendo un tizio in macchina si è fermato per dirmi che l’acqua che stavo per prendere non era potabile. Ora che ho un po’ di sete, ci sto ripensando. Non c’era nessun cartello ed il tipo non sembrava molto gentile. Il sentiero prosegue tra stradine e tratturi, i segnavia sono ancora poco evidenti e messi in malo modo. Per fortuna la traccia è giusta perché nell’intreccio di vie e viuzze è difficile interpretare la mappa. Incontro sempre qualche sporadico segnavia e quando non è necessario ne trovo più di uno. La giornata sta volgendo al termine così penso già a quando mi stenderò e darò fine a questi dolori che mi accompagnano.

Sto camminando un po’ sbilenco anche se questa andatura non aiuta i dolori. Incontro una salitina di 20 metri con una pendenza generosa ed è come fosse un muro. Allungando di un chilometro so di poter trovare una fontana, ma sono davvero stanco e non ho così tanta sete. Mi farò bastare il liquido all’interno della doppia porzione di ceci. Si alza il vento, è vento tiepido.

So che durante la notte la temperatura calerà così cerco di ripararmi. È tutto piuttosto aperto ed io piuttosto stanco per cercare a fondo, inoltre il sole è calato ed il buio sta avendo la meglio sulla visibilità. Mi fermo in un corridoio di rovi e spero siano sufficienti. Mangio e controllo le mappe perché sono in un tratto che l’anno scorso non sono riuscito a percorrere. Le gambe nel sacco a pelo ed il busto fuori. Tra un boccone e l’altro confronto la traccia e le mappe.

Mi manca un pezzo di mappa, sono troppo stanco per preoccuparmene ora.

Buonanotte.

Giorno 25

Verso mezzanotte e mezzo mi sveglio perché ho caldo e sete, fatico a riprendere sonno e ripenso al tipo che mi ha detto che che l’acqua non era potabile. All’alba la sete sarà passata.

Apro gli occhi ed è bello chiaro. Mi alzo di scatto e comincio a muovermi. La sete si è attenuata. Biscotti alla mano e si cammina.
La strada è larga e passa da prati a boschi, la traccia mi aiuta, ma la mappa prende un’altra direzione, la seguo e solo più avanti so di essere giusto perché vedo le bandierine. Non identifico bene la zona in cui svoltare e per 600m non vedo bandierine, però così facendo incontro una fontanella, che fortuna! Bevo subito e riempio la borraccia, poi riprendo la traccia che in alcuni punti mi è fondamentale per seguire correttamente il sentiero. La strada si stringe e ci sono rovi, il sentiero è indicato e la traccia è passata di qui.

Ora mi manca il pezzo di mappa. Finito questo tratto la traccia se ne va a sinistra invece di continuare dritto. Sono in dubbio ed effettivamente, messo in posizione consona c’è il segnavia, sbiadito, ma c’è. Guardo la mappa sul telefono ed individuo una possibile via da seguire. Per 4km non avrò aiuti. Nonostante tutto riesco a proseguire e a trovare i segnavia fino ad incontrare nuovamente la traccia, che ora dovrebbe essere corretta.

C’è un altro sentiero che passa di qui e un cartello ne descrive il percorso. Andando avanti ci sono dei grandi segnavia rosso-bianco che temo siano stati messi sopra quelli del Sentiero Italia. In realtà non è così per fortuna, e su un albero li vedo tutti e due, uno a fianco all’altro.
La giornata è piuttosto velata e le temperature sono buone sia nel bosco che al sole. Ci sono pochi segnavia messi correttamente.
Ora mi fido della traccia che secondo la mappa è giusta: fino ad incontrare l’asfalto seguo la traccia e puntualmente trovo dei segnavia, anche se spesso in ritardo rispetto alle possibili deviazioni.

Raggiunto l’asfalto fino a Girifalco dovrò continuare su questo tipo di terreno, e poi fino a Caraffa di Catanzaro: circa 21km in totale.
Decido di arrivare fino al Monte Covello per il pranzo, nonostante sia già mezzogiorno. Lì troverò un parco ed una fontana.

Mi metto al sole per mangiare perché all’ombra fa troppo freddo. Do una sciacquata ai piedi prima di partire, una cosa veloce perché tanto si torneranno a sporcare.

A Girifalco spero di fare la spesa, ma dimentico che ore sono. Sono le 13:30 ed arrivo al paese mezz’ora dopo. I negozi sono ancora chiusi. Poco male. A Marcellinara c’è un supermercato, devo arrivarci prima di sera altrimenti resto senza cena. Le tracce da Girifalco differiscono dalla mappa, ma io la seguo nonostante scelga la strada più grande e faccio bene.

Dopo 2 km il primo segnavia. Vado veloce fino a Caraffa di Catanzaro, accanto alla strada ginestre ed acacie profumano l’aria, un profumo dolce e delicato. Diversi sono gli alberi da frutto lungo la strada, ma non per tutti è ancora ora di fare frutti. Trovo sia fichi, che ciliegie, che prugne. Al paese mi fermo per riempire la borraccia perché so che ora ci sarà un tratto impegnativo. L’anno scorso ci ho perso un sacco di tempo e non credo le cose siano migliorate.

Lascio il paese alle spalle.

Potrei prendere una deviazione e risparmiarmi un bel po’ di spine, ma il fatto di poter ritrovare la borraccia che l’anno scorso ho perso proprio in questo luogo mi eccita. Così esco dal paese e vado dritto nei guai. Seguo tutti segnavia e poi vedo una strada nuova, provo a seguirla, magari mi evita le spine. Finisce di colpo e non risolvo nulla, torno sulle tracce dell’anno scorso. La vegetazione è più gentile, non infierisce tanto come l’anno scorso. Il sentiero che una volta era una strada si interrompe per una frana. Il terreno è piuttosto sabbioso e cede facilmente sotto i miei piedi. Un passaggio di animali selvatici mi aiuta ad individuare il percorso migliore. Le scarpe sono piene di sabbia ma non le vuoto, sarebbe inutile ora.

Un’altra zona dove è intervenuto l’uomo, ha rasato alcuni alberi e bruciato alcune piante. Sembra siano arrivati dall’alto e non da dove devo andare. Nemmeno 30 metri più avanti la sorpresa, nemmeno troppo nascosta dalle felci, ecco la mia borraccia!L’unico punto blu in tutto questo verde. L’anno scorso l’ho persa probabilmente perché la vegetazione piano piano l’ha spinta fuori dalla tasca laterale ed essendo vuota io non mi sono accorto del rumore. Un momento di gioia. 10 mesi più tardi era lì ad aspettarmi. Ero certo nessuno fosse passato di qui, ma non ero certo di passare nello stesso identico punto. Ora però arriva la parte più tosta. Seguo sempre il passaggio che gli animali stanno mantenendo e vedo pure un segnavia del CAI.

Comincio a vedere un piccolo passaggio tra gli alti muri di verde. È proprio lì che ho avuto maggiori problemi.

Quest’anno sembra più gestibile: meno spine, ma molte più ortiche. Le felci sono alte e nascondono il passaggio, ma soprattutto le ortiche. E me ne accorgo quando le incontro. Me la cavo piuttosto bene rispetto l’anno scorso. In poco tempo ne sono fuori e ne sono entusiasta. Ora una salita imprecisa fino ad un parco eolico ed è fatta. Al parco eolico tolgo finalmente le scarpe piene di sabbia. Le ortiche hanno finito di farmi formicolare le gambe. Ora scendo a fare fino a Marcellinara per fare un po’ di spesa, dove un supermercato attende la mia fame.

Vorrei concedermi un gelato, ma scendendo passo proprio vicino alle pale eliche, così mi raffreddo e decido per restare più sobrio.
Finisco la cioccolata rimasta dal giorno prima. Devo fare la spesa per 3 giorni perché non incontrerò altri alimentari o supermercati aperti prima di Camigliatello Silano. Dopodomani è domenica e questo mi frega. Faccio una spesa abbondante così da essere sicuro di non restare senza cibo. Le gambe cominciano a formicolare ora che sono tranquillo tra gli scaffali.

Lo zaino ora pesa decisamente di più ed il passo ne risente. Soprattutto ora che devo salire fino a Tiriolo. Supero Marcellina su asfalto e poi svolto verso un agriturismo in campagna. Superato mi trovo in un oliveto, la salita mi rallenta. Non ci sono indicazioni per il Sentiero Italia, solo grazie alla mappa satellitare riesco ad essere fedele al tracciato. Mi porta in una strada sempre nell’oliveto, che da poco è stata arata, ed i piedi affondano, faccio fatica ad avanzare. Verso il cimitero di Tiriolo, punto in cui incontro l’asfalto, la salita cala di pendenza.

Entro nel paese, sono accaldato, le luci delle insegne si accendono come quelle dei lampioni. Vento fresco mi accompagna tra le vie. Vado verso la base del Monte Tiriolo dove domani comincerò la salita e mi fermo in un area picnic.

C’è un tavolo traballante, ma è quello più protetto, così mi ci sistemo sopra. Lo zaino sulla panchina si appoggia al tavolo e il peso è talmente tanto che lo stabilizza. Nel sacco a pelo sento le gambe scaldarsi e comincia il formicolio. Per un ora dopo la cena continua a tormentarmi e non riesco a trovare una buona posizione per evitare di sentire dolori alle anche.

Sono troppo vicino al paese e dei cani non smettono di abbaiare, in più ogni quarto d’ora le campane rintoccano. Prendo sonno finalmente. Alle 2 circa mi sveglio, vedo un lampo e poi sento dei tuoni. Vorrei tanto non piovesse. Ma altri lampi e tuoni. Preparo lo zaino ed ancora con il sacco a pelo da infilare nella sua custodia cerco un riparo. 200m e lo trovo, giusto in tempo, le gocce cominciano a cadere. Non mi riparerò dal vento, ma dalla pioggia si. I dolori alle anche rompono ancora, dopo una dura lotta per trovare una posizione prendo sonno.

Giorno 26

Alle sei mi sveglio. Non c’è molta luce. Le nuvole oscurano i raggi del sole. C’è qualche grado in meno di ieri. Infine non ha piovuto se non qualche goccia.

Non mi sento particolarmente stanco, ma lo vedremo durante la giornata se ho ragione.

Comincia subito con una bella saluta verso il Monte Tiriolo, dapprima con una strada, poi dal sentiero. Il monte è calcareo, l’anno scorso ricordo più vegetazione ed ancora una volta sono premiato dalla stagione. Comunque sia il tratto non è bello, per me andrebbe curato un po’ meglio, tracciando un percorso ben definito, soprattutto perché è vicinissimo al paese e potrebbe diventare una meta per turisti.
In meno di mezz’ora dalla piazza del paese si può essere in cima.

Lo attraverso da Sud a Nord e finalmente finisce, non si tratta di un tratto molto agevole e la discesa non è migliore.
Quando incontro la strada ne sono contento. Un pezzo piuttosto noioso anche a causa del meteo che non rende visibile il mare. Una foschia blocca la vista man mano che dal cielo ci si avvicina all’orizzonte.

Segue un saliscendi e poi una discesa veloce fino alla Madonna di Porto. Percorro un sentiero per 300m, che parte dal fianco della chiesa e poi finisce su un’altra strada noiosa con nulla da dire o raccontare. Così percorro 21 chilometri,  quasi tutti più o meno di asfalto fino ad incontrare una provinciale, dove mi ritrovo in un brutto sentiero, dove le ginestre intralciano su un piano sconnesso.

Questo è il benvenuto nel parco della Sila.

Un chilometro dopo entro nel bosco e migliora, incontro una strada e migliora ulteriormente, fino a ritornare sulla provinciale per attraversare la diga del Lago Passante. Ultima salita verso il Villaggio Mancuso, la stanchezza si fa presente, voglio fermarmi per mangiare e riposare. Sento sulla spalla due gocce di pioggia, mi mettono in allarme. Mi fermo per coprirmi, e le gambe vorrebbero aspettare li. Non manca molto, 3 chilometri e finalmente mi riposerò.

Raggiungo la strada asfaltata e sono in piano, il passo è comunque rallentato dalla fatica. In centro, se centro si può definire, mi fermo su una panchina ad aspettare Elena, una signora che l’anno scorso mi ha offerto ospitalità quando ero in difficoltà. Resto li due ore e riparto con un bel pezzo di pane che mi ha portato lei. Ora la tappa è Buturo.

La strada comincia un po’ dissestata. A destra e sinistra mi ritrovo il magnifico bosco della Sila, una pineta dagli enormi alberi.
Impossibile non pensare a quando l’anno scorso mi sono fermato proprio qui per passare la notte e mentre cucinavo le luccioe mi volteggiavano tutt’attorno. Se non fosse per tutte queste zone umide che mi costringono a passare da un lato all’altro della strada per non sporcarmi e non bagnare le scarpe, sarebbe anche una gita piacevole.

Verso Buturo i pini si trasformano in faggi. Volevo andare anche più avanti di questo altro villaggio, ma trovo un posto comodo e piuttosto caldo poco prima della strada. Un vecchio albergo o qualcosa di simile, lasciato a se stesso e rovinato dai vandali. Entro facilmente e trovo una stanza con dei materassi. Non hanno muffa e non sono nemmeno sporchi. Mi trovo a 1550m e le temperature sono più basse. Questa stanza rispetto alle altre ha la finestra ancora integra.

Ho ancora il giubbotto, ed alla fine non ha nemmeno piovuto. Per dormire tolgo tutto, tanto oggi sono bello riparato.

Giorno 27

Ho dormito bene e pure su un materasso. Sono riuscito a dormire a pancia in sù.

Fuori la temperatura è più bassa ed il giubbotto è indispensabile. Anche oggi lungo il sentiero ci sono un sacco di rami ad intralciare il cammino. La segnaletica è da sistemare, ad un bivio non è visibile il segnavia, l’anno scorso avevo sbagliato direzione e quest’anno lo vedo solo per l’esperienza passata. In una piana manca proprio, in più hanno tagliato degli alberi dove potevano esserci proprio i segnavia.

Seguo la traccia vecchia perché altrimenti non saprei dove andare. Insomma queste più altre difficoltà, non fanno sperare ad una buona giornata. Per fortuna che l’anno scorso mi hanno detto che stavano sistemando i Sentiero proprio durante il corso del mio passaggio!

Altro bosco colmo di rami secchi a terra come l’anno scorso. Finito questo devo anche guadare il Tacina, l’acqua gelida è proprio un toccasana con queste temperature. Segue una salita “a vista”, cercando di seguire una strada ormai cancellata dal tempo, e subito dopo percorro una lunga discesa fino a raggiungere la statale 179.

Poco prima passo per una zona con diverse ville, e da due esce del fumo. Comincio ad avere fame, e mi pervade l’idea di un fuocherello dentro un camino in pietra, con me che lo seguo sulla poltrona a guardarlo mentre arde, aspettando la polenta che è quasi pronta … Mmm. Comunque sono le 11 ed ho deciso di aspettare almeno fino a mezzogiorno prima di mangiare.

Sono nei pressi del lago Ampollino, è più in secca dell’anno scorso, ma nonostante questo un suo affluente importante lo devo guadare.
Il ponte è caduto tanto tempo fa, e non lo hanno più rimpiazzato o sistemato, così a ridosso del pranzo mi ritrovo i piedi bagnati. Ho dovuto togliere anche i pantaloni perché l’acqua superava il ginocchio. Si è alzato il vento e così mi sistemo sotto una tettoia del servizio bus, in modo da ripararmi. Ho troppo freddo e non ho voglia di togliere le scarpe per asciugarle.

Mangio il pane di Elena con i fagioli, è molto buono.

Prossima tappa Lorica. Da qui la segnaletica migliora, ma le pozze ed i rami restano. Il telefono riceve segnale ed ora posso rassicurare casa. In linea d’aria mi trovo a 2.5 chilometri da Lorica, ma per raggiungerla devo aggirare il lago Arvo e così la distanza è di 13km. Raggiunta la strada vedo la macchina di Antonello, una guida di queste zone. Mi aspettavo di avere sue notizie. Chissà per quali boschi va ora.

Fino a Lorica è tutto asfalto e quando mancano circa 3 km sento una macchina rallentare dietro di me. Antonello alla guida. Sta andando a Lorica per bere una cosa dopo l’escursione. Ci troveremo la. L’anno scorso ci siamo beccati per caso per delle strane coincidenze, questa volta uguale. arrivo al paese e mi dirigo al locale. Ha appena accompagnato una quindicina di ragazzi nella loro prima escursione. Resto con loro e rispondo alle domande. Un oretta e mezza spesa bene. Intanto mi sono riposato. Antonello mi ha offerto della frutta secca ed il bar un succo e una barretta di cioccolato. I ragazzi se ne vanno e così anche io, perché vorrei arrivare fino al monte Botte Donato, proprio sopra il paese, per approfittare della luce a disposizione.

Sono un po’ un ritardo a dire il vero, ma mi impegno per fare questi 600m di dislivello. Alle 18 esco dal bar e mi incammino, i chilometri fatti fino ad ora sono tanti, la stanchezza è presente e mentre attraverso il paese la voglia di fermarmi in qualche riparo si fa sentire. Le temperature saranno più gradevoli a quote più basse. Botte Donato raggiunge i 1900m. Non vorrei passare una notte al freddo, ma nemmeno sprecare ore di luce. Determinato continuo. Il sole tramonta. Nei prati si è già depositata la rugiada e la temperatura è più bassa che nel bosco.

Proseguire al buio nell’ultimo tratto di bosco non è così facile e forse qualche pezzetto lo ho sbagliato. Attraverso la strada delle vette e ritorno nel bosco per poco poi proseguo su asfalto fino a raggiungere un riparo, la piccolissima falce di luna riesce a proiettare la mia ombra sull’asfalto. Non mi era mai capitato di notarlo con una luna al 16%.

Il ricovero è una specie di chiesetta in legno con il pavimento scricchiolante e in alcuni punti rotto. Ci sono delle cacche di roditori in un angolino, mi sistemo appena più in là. La nebbia avvolge la casetta ed entra dalla grande apertura, ma io dentro il mio sacco a pelo sono quasi invincibile.

Giorno 28

È la notte in cui ho dormito nel punto più alto. Non ho avuto grossi problemi con il freddo. Il versante nord dove comincia la discesa è coperto da neve ghiacciata e dove non è presente, da brina. La temperatura è sicuramente sotto lo zero. Mi fa piacere non aver avuto problemi questa notte nonostante le temperature.

Il tratto successivo è nel bosco dove la segnaletica c’è, ma facilmente mi innervosisco per la presenza di tutti quei rami che incontro e che si incastrano tra le gambe. Un ruscello attraversa il Sentiero costringendomi ad un lungo balzo per evitare di entrare in acqua. Trenta metri più in là succede la stessa cosa per ritornare nell’altro versante del fiume. Bastava allungare di 10 metri il percorso e non ci sarebbe stato questo problema.

Comunque alle 7.30 sono costretto a guadare un fiumiciattolo che mi gela i piedi provocandomi dolori fino alle caviglie. Quando esco dall’acqua mi occorrono 10 secondi per sentire la sensazione di freddo pungente andarsene. Dopo questo guado i segnavia spariscono, continuo comunque. Incontro diversi incroci e nessuna segnalazione, così prendo la direzione che secondo me è più corretta. Mi aiuto con le immagini satellitari scaricate nei giorni scorsi. Un incrocio presenta un segnavia, ma le altre direzioni non lo hanno.

Si trova in discesa come il percorso che devo seguire. Sono ritornato sul sentiero perché in una specie di piazzale trovo i cartelli, e ora riprende la segnaletica che mi porta nel bosco per scendere a Camigliatello Silano. Ci sono un sacco di cartelli. Ad ogni bivio non si può sbagliare, il cartello indica la via, sia nella mia direzione che in quella opposta. Prima del paese passo per la fonte Fiuggi.

Passo qualche guado dove riesco a schivare di poco l’acqua, anche tanto le scarpe sono completamente bagnate, perderei solo la temperatura. A Camigliatello arrivo alla farmacia, dove l’anno scorso mi sono rifornito di fermenti lattici per un piccolo problema alla pancia.

Arrivo nel corso e prendo a destra. Non molto più avanti al negozio Altipianimi mi stanno aspettando. Si domandano se sono io. Faccio un cenno di conferma. I saluti e subito in carica le batterie. Tirano fuori le mappe della Sila Piccola e della Sila Grande e commento le condizioni dei sentieri. Poi dal PC cercano di passarmi delle tracce e delle mappe, ma ci sono dei problemi e tra una cosa e l’altra arrivano le 11.30. Decido di fermarmi a mangiare qui ormai che ci sono e mi dicono di andare con loro che si stanno organizzando.

Mentre aspettiamo io metto le scarpe al sole e cerco di asciugare i piedi che sono cotti. La pelle è bianca. Spiego come fosse una mappa le varie zone del piede, le vesciche, i calli, e ascoltano abbastanza curiosi. Ci sono anche una donna ed una ragazza. La ragazza è leggermente schifata, ma fatica ad allontanarsi, è curiosa. Sulla strada al sole ci scambiamo opinioni, pareri, si parla di escursioni e di caratteristiche locali. Scopro solo ora che l’Etna ha eruttato di nuovo, e che sono passato in tempo. Ricordo di un forte scoppio sentito mentre stavo salendo nella zona di Tiriolo, sul momento ho pensato ad una bombola del gas esplosa.

Ora realizzo che cosa fosse. Finalmente alle 13 si va a mangiare. Un posto quasi nascosto. Nel retrobottega di una macelleria più che alimentari ci sta una specie di locale dove si mangiano piatti tipici e genuini.

Infatti mangio molto volentieri tutto quello che offrono, piselli, patate, pomodori, funghi e per finire un piatto di pasta. Mentre mangiamo sono arrivati altri del soccorso Alpino del reparto cinofilo e anche qui rispondo alle domande. L’appetito era tanto, ma ora la pancia è bella piena. Ritorniamo al negozio per recuperare le batterie che non sono completamente cariche. Una la porto con me per sicurezza e l’altra la lascio e ci si incontrerà domani in un punto da precisare in base alla percorrenza. Una lunghissima pausa, di più di 5 ore, quando riparto sono molto pimpante. Attraverso il paese, vado verso gli impianti di risalita ed entro nel bosco.

Le gambe sembrano molle nonostante la salita. In quota torno sulla strada delle vette. C’è ancora neve anche qui, ma ora è piuttosto molliccia. La seguo verso ovest fino al cartello di inizio sentiero. La salita mi ha permesso di scaldarmi e sono in canotta e pantaloncini, ma poi ritorno in piano e sono dal lato in ombra. Confido nella discesa per trovare temperature più alte. Non è proprio così, il sole sta già calando e le temperature di conseguenza. La discesa non è fluida per la presenza di sassi e per la strada rotta.

A Spezzano Piccolo comincio a seguire un itinerario nuovo che l’anno scorso non sono riuscito ad individuare. Finalmente un sentiero dopo tante strade. Si snoda tra i colli passando inosservato appena fuori dai paesini fino a Pedace. Attraverso Pedace, lo trovo un paesino molto bello, con case vecchie, alcune abbandonate o decadenti, con viuzze strette e sempre in salita. Dopo il paese continua il sentiero per scendere alla ferrovia.

Naturalmente non c’è nessuno a quest’ora, sono il turista di passaggio. Metto giù lo zaino ed infilo la felpa finalmente, mi aspettavo temperature più alte. Controllo l’area in cerca di un riparo più comodo della solita tettoia della stazione. C’è un vecchio treno sul quale mi piacerebbe un sacco dormire, ma i vandali lo hanno distrutto e dalle finestre entra un leggero venticello. Continuo a cercare e trovo una stanza tiepida, il sole durante il giorno deve averla scaldata. Recupero lo zaino e ritorno per sistemare il materassino ed il sacco a pelo. Qui c’è a tratti connessione e devo approfittarne per rispondere ad alcune mail e scaricare altre mappe.

Mi ci vuole del tempo perché la connessione non è stabile, ma dentro il sacco a pelo sono comodo. Solo alle 23 prenderò sonno.

Giorno 29

Vista la quota azzardo i pantaloncini corti da subito.Dopo 600 metri e devo entrare in una lunga galleria dove passava il treno. Sento che dentro la galleria farà più freddo. Pantaloni e torcia. C’è una passerella lungo la galleria per facilitare il passaggio pedonale. Noto che ogni 40,forse 50 metri c’è una nicchia. Man mano che mi addentro, la galleria diventa più fredda ed umida. Penso sia un percorso interessante questo tratto di ferrovia abbandonato, ma poi sento un sacco di vento. Alzo la testa e vedo una luce.

Oddio. Un treno sta passando. Mi infilo nella prima nicchia che trovo per ripararmi. Mi avevano detto che era in disuso questo tratto di ferrovia. Continuo e la galleria é lunga circa 2km lungo la quale incontro anche un treno che arriva nella direzione opposta. Mi riparo ancora nella nicchia. Quando esco dalla galleria scrivo subito al riferimento che la ferrovia è attiva e non è un percorso indicato da fare a piedi.

Intanto la passerella alla fine della galleria non c’è più. Proseguo sui sassi con diverse noie. Altre gallerie molto più corte ed ancora senza passerella. Certo o di ottimizzare la camminata perché con questi sassi e difficile, mi sposto sui traversi che tengono i binari, cammino meglio perché ci sono pochi sassi, ma sono ad una distanza più corta del mio passo. La ferrovia passa vicino alla strada e a dei centri abitati, così ad ogni rumore strano alzo gli occhi e mi giro per vedere se arriva un treno. Mi chiama quello del CAI e mi dice che questo tratto era previsto da fare in treno, la ferrovia dimessa era prima di arrivare a Pedace.

Non mi manca molto, ormai contino qui. Provo a camminare direttamente sul binario e anche se è stretto, effettivamente è più comodo. Con i bastoncini mi aiuto per non cadere e proseguo più sciolto. A Piano Lago finisce il tratto di ferrovia e ritorno su asfalto. Vedo l’insegna di un supermercato, devo per prendermi due mele. Non hanno frutta fresca. Così, nonostante le temperature non proprio calde mi prendo una vaschetta di gelato alla frutta. A piedi mi incammino lungo la strada, in una mano la vaschetta e nell’altra il cucchiaino che costantemente porta alla bocca questa sostanza ghiacciata e gradevole.

Cammino sulla strada principale per una decina di chilometri e poi mi infilo in una strada sterrata, dove trovo l’unico segnavia di tutta la giornata. Seguo il Sentiero Italia solo grazie alle tracce che mi hanno passato a Camigliatello Silano, altrimenti non ne avrei azzeccata una. Resto su questa sterrato fino a Potame, l’unico insediamento turistico della Catena Costiera. Mi fermo per il pranzo e già da qualche mezz’ora le temperature sono leggermente calate, le nuvole coprono il sole e la leggera brezza mi obbliga ad indossare la felpa, i pantaloni lunghi e la giacca. Mangio anche del cioccolato aromatizzato con  cannella e pere. Molto buono

Riprendo su asfalto che seguo fino al Casellone Monte Cocuzzo. La vista su questa strada, se non fosse per le nuvole sarebbe molto panoramica. Un lato da verso Cosenza e l’altro sul Tirreno visibile da molto vicino. Sono quasi vicino alla meta, devo arrivare al Passo Crocetta sopra San Fili dove mi porteranno le batterie, ed hanno organizzato un’altra cena.

Questo non è un tratto che mi piace molto, si segue un metanodotto su tracce di una strada appena accennata, ci sono recinzioni senza cancelli ed in più le gambe cominciano ad essere stanche. Non ho fatto molto dislivello e nemmeno una distanza particolarmente lunga. Forse l’idea della cena mi sta rammollendo. Appena raggiungo la strada asfaltata ho 2 km da percorrere ed avviso di partire per venirmi a prendere. Arrivo al passo ed individuo subito un posto dove potrei passare la notte. I piedi sono provati specialmente dalle rocce trovate nell’ultimo tratto. Non vedo l’ora di togliere le scarpe o comunque allentarle. Mi siedo ad aspettare e in nemmeno un minuto ed arriva Luigi. Gianfranco purtroppo ha avuto un imprevisto e forse non ci sarà a cena.

Sono le 18.30, mi dice che ho tempo per una doccia. L’idea mi stuzzica anche se non ho un cambio. Andiamo a casa sua ed insiste per farmela fare.

Dopo 17 giorni che non mi lavavo, non credo serva spiegare il benessere nel sentire prima l’acqua calda scorrermi addosso, poi lo sporco andarsene ed infine indossare  l’accappatoio prestatomi. Mi sento una persona nuova. Indosso calzini nuovi per l’occasione, la canotta di ricambio ed i pantaloni lunghi che sono meno sporchi dei pantaloncini. Mi presta un maglione perché la mia felpa è sudicia.

Andiamo a cena in pizzeria, fanno sia la pizza che la Pinza. Un piatto simile alla pizza, ma più leggero e lievitato naturalmente 72 ore circa. Ne provo una. È molto buona, ma appunto leggera, allora prendo la stessa farcitura sulla pizza. Si chiacchiera un sacco, soprattutto di montagna. Siamo gli ultimi a lasciare il locale ed i padroni dopo aver sentito cosa sto facendo, vogliono una foto con me. Mi fanno gli auguri mentre ci incamminiamo verso la macchina. Mi riporta al passo. È salita la nebbia ed in macchina procediamo con cautela. Mi accompagna al rudere che avevo individuato, aspetta che io sistemi il sacco a pelo e poi mi saluta. Ho preferito dormire qui invece che da lui per evitare di fargli fare tardi a lavoro domani visto che non ho intenzione di mettere la sveglia. Infondo è mezzanotte e mezza e non sono così certo di svegliarmi presto.

Giorno 30

Sono presenti ancora le nuvole che danno un aria mistica al bosco. Non di rado ci sono accumuli di questo tipo proprio per la posizione geografica, l’aria calda dal mare sale, poi si raffredda e infine si condensa coprendo tutto con le nuvole. Poco oltre il crinale infatti le nuvole non ci sono. Durante tutta la notte di è depositata tantissima rugiada sugli alberi e a terra e non mi ci vuole molto per avere i piedi umidi. Fino a quando proseguo su strada riesco a mantenerli caldi, seguendo un sentiero nel bosco dove il passaggio non è sgombro da vegetazione i bagno completamente. Il colpo di grazia arriva quando attraverso un prato dove li sento molto freddi, quasi come l’altro giorno sul guado verso Camigliatello Silano.

Ritorno su strada e ripristino la temperatura, ma sarà dura asciugarli con questo meteo. A 1400m esco dalle nuvole e riesco a vedere Cosenza, dopo questa salita al sole decido di togliere la giacca. La sterrata segue il crinale per un po’, poi entra nel bosco dove le temperature sono decisamente più basse. Per fortuna non ho voluto togliere i pantaloni. Mi sto infreddolendo e comincio ad avere un buco nello stomaco, così in località Cinque Miglia mi fermo su un piazzale assolato per mangiare delle arachidi ed un po’ di cioccolato. Tolgo le scarpe per la breve pausa giusto per far prendere aria ai piedi e prima di partire infilo la giacca perché sto per tornare nel bosco.

Penso ci siano non più di 15 gradi ed il vento fa sembrare le temperature anche più basse. Riprendo e nel bosco sento di aver fatto molto bene ad indossare la giacca. Trovo una macchia di sole, mi fermo per il pranzo. Il sole ha un effetto benefico anche se ogni tanto viene coperto. Non ho molta voglia di riprendere, ma riesco ad alzarmi comunque. Facendo due rapidi conti dovrei fare in tempo ad arrivare al rifugetto che intendo raggiungere prima che sia buio. Nel bosco non ci sono molte distrazioni, devo solo guardare avanti e proseguire più veloce possibile. Seguo la traccia e solo grazie a quella riesco a seguire il sentiero, che poi è un strada come la maggior parte del tratto appenninico, perché i segnava compaiono ogni 4-5 km.

Fino a Pietrabianca sono coperto, da lì a seguire non ho nè mappe, nè tracce. Prima di arrivarci scarico la mappa della zona con il massimo ingrandimento ed individuo un passaggio, così quando sono lì mi ci dirigo ed infatti, nascosto dalla vegetazione c’è un segnavia messo male e troppo basso. Tappa 29. Una stradina si immette in una vallata stretta e florida e 200m più avanti la vegetazione blocca il passaggio. Di fianco al monte vedo un passaggio e lo seguo. Capisco che li la strada è franata. Dopo la frana ritorno sulla strada che però purtroppo è chiusa tra spine ed ortiche. Provo a proseguire sperando si tratti di un piccolo pezzo disagiato. Perdo molto tempo e procedo molto lentamente, proprio oggi che ho una tappa lunga e già difficile di per sé.

Decido di lasciare. Tornando indietro una spina buca pure il giubbotto, il foro è piccolo, ma non lo posso riparare. Devo proseguire su strada, e chissà quanto dovrò allungare. Prendo la direzione più lunga perché altrimenti salterei un pezzo di sentiero e voglio percorrerlo il più possibile. Trovo un tratturo che sembra andare in direzione del sentiero che ho lasciato. Non avendo la mappa, non so se mi porterà dove voglio o addirittura finirà in un vicolo cieco. Il tratturo continua, salgo con una forte pendenza ed infine arrivo ad una strada forestale. Recupero il sentiero, ma non ne sono sicuro perché non ci sono segnavia nemmeno qui. Salgo verso nord dove dovrebbe continuare. Un laghetto, poi un altro ed infine la discesa fino a Sant’Agata D’Esaro. Controllo la distanza è cerco di capire l’ora del mio arrivo in paese. Rischio di arrivare dopo la chiusura dell’alimentari. Aprofitto della leggera discesa per accennare una corsetta. Alla prima salita smetto. Avrò fatto si e no 500m, ma l’impressione era di andare veloce. Continuano le discese ma non ho molta voglia di correre.

Percorro 3 o 4 km camminando e sono quasi sicuro di arrivare tardi, in più l’anno scorso avevo sbagliato strada proprio per la mancanza di segnaletica, anche se almeno avevo accorciato. Comincio a correre di nuovo per avere un margine sufficiente di tempo prima della chiusura. Potrebbe chiudere alle 19.30, come alle 20 o alle 20.30, purtroppo non lo so. Corro tanto da arrivare appena in tempo per le 19.30. Al Passo Scalone potrei scegliere di scendere sulla strada o utilizzare il sentiero, alla deviazione trovo il segnavia e seguo il sentiero. Più avanti un’altro, ma al successivo bivio nulla. Continuo diritto e svolto dove mi sembra che il sentiero vada.

Entro in un campo arato e devo attraversare una recinzione, qui almeno è bassa, ma soprattutto non c’è quel fastidioso filo spinato. Il sentiero non c’è una volta passato l’ostacolo. Cerco una via idonea ed attraversato il fiume incontro un segnavia. La mappa che mi hanno passato ancora una volta è sbagliata. Per fortuna ho chiesto quelle ufficiali. Ora che ho ripreso il sentiero, proseguo più tranquillo, non posso perdere troppo tempo altrimenti il negozio chiude. Un’altro segnavia mi fa attraversare il fiumiciattolo, faccio di tutto per non bagnare i piedi e qui vedo l’ultimo segnavia. Sto entrando in un canyon stretto dove c’è poco spazio oltre il fiume. Salto da una parte all’altra per non bagnarmi e proseguire verso il paese, ma non vedendo segnavia non ho un percorso preciso tantomeno fluido. Devo aiutarmi spesso con i bastoncini per darmi slancio o fare leva e saltare l’acqua. Incontro pure un salto artificiale di 4 metri. Allora decido di tornare indietro, ma allungherei molto. Trovo un passaggio a fianco di questo salto. Vari pneumatici sono li in mostra dopo la cascata. Probabilmente lanciati dalla strada e che a strapiombo sta sopra la mia testa. Chissà se ne scenderà uno proprio ora.

Ancora un altro salto artificiale, cerco una via ma sembra non esserci. Rovi grossi come il mio pollice ostacolano il mio passaggio. Qui per errore mi bagno il piede destro. Sto proseguendo troppo piano e le 19.30 sono passate e ho ancora 2km circa di questo canyon. Comincio a pensare di non farcela proprio. Facendomi pungere riesco ad passare tra la vegetazione e quindi anche il salto. Il fiume scende piano, e sarebbe anche semplice proseguire se non fosse per le rocce o sassi grandi come un pugno sui quali devo appoggiare il piede rischiando la caviglia o comunque procurandomi dolore ai piedi nella zona del tallone già di per sé provata.

Un bastoncino, durante un salto tra una sponda all’altra, si piega troppo perciò gli do una raddrizzata,  lo faccio con troppa forza e lo rompo. Mi scoccio di questa situazione. È buio e il sentiero, se così si può chiamare il corso di un fiume, è in condizioni disastrose, ormai sono certo di non riuscire a procurarmi la cena. Decido di bagnare le scarpe e di proseguire lungo il corso per riuscire ad accorciare questa pena. L’acqua non è gelida, comunque non è troppo gradita. Non molto dopo questa decisione incontro un segnavia. Ad almeno 3 km dall’ultimo. C’è passaggio di bestiame per le impronte che vedo a terra ed il sentiero migliora. Seguo fino ad un cancello chiuso con in catenaccio, quasi sicuramente ho sbagliato da qualche parte. Lo scavalco e sono sulla strada. Non provo nemmeno ad andare verso il centro. Sono le 20.30 passate.prendo la strada in salita che mi porterà a percorrere gli ultimi 5km fino al rifugio nel quale voglio passare la notte.

Sono 5km tranquilli nonostante i già 68 che ho nelle gambe. Poter usare solo un bastoncino invece di due è strano e sicuramente mi rallenta. Diversi cani abbaiano al mio passaggio e proprio a ridosso del rifugio mucche e cavalli pascolano. Poi lo vedo. Tutto in legno, è praticamente nuovo. Entro, è tutto per me, le batterie caricate tramite pannelli solari funzionano. Che poi è il motivo per cui ho voluto arrivare fin qui. Ricaricare le mie batterie. Oggi 73km. Il mio nuovo personale record. Mi sistemo sulla panca per mangiare. Ho pane, arachidi e cioccolato. Stanco mi metto nel sacco a pelo. Purtroppo non potrò dormire ad oltranza perché domani si potrebbe ripresentare il problema della spesa.

Giorno 31

Gli uccellini cantano e vedo dalle fughe della porta che fuori c’è luce. Vorrei tanto restare al caldo dentro il sacco a pelo. Oggi non posso. Esco ed il sole mi acceca. Un minuto per abituarmi, chiudo gli occhi, mi godo il tepore. I cani come mi vedono cominciano ad abbaiare. Ritorno dentro, apro la finestra per far si che la luce entri ed entri anche un po’ di calore. Mi metto sotto i raggi del sole a preparare lo zaino.

I cani intanto non abbaiano più anche se mi vedono dalla finestra.

Parto con un bel sole che mi scalda, il sentiero invece è messo male. È dimenticato da chissà quanto, nonostante sia entrato nel Pollino che è Parco Nazionale e nonostante si raggiunga un posto molto interessante, La Tavola dei Briganti: una roccia lavorata dagli agenti atmosferici che l’ha trasformata a forma di fungo. Ora è puntellata per preservarla. Difficile trovare il sentiero per la coltre di foglie che lo ricopre, anche i rami intralciano il passaggio. Lo ritrovo perché c’è una staccionata semi distrutta e poco dopo arrivo alla Tavola dei Briganti.

Prosegue un sentiero poco chiaro, quei pochi segnavia che c’erano ora non ci sono più. Sotto di me un tratturo, lo raggiungo e mi porta in una strada forestale. Prendo verso est, seguo un pezzo la strada fino ad un segnavia che sembra confermare la strada che sto percorrendo, e il sentiero si trova scavalcando la piccola salitina proprio in curva. Poi si volta verso la strada meno ovvia e messa peggio. L’anno scorso naturalmente avevo continuato in direzione della strada forestale andando in a cacciarmi nei guai. Qui è decisamente meglio di quanto ho percorso l’anno scorso, ma non lo definirei comunque un percorso agevole. Lascio la strada e spero di cavarmela e non finire nei guai. Metà e metà. Ci sono pochi segnavia, ma ci sono. Il sentiero è dimenticato. Rami, foglie e passaggi di animali selvatici complicano le cose. A terra trovo una piccola lastra di ferro che penso mi tornerà utile per sistemare il bastoncino malandato.

Intanto un ramo si infila nella parte frontale della scarpa destra e la lacera. Ho un buco di circa 3 cm sul fianco destro. Così ora sassi e foglie potranno entrare ancora entrare più comodamente. Il sentiero incontra un tratturo, pieno di sassi e tutto rotto. Arriva alla Madonna del Pettoruto poi tramite strada va a San Sosti. Sono in tempo per la spesa. Compro il pranzo e la cena e cerco un ferramenta per sistemare il bastoncino. Non riesco a fare un ottimo lavoro ma non ho idee su come fare con quello che posso trovare in una ferramenta.

Non potrò forzare troppo sul bastoncino ma è sempre meglio che proseguire con uno solo, proprio ora che mi aspetta una salita in un unico tiro di 1200m. Dopo il pranzo esagero e mi prendo pure il gelato: mezzo chilo. Forse è troppo e così sento la pancia gonfia, tanto che devo prendere la salita con molta calma, come una passeggiata, almeno fino a quando non passa la sensazione di gonfiore. So che se dovessi spingere, bloccherei la digestione e finirei per rimandare, perdendo una giornata per riposare. Salendo incontro caprioli e cinghiali. La salita non è di immediata individuazione, e se ogni 400m non vedessi dei segnavia giurerei di essere sulla strada sbagliata. Dopo molte difficoltà raggiungo una Piana nel punto più alto della giornata, 1600m.

Il prato è cosparso da margherite. Mi concedo una pausa per gustare un po’ di tranquillità con del cioccolato ed una pera. Riprendo su una strada a tratti rotta, pure una frana restringe il passaggio. La strada poi si interrompe e diventa sentiero. Nemmeno a dirlo. Rami e foglie. Lo perdo, allora faccio riferimento alla mia traccia dell’anno scorso e lo ritrovo. Anche qui tutto poco chiaro ma arrivo finalmente al Piano di Lanzo dove trovo il vecchio rifugio abbandonato.
Si trova su una strada asfaltata, che presto devo lasciare a favore di una strada forestale che subito diventa un traccia di bestiame. Quest’anno sono fortunato perché le felci ed altre piante che crescono piuttosto alte non sono ancora nate e la visibilità è decisamente migliore. Resta il problema della segnaletica messa in malo modo.

Mi devo aiutare con la traccia ancora. La direzione è giusta, il sentiero richiede un occhio attento. L’anno scorso ero più preciso nella individuazione dei segnavia, quest’anno con la traccia mi sento più sicuro, ma un colpo lo sbaglio. Finalmente incontro una strada ed ora proseguo più sereno. Comincia a fare freddo e così metto la felpa. Sono a 1500m e direi che ci sta anche alle 18.

Seguo i segnavia e quando mancano seguo la strada principale nella direzione più coerente con il punto di arrivo. Non ci sono segnavia da 500m. Proprio dove l’anno scorso mi sono trovato in difficoltà. Quindi riprendo la mia traccia vecchia e la seguo perché ero arrivato dal punto sbagliato ma avevo casualmente incrociato i segnavia e poi ero riuscito a seguire il sentiero. Taglia nel bosco, probabilmente il punto con il ricordo più brutto, un tratto che mi dava una brutta sensazione. Per niente bello, buio, tetro e segnalato male. Mi offre un ottimo allenamento visivo. I segnavia sono tra i più nascosti. Quest’anno però non riesco a seguirli. Sta diventando piuttosto buio nel bosco e quasi quasi mi infilo in pantaloni, ma mancano 3km a dove ormai ho deciso di passare la notte. Praticamente dove l’ho fatto l’anno scorso. C’era una casetta abbandonata. Di nuovo su una pista buona che scende fino al mio posto tappa. Manca poco. Non ho fatto molti km oggi, sembra piuttosto una tappa alpina per distanza e dislivello, tra le più facili, ma ci somiglia.

Eccomi alla casetta, entro e naturalmente non c’è nessuno. La trovo come l’anno scorso. Qualche barattolo di conserva e delle bottiglie vuote. C’è una bottiglia di menta che non ricordo. In un angolo il letto. Il materasso è sporco, lo giro per vedere se dall’altra parte è meglio ed è decisamente più pulito. Non sembra nemmeno umido. Nel angolo opposto un bidone, un barile come quelli dell’olio da 250 litri. Non c’è la parte superiore. Dentro purtroppo ci trovo due ghiri, sembrano abbracciarsi, ma sono morti ed appiattiti dal tempo.

Sistemo il materassino sopra il materasso, mi siedo e mangio. Comincio ad avere freddo ed entro nel sacco a pelo. Entra una leggera luce dalla porta. La luna sta illuminando il paesaggio fuori.

Giorno 32

Alle 3 di notte mi sveglio, mi sento riposato. Potrei partire, ma ci sarebbe buio per troppo tempo penso. Mi giro e riprendo a dormire. Alle 6.30 mi sveglio ed è chiaro fuori per la luce che filtra. Apro la porta per fare entrare la luce e sistemare lo zaino. Da subito, appena partito mi si raffreddano le mani.

Sono dentro una valle e le temperature non si sono ancora alzate. Mi avvicino a Piano Novacco ed ogni tanto i raggi del sole mi raggiungono e subito ne sento il tepore. Seguo l’asfalto fino al Piano di Masistro, una grande area picnic sotto un boschetto di pini e poi tutto prato, la strada diventa un tratturo, il terreno si riempie di fiori. Un altra piana dove non c’è segnaletica e senza la traccia trovata su internet l’anno scorso, non saprei dove andare.

Le scarpe sì riempiono di terra per le zolle create dalle talpe. Il sole intanto sta cominciando ad essere aggressivo. All’inizio della salita decido di fermarmi per togliere i pantaloni. Ho caldo. La felpa aspetto perché c’è un leggero venticello che non mi convince ancora. Faccio bene, sono caldo a fine salita, ma ritornando in piano la temperatura si abbassa. Nemmeno qui c’è una traccia ben evidente. Solo qualche scarso segnavia. In discesa li seguo e poi li perdo. Anche l’anno scorso la stessa situazione. Quest’anno un po’ meglio. Nella mappa satellitare vedo che scendendo verso calle in maniera diretta dovrei recuperarlo, infatti è così. Ora lo seguo senza problemi per tutta la piana fino alla strada asfaltata. Uno sbiadito segnavia sull’albero che vedo solo perché so la direzione da prendere.

250m dopo si prende un sentiero finalmente come si deve. Non dura molto però. Quando comincia la discesa è pieno di rocce, forse è una vecchia strada tutta rotta. Mancano i segnavia e l’anno scorso infatti avevo mancato una deviazione, la mappa del CAI qui è giusta, ma il segnavia è messo troppo dentro nel bosco per essere visto dal sentiero più grande. Dentro nel bosco i segnavia sono molti, ed essendo un sentiero unico senza deviazioni non guardo nemmeno più i segnavia.

Ecco che arriva un bivio, la prima impressione è di continuare nella stessa direzione da cui si è arrivati, ma non vedo segnavia dopo 20 metri e mi viene il dubbio. Infatti c’è n’è uno nascosto nell’altra direzione. Ora scendo più deciso verso Morano Calabro, vedo le case e subito dopo imbocco la strada. Finalmente un cartello, l’anno scorso mi aveva fatto capire di aver sbagliato strada. Entro in paese per fare la spesa, c’è un alimentari subito a sinistra. Prendo solo per oggi perché ho un pasto e domani in serata dovrei raggiungere Latronico dove c’è un supermercato. Mi fermo nella fontana li vicino per pranzare. Sono contento di essere riuscito a fare un tempo per la chiusura. Pranzo senza fretta e per le 13 sono i piedi verso la Basilicata. Da qui, se non ricordo male, è tutto segnato. Fa caldo, riempio la borraccia prima di partire. Ho un avvicinamento di 6km su asfalto e le temperature sono buone, ma finisco l’acqua. La zona è ricca di acqua e le fontane abbondano. Ad inizio salita la riempio ancora. Ora devo salire fino a 1600m,è una salita impegnativa ma mi metto di impegno per fare del mio meglio.

Un sentiero curato, perché molto turistico. Alle 16 sono a piano Gaudolino.

Saluto contento la Calabria che è stata una regione lunga e piena di difficoltà. Ho visto anche dei posti molto belli in cui un giorno penso di tornare, anche se ricorderò molto bene anche le sue ostilità che mi hanno messo alla prova.

 

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