Campania 2017

Giorno 35

Sono le 10.10 ed arrivo al valico del Fortino, la strada fa da confine. Prendo una secondaria in discesa. Il sole ancora non è caldo e l’aria è fresca.

Partiamo subito con una deviazione molto bislacca. Ci di sposta dalla principale per prendere un tratto, naturalmente messo male, di una strada di campagna, che si ricollega alla principale 200m dopo. Bah. Nel campo ho camminato in maniera strana per evitare l’erba alta ed ora ho una sensazione strana nella parte posteriore delle gambe, sembra quasi l’inizio di un crampo. Passa quasi subito per fortuna. Il sole si copre di nuvole e rimetto la felpa. Ora vedo i primi segnavia, si accende come una speranza. Prosegue tutto bene su asfalto fino ad un altra deviazione che mi lascia un po’ perplesso. Prende un sentiero pieno di pietre, che per fortuna non presenta altri ostacoli, ed arriva nei pressi di 4 case dove ci sono fuori i proprietari che stanno facendo la spesa da un supermercato a 4 ruote.

Una scena che mi pento di non aver ripreso. C’erano le capre nel recinto, una signora anziana che si teneva in piedi con un bastone, il marito che mi guardava senza dire nulla. Il “negoziante” con la merce in mano e delle capre sullo sfondo il tutto con dei cani che abbaiavano. Ritorno sull’asfalto dopo questa scena così lontana e ancora attuale in alcuni piccoli borghi.

Un chilometro più in là lascio l’asfalto per una strada bianca che mi porta verso un prato ed il sentiero non è più chiaro. Qui è davvero difficile proseguire, una zona di rocce calcaree affioranti. Seguo una direzione che mi sembra la migliore e la più ovvia, ma invece di salire devo scendere. Torno indietro e recupero il sentiero poi di nuovo su asfalto.

Mi fermo per pranzare. Il cucchiaio al solito posto non c’è. Controllo meglio, niente.

Potrebbe essere finito nella spazzatura questa mattina a Lagonegro. Svuoto lo zaino e controllo dappertutto. Non c’è. Non ricordo dove ho buttato la spazzatura. Intanto mangio i fagioli grazie alla gravità. Mentre mangio ricordo dove ho buttato la spazzatura. Vicino alla pizzeria. Ci tengo al cucchiaio, l’ho sempre portato con me durante le escursioni. Tra l’altro è una delle pochissime cose che mi ha seguito per tutto il Sentiero Italia l’anno scorso.

Riprendo a camminare ed intanto penso come fare per recuperarlo. Devo lasciare la strada ancora per un tratto malmesso che avevo affrontato anche l’anno scorso. Scende per incrociare una strada più bassa. La seguo per 500m e poi un altro tratto nuovo. Non è male, ma è un altro pezzo con calcare che a forma di lame affiora dal terreno.

Il telefono prende, chiamo la pizzeria per vedere se il cucchiaio è ancora lì, ma la hanno raccolta poco prima. Dispiaciuto di questa cosa continuo a camminare. Dovrò procurarmene uno nuovo.

La discesa continua in un canale dove a monte ci sono un tavolo e delle panchine e scendendo anche una staccionata ad indicare il sentiero. La staccionata è solida, ma è un sacco di tempo che non puliscono questo sentiero. Nonostante tutto non devo abbassarmi e impegnarmi per evitare le piante, specialmente quelle con le spine visto che ora ho il giubbotto impermeabile perché le temperature si sono abbassate. Esco dal bosco e trovo una strada di campagna, comincia a piovigginare. Poca ma fitta. Non ho i pantaloni impermeabili, ma penso di resistere. Le temperature non sono troppo basse e decido di arrivare fino a Sanza. Ora è semplice, basta seguire la strada. Così arrivo fino alla principale asfaltata che porta a Sanza. In centro mi fermo sotto un albero per mettere pure i pantaloni impermeabili.

Chiedo a due locali, sui 70 probabilmente, se al Rifugio Cervati c’è qualcosa di aperto, un locale invernale o qualcosa. Mi dicono che è tutto chiuso a chiave e che c’è la neve. Ma il punto più alto del gruppo è a 1800 circa, lo faccio notare. Rispondono con 1800, poi 1900 poi si, 2000.
2000 metri conferma l’altro. Ho capito che non ne sanno troppo di come sia lassù e che volevano farmi vedere che loro sapevano. Dubito di trovare la neve ad una quota così bassa, ma se c’è, è sicuramente poca e non mi intralcerà. Sono indeciso se partire o meno. Rischio davvero di passare la notte al freddo e, la cosa che mi preoccupa di più, all’umido. Senza contare che potrebbe piovere.

Sono le 16.30. Ho a disposizione ancora un bel po’ di luce. Parto. Nella peggiore delle ipotesi andrò avanti fino a Piaggine che dista circa 25km.

Esco dal paese e smette di piovere. Continuo in piano per 1km e sto bene vestito così, ma come comincerà la salita meglio spogliarsi.

Appena ricomincia la salita mi scaldo e tolgo pantaloni impermeabili e giacca. Verso gli 800 metri ricomincia con la pioggia. So che la salita durerà ancora 1000m fino in cima così resto in canotta e pantaloncini e sopra giacca e pantaloni impermeabili, altrimenti avrei troppo caldo. Apro tutto perché la salita è tosta, sto cucinando lentamente dentro questo guscio. La pioggia va e viene, lasciando una forte umidità. Non fa particolarmente freddo. Esco per un po’ dal bosco e sembra faccI pure più caldo. Devo trovare assolutamente un posto dove passare la notte. Questa umidità in poco tempo entrerà nel sacco a pelo raffreddandomi. A 1400m la pendenza cala ed allora chiudo le aperture laterali e frontali.

I piedi sono umidi, ma non freddi. Voglio arrivare fino alla fontana del Prete perché ricordo di aver visto una struttura che potrebbe avere una legnaia o un coperto per me. Alla fontana faccio rifornimento di acqua visto che sono rimasto senza da Sanza semplicemente perché non avevo voglia di riempire la borraccia.

Mi pare di sentire odore di fumo. Ma con l’umidità ed il vento potrebbe venire da troppo lontano.. Si perché fumo significa che qualcuno in zona ha acceso un fuoco e quindi potrebbe fornirmi un riparo.

Arrivo nella piana dove avevo visto la struttura, ci vedo una casetta e del fumo che esce. Nella struttura che avevo visto, quella più grande c’è scritto rifugio. Potrebbe essere un bivacco. Ci sono due tizi dentro. Ed è probabilmente loro l’odore di fumo. Sono due fotografi amatoriali che con questo tempo non hanno portato a casa granché. Non resteranno la notte, mentre mi spoglio per approfittare del fuoco ed asciugare tutto spiego la mia storia. Mi conoscono già, almeno per sentito dire o raccontare da un amico, Michele, che l’anno scorso ha voluto incontrarmi ed abbiamo passato la notte in un riparo dietro una caserma. Mi spiegano che questo è il bivacco del rifugio Cervati, aperto da poco perché lo hanno ristrutturato l’anno scorso. Io pensavo il rifugio fosse in cima, quello invece è il “Rifugio del Pellegrino” anche li ci sarebbe uno stanzone dove potrei passare la notte, ma ho già chiuso la traccia e non mi va di cominciarne una nuova per oggi.  Saluto Guido e Walter e mi metto davanti al fuoco ad asciugare per niente le scarpe visto che in un minuto domani saranno già strapiene di acqua.

Mangio e mi godo un po’ il fuoco. Mi sistemo di sopra dove dovrebbero esserci temperature più alte e passo la notte sereno al riparo dal freddo e soprattutto dall’acqua.

Giorno 36

Ho passato bene la notte, mi sono svegliato solo una volta, ed il camino ha permesso di dormire un un ambiente asciutto e confortevole. Esco da sacco e non fa freddo, scendo e le scarpe sono asciutte, Quando le indosso mi accorgo che si son strette, ma appena uscirò si ammorbidiranno grazie all’umidità. Vorrei restare qui, aspettare che esca il sole e tornare a valle.

Esco e non fa così freddo e così umido, sembra stia migliorando. Comincio la salita e solo la punta delle scarpe si bagna, il resto è asciutto perché dopo il prato è tutto rocce e foglie. Fa caldo in salita. Dopo la cima si aprono le nuvole e le vedo solo sotto di me. Se il sole farà il bravo in qualche ora se ne andranno. In cima entro in una conca dove la nebbia regna, ed arrivo fino al Rifugio Pellegrino, un grande stanzino dove avrei potuto passare la notte, ma forse non avrei dormito così bene. La porta non si chiude e ci sono molti spifferi.

Scendo nel bosco sulla strada che porta al Rifugio, ad un tornate prendo la costa del monte su un sentiero che mi porta a scendere nel bosco per spostarmi nell’altro versante. Proseguo bene perché non ci sono molti rami od ostacoli e presto arrivo in un tratturo rovinato dai 4×4. Scendendo migliora e diventa una strada bianca fino alla provinciale che ha più l’aspetto di una strada di campagna. Non c’è asfalto, né cemento né più segnavia. Solo sassi. Scende molto piano verso Piaggine fino ad una strada asfaltata. Non fa ancora caldo e resto volentieri dentro il giubbotto. Mi fermo per i bisogni e mi trovo una zecca attaccata, viene via non con facilità, viene via intera, devo controllare il resto del corpo appena possibile.

Arrivo al paese e le case sembrano più quelle di un borgo, tutte in sassi. L’alimentari è tra i più piccoli che abbia incontrato, e davvero non ha nemmeno pane né tantomeno fagioli, potrei prendere una pasta ed altro condimento, ma non ho il fornello, chiedo se c’è un altro alimentari in paese e rispondono di sì.  In piazza c’è WiFi gratuito e devo approfittare per aggiornare un po’ di cose. Dedico almeno 45 minuti a questa cosa. Sono le 10.30 passate e decido di partire per non perdere troppo tempo. Faccio la spesa e comincio la risalita. Le tracce mi porterebbero sulla statale, ma so di una strada meno trafficata in cui pure accorcio, perciò la prendo.

A mezzogiorno mi fermo sulla strada per mangiare. Il tempo è balordo e prima fa caldo, e ora che sono fermo fa freddo. Riparto e dopo 10 minuti sono in canotta. Al santuario del Monte Vivo ricominciano a comparire i segnavia, poi di colpo si interrompono. Cerco, dedico 4-5 minuti alla ricerca e poi abbandono. Salgo fino alla sella dove so che devo andare cercando il percorso più facile. Anche l’anno scorso la stessa storia. Valicato la sella, ricomprare qualche segnavia e la temperatura scende. Cerco di resistere perché a breve uscirò dal bosco e ci sarà il sole. È così, ma c’è pure il vento. Fino a quando sono in salita resto in canotta, poi rimetto la felpa e faccio bene perché sembra il tempo stia cambiando. Scendo e raggiungo il passo della Sentinella, prendo la strada e sui monti dove mi trovavo circa 2 ore prima ci sono nuvole grigie che si spostano velocemente verso di me e nella direzione in cui devo andare.

Proprio sulla strada trovo una casetta in legno che potrebbe offrirmi un riparo, ma è presto e continuo. 100 metri più avanti sento dei tuoni e mi ricordo di avere problemi con la giacca. Torno indietro al riparo. È molto presto per finire la giornata. Aspetto la pioggia che sbatte sui vetri. Arrivano solo il sole e vento. Mangio le arachidi che mi restano, due mele. E ormai decido di passare la notte qui per svegliarmi molto presto per recuperare i km che non sto facendo ora. Apro i fagioli e comincio la cena.

Mi sto rilassando, ed arriva un messaggio. A circa 15km lungo il sentiero potrò trovare un riparo per la notte. Non ci penso molto, faccio lo zaino e parto. Ormai è passata mezz’ora e le nuvole sembrano essersi stabilizzate sui monti già passati. Mentre sono per strada mi dicono che mi stanno portando apposta le chiavi. Chiamo immediatamente per fermare tutto. Spiego che sono partito per questo viaggio per arrangiarmi e non per far fare le corse ad altri per permettermi di passare la notte tranquillo. La tenda c’è l’ho a casa per un valido motivo. Vedere cosa sono in grado di fare in difficoltà. Così evito di far salire una persona da Salerno e farsi 2 ore di auto per raggiungermi e poi altre 2 per ritornare a casa. Intanto entrando in una vallata mi si apre la vista e dove sto andando il cielo è grigio e cupo. Devo fare in fretta.

Sto marciando veloce perché vorrei arrivare prima del temporale ma 10 chilometri sono circa 2 ore. Può succedere di tutto, non c’è molto dislivello, ma la distanza è sempre la stessa. 5 chilometri passano in fretta su comodo asfalto, sono quasi alla fine della salita. L’anno scorso ho svoltato a sinistra nella prima strada bianca, ma un segnavia su un palo e la traccia mi farebbero continuare altri 70m. Continuo e non mi accorgo di aver percorso i 70m. Torno indietro e dove va la traccia non c’è nulla, scopro perché non me ne sono accorto. La traccia va in mezzo al bosco tra alcune rocce, ma non c’è segno di passaggio ne altro. Torno indietro alla stradina che avevo preso io. Nessun segnavia.

Allora probabilmente l’anno scorso ho sbagliato, ritorno a percorrere la strada in salita. Ad un tornate la conferma dei segnavia, quindi sono sulla giusta strada. Continuo per almeno 500m e non ne vedo altri, e mi sto allontanando dalla meta finale. Spero in un bivio che riprenda la direzione giusta. Lo trovo, vedo un segnavia nella direzione in cui sono arrivato, ma non nell’altra. Provo ad andare un po’ più avanti ma nulla. Prendo la strada in discesa che sembra vada in direzione nord. Incrocio diversi tratturi ma nessuna indicazione. Ora la strada sembra vada di nuovo verso sud-ovest. Ho percorso almeno 2,5 chilometri dalla deviazione che avevo preso l’anno scorso, ma non capisco perché avevo scelto proprio quella strada che non ha nessuna indicazione. Non so dove sono e dove sto andando. Tra poco il sole tramonterà e diventerà tutto più complicato. Decido di tornare indietro e prendere la strada che avevo preso l’anno scorso.

Ritorno a guadagnare quota ed arrivo al punto in cui la traccia mi portava. Controllo meglio ma non c’è nulla che faccia pensare ad un sentiero. Un po’ più avanti la strada da prendere. La seguo e fino a percorrere 200m nel bosco non vedo segnavia. Non riesco a capire come abbia potuto scegliere proprio questa strada. A terra è molto umido e le foglie bagnano le scarpe, ci sono diversi tratturi, ma la segnaletica è abbastanza efficiente. Incontro anche dei segnavia a bandiera rosso-bianco-rosso con la scritta SI.

Sono giusto allora, ed ancora non capisco come possa aver azzeccato la strada. Sbaglio anche tratturo perché le tracce passate dal CAI sono imprecise o vecchie. Seguendo la mia invece riesco ad essere fedele al sentiero. Tra gli alberi vedo un bel tramonto, mi ritengo fortunato che non abbia cominciato a piovere. L’ultimo chilometro è in falso piano nel bosco e poi un prato dedicato al pascolo, infatti lontano sento dei campanacci. In questo ultimo tratto do il colpo di grazia alle scarpe riempiendole di acqua come fossero una vasca. Arrivo al Casone Aresta, ci sono delle mucche ma non hanno il campanaccio, così non mi disturberanno il sonno per tutta la notte. Al Casone c’è un porticato che sembra sia usata per stendere i panni e a terra letame. Non voglio rischiare di dovermi alzare la notte per la pioggia, rovinarmi il sonno ed in più cercare un riparo al buio.

C’è un sacco di umidità, mi sistemo alla meglio ed il profumo di “mucca” concilierà il sonno.

Giorno 37

La notte non ha piovuto, ma ero circondato da nuvole e tutt’ora è umido. Le scarpe non si sono asciugate, e presto ritorneranno molto bagnate. Il primo tratto è su prato ed i piedi si rinfrescano per bene. Non me ne preoccupo troppo perché so che oggi sarà una tappa facile su asfalto. Scendo molto a valle anche sotto i 200m vicino a centri abitati.

Entro nel bosco e la segnaletica è scarsa, ci sono diversi passaggi di bestiame e non è facile districarsi. Le tracce continuerebbero accorciando su un tratturo, la segnaletica va a favore di una strada bianca. La seguo e ad una curva mi fa entrare nel bosco dove presto la perdo, cosa successa anche l’anno scorso. Cerco di riprendere la strada e poi più avanti anche le tracce.

Mentre le raggiungo scopro che le tracce anche qui sono sbagliate e qui in modo netto, sicuro per una bandierina con la scritta SI. Continuando la segnaletica si discosta ancora dalle tracce, raggiungo una fontana dove prendo dell’acqua e continuo in direzione degli altri segnavia, sono leggermente diversi, più grandi, ma ben visibili. Mi portano nella direzione sbagliata, allora ritorno verso la strada che stavo percorrendo fino ad un bivio dove c’è una variante del sentiero. O salire sul monte Alburno o restare chiuso nel bosco e vedere solo alberi. Si sale naturalmente. La strada si trasforma presto in tratturo e scopro da dove veniva il forte odore di erba cipollina che ho sentito in Basilicata qualche sera fa. Proviene dall’aglio selvatico.

Il tratturo diventa sentiero quando incontra il crinale, anche la pendenza aumenta e fuori dal bosco si complica anche di più per via dei piccoli  salti di roccia calcarea. Mi aiuto con le mani in alcunoi punti. Avevo stimato di arrivare proprio ora a Sicignano, dove mi aspetta Attilio per la ricarica delle batterie. Purtroppo dovrà aspettare ancora un po’. Lo avviso quando sono sulla cima. Il panorama si apre a 360°, solo qualche nuvola sotto la cima verso est. Non resto molto in cima perché mi aspettano.

Anche per il primo tratto di discesa è arduo, una volta entrati nel bosco è tutto più facile, un corridoio tra gli alberi segnato dal quale è difficile scappare. Al Vacuo dell’Arena si cambia versante e si va a Nord, il pendio è molto più ripido. Comincio a divertirmi perché sto camminando molto velocemente e sembra quasi una corsetta, mi lascio trasportare a valle dalla gravità. Più giù la pendenza cala e la vegetazione aumenta, ma non mi dà problemi, incontro una strada bianca e poi una lunga scalinata una di quelle insopportabili perché gli scalini non sono regolari. Proprio dove comincia l’asfalto c’è Attilio, mi scuso per il ritardo di quasi in ora. Mi ha procurato il burro cacao che avevo chiesto ed un cucchiaio di plastica. Andiamo a prendere un caffè e mi spiega un po’ i sentieri per le prossime tappe fino a Senerchia.

Ci salutiamo dopo avergli consegnato le batterie. Mi incammino verso l’alimentari ed un ragazzo mi ferma per chiedermi se sono Lorenzo. Un suo amico in Piemonte mi segue sui social e lo aveva avvisato del mio passaggio prossimo in zona. Mi accompagna a fare la spesa e me la offre pure. Chiede se ho bisogno di altro e spiego che non ho intenzione di fermarmi. Si fa un piccolo tratto di sentiero con me. La prima persona che mi accompagna lungo in Sentiero Italia.

Alla fine del paese mi lascia, ed io comincio il lungo tratto di asfalto. Ho i piedi umidi da quando sono partito, a mezzogiorno e mezzo mi fermo sul ciglio della strada per mangiare, tolgo le scarpe e mi gusto il caldo asfalto sotto i piedi. Strizzo le suole ed esce un liquido marrone intenso. Come cioccolato al latte. Tutta la terra che rimane intrappolata nella trama fitta della soletta in spugna. Riprendo a camminare, passo per la stazione dei treni di Sicignano, più sotto l’autostrada A2 e proseguo fino a Palomonte, poi verso Colliano. Qui avviso Mario che ha le mie batterie, lasciate da Attilio per comodità perché lui abita a Salerno ed invece Mario a Sicignano quindi molto più vicino. L’incontro è fissato tra circa un ora a valle vicino ad un incrocio della zona industriale.

Non saranno del tutto cariche perché sono stato “troppi veloce”, ma mi permetteranno di raggiungere la zona di Avellino dove ho un altro contatto. Mi siedo per terra vicino all’incrocio e mentre attendo mangio del pane con il cioccolato. All’ora stabilita avviso Mario del mio arrivo, è già arrivato ma mi attende all’incrocio precedente. Mi raggiunge con le batterie e qualche domanda. Anche suo figlio che è presente vuole sapere qualcosa di più sul mio viaggio.

Purtroppo sono di fretta perché devo arrivare a Senerchia in tempo per fare la spesa. Ricomincio a buon passo per arrivare alle 19.30, penso chiudano alle 20, ma non si sa mai in questi paesini. Mi hanno anche avvisato che ad Acerno il pomeriggio non troverò aperto l’alimentari quindi devo fare per forza in tempo altrimenti devo aspettare domani mattina l’apertura e sicuramente non riuscirò ad arrivare a Acerno prima di mezzogiorno.

La strada asfaltata  la lascio quasi subito per una di campagna, controllo costantemente l’orologio ed i km mancanti, dovrei arrivare giusto qualche minuto prima delle 19.30. Succede l’inaspettato proprio ad 1km dal paese. La strada di campagna continuerebbe comoda a mezza costa, ma io devo salire e la traccia i porta dritto tra i rovi. Non è molto 70m, ma quelli che ti fanno perdere tempo quasi come fossero 500m normali. Ne esco e ritrovo la strada, è franata o la vegetazione ci è cresciuta sopra. È un tratto pieno di detriti in cui c’è qualche tratto pulito che seguo, ma portano nella direzione sbagliata. Allora dritto per dritto prendo la direzione delle tracce sul telefono. Arrivo su una strada sicuramente abbandonata che porta su un’altra percorsa da greggi e finalmente la trovo pulita, la segu, ma anche questa dopo una salita di 30m non va nella direzione giusta. Recupero e mi ritrovo una recinzione. Scavalco senza pensarci perché di là c’è una strada buona che poi mi porterà al paese. In centro chiedo ad un passante dove trovo l’alimentari. C’è ne sono due, molti vicini, li vedo dalle insegne. Entro nel primo, ma non hanno tutto quello che voglio. Nel secondo invece riesco a fare la spesa completa. Mi spiegano come he potrei trovare un riparo lungo il sentiero, vicino ad una chiesa.

Esco da Senerchia e subito trovo il borgo San Michele. Non capisco se è disabitato o meno, ma ci sono delle luci per la stradina del paese.

Comincio a salire e trovo i segnavia, è buio e li perdo. So che vicino c’è una strada dove le tracce del CAI passerebbero, così mi dirigo verso la strada. Percorrendo la strada ritrovo i segnavia, che lasciano  la strada e quindi si discostano dalle tracce del CAI. Salgo fino a 1000m circa dove trovarmi la chiesa, non vedo la copertura, ma mi sistemo in modo da proteggermi dal leggero vento. Sotto le luci della valle brillano, e nel cielo la luna piena si sta alzando.

Giorno 38

Mi devo o alzare presto per arrivare in orario all’alimentari, vedo le primissime luci in direzione del sorgere del sole.

Una leggera pioggia mi attiva e scatto in piedi per rimettere tutto nello zaino. L’alba sta regalando colori strepitosi. Comincio a salire ed incontro quasi subito problemi, le tracce si discostano dal sentiero, e purtroppo è segnato male e non lo seguo proprio fedelmente. Ogni tanto cade qualche goccia di pioggia. Non ci sono temperature alte anche per il vento che incontro percorrendo la cresta. A 1400 un vecchio rifugio della forestale, e nemmeno qui trovo buona segnaletica. Devo grossomodo seguire il crinale e c’è un tratturo che ogni tanto è il sentiero, ogni tanto no, così devo prestare molta attenzione ai segnavia perché non sono evidenti, e così anche il sentiero.

Il vento soffia forte, ma con la giacca ho caldo, la tolgo. Poco prima della cima del Monte Polveracchio arriva di colpo la pioggia, mi vesto in fretta perché con queste temperature non voglio restare bagnato. C’è anche qualche piccola macchia di neve sul sentiero. In cima il panorama ancora una volta merita, le nuvole sono tutte sopra di me e la visibilità è molto buona, vedo anche il mare. Non ci resto molto perché le temperature sono ancora basse e comincio la discesa su una strada bianca, sono contento perché risparmierò i grattacapi della salita, ma sono il solito ottimista.

Si finisce nel bosco in un sentiero. Percorro il crinale ovest dove si prosegue a vista, o come preferisco definirlo io, a caso. La traccia non è evidente e proseguo su tracce di bestiame, poco sotto la cresta. Sono finito qui naturalmente seguendo quello che credevo fosse il percorso migliore.  Un chilometro dopo decido di tornare in cresta per vedere se il sentiero è realmente lì.

Effettivamente sporadici segnavia anziani raccontano di rari passaggi di persone da queste parti. Di colpo il sentiero devia per cominciare una discesa più decisa, ma senza la traccia del CAI avrei sicuramente mancato il punto. Non ci sono molti rami ed il terreno è soffice, foglie e terriccio umido attutiscono l’impatto con il terreno finendo anche dentro le scarpe ormai più aperte che chiuse nella parte frontale. Due chilometri di discesa semplice e mi collego con la variante percorsa l’anno scorso. Purtroppo da qui cominciano i guai. Un tratto davvero trascurato e con del buon potenziale turistico. Un sentiero facile che si sonda lungo il corso di un ruscello, verso Acerno ci sono pure dei ponticelli e delle staccionate, ma tutto abbandonato semi-decadente e coperto da vegetazione.

Mi sono fatto male alla caviglia perché una pianta con spine si è impigliata nella zona del tendine sinistro ed ora la scarpa non permette la guarigione perché tocca proprio la zona ferita. Diciamo che questo non aiuta a restare calmo assieme alle difficoltà che ho incontrato per proseguire. Sull’asfalto mi fermo per togliere tutto il ben di dio che mi é entrato nelle scarpe nonostante il presidente del CAI di Salerno mi sta aspettando ad Acerno. Quando arrivo in paese lo avviso del mio arrivo, intanto vado a fare la spesa visto che sono arrivato in tempo.

In realtà sono arrivato prima io perché mi raggiungono all’alimentari.

Sandro è arrivato con due amici di Acerno. Andiamo al bar per raccontarci qualche storiella. Come al solito domande ed io rispondo. Il tempo passa e non me ne rendo conto, un ora e mezza è volata.

Sandro vorrebbe fare un tratto con me, quindi mi aspetterà più avanti vicino ad un rifugio a sei chilometri da qui. Io riprendo da Nord del paese, il sentiero comincia bene poi tende a chiudersi. Un locale, vedendomi passare in pantaloncini, mi dice che sarebbe il caso di portare un paio di pantaloni lunghi… Quanto lo capisco.

Rispondo che invece di condizionare me, viste le temperature di adesso sarebbe il caso di pulire il sentiero e renderlo percorribile facilmente. E mezzogiorno e mezzo passato, non ho molta fame e decido di arrivare a rifugio per l’appuntamento e pranzare li, così con la pancia piena partirò con più calma. Mi metto d’impegno per recuperare più tempo possibile, il sentiero è buono, hanno fatto una piccola variante facendomi restare sulla strada bianca per non passare in un piccolo sentiero a fianco al ruscello che l’anno scorso non avevo trovato in condizioni buone.

Controllando l’orologio mi ritrovo in anticipo rispetto l’orario che avevo dato a Sandro. Cerco di avvisarlo ma il telefono non prende. Vabbè avrò altro tempo perché mi fermerò a mangiare. Altrimenti inventerò qualcosa per fargli capire che sono già passato. Non ho nemmeno della carta per poter scrivere purtroppo. Mi dispiacerebbe lasciarlo li ad aspettare magari preoccupandosi per il fatto di non vedermi. Fortunatamente lo vedo sulla strada che mi viene incontro. Passiamo il rifugio e ci fermiamo poco dopo vicino una fontana. Mi spiega che questi sono i suoi monti di casa che conosce molto bene, infatti mi racconta un sacco di cose mentre sono a terra a mangiare. Mi offre due arance e due banane. Sono le prime due banane di tutto il viaggio. Quando riprendiamo discutiamo sulla segnaletica presente e ci troviamo d’accordo. Il passo è un pelo più tranquillo del mio solito.

Arriviamo alla grotta dello Scalandrone, chiamata così per una vecchia scala posta vicino la grotta un un tratto pericoloso. L’anno scorso non sono riuscito a visitarla perché la torcia era scarica o non funzionava, non ricordo bene. Entriamo e la temperatura è decisamente più bassa, il rumore di una cascata interna rimbomba sulle pareti. Mi accompagna dentro e ci avviciniamo alla cascata in modo da poterla vedere. Dobbiamo aiutarci con le mani e scendere con cautela. È tutto umido è da l’impressione di essere scivoloso. In realtà le rocce permettono una buona aderenza, ma gli appigli non sono molti. Illumino con la torcia l’ambiente, stalagmiti, un laghetto, una piccola spiaggia e la cascata. Cosa mi sono perso l’anno scorso! Mi accorgo di essermi abituato alla temperatura della grotta anche se esce un gran fumo dalla bocca. Qualche minuto per foto e video e usciamo. Il cambio di temperatura è drastico, era quasi più piacevole all’interno.

Sentire il calore scaldare le membra mi fa ricredere quasi subito. Siamo nel bosco e non direttamente al sole e non è una giornata torrida.

Sandro propone una deviazione per vedere la cascata all’esterno della grotta. Tutta l’acqua che esce dalla grotta poi finisce subito su un salto di circa 12 metri. Anche questo meritava un po’ di tempo.  Ritorniamo sul sentiero e poco dopo cominciamo a trovare problemi. Il sentiero tende a chiudersi ma ancora la vegetazione è giovane e non intralcia come l’anno scorso. Stiamo procedendo piano ed io ho bisogno di recuperare terreno, quindi poco dopo ci salutiamo e lo ringrazio davvero per la visita e le deviazioni.

Dopo i problemi iniziali con la vegetazione il sentiero prosegue segnato e pulito fino a quando incontra una strada che ormai è diventata un sentiero dove pascolano le mucche. Proseguo comunque bene, trovo una fontana e mi fermo per rinfrescarmi, poco dopo raggiungo il torrente Sabato, dove il primi tratto è in falso piano e poi la salita è corta ma tra le più ripide. Una volta arrivato in cima proseguo a mezza costa su un altra strada bianca fino ad entrare nel bosco, ma non è chiaro l’imbocco, le foglie coprono i segnavia che tra l’altro è messo in una posizione non idonea. Nel bosco, foglie, rami e pietre mi rallentano. Sembro un cane alla quale hanno messo le scarpe e spera di toglierle facendo dei passi alti. Io voglio solo evitare di farmi del male. Un lungo tratto nel bosco dove c’è un sacco di aglio selvatico. Quanto vorrei fermarmi qui è passare la notte respirando questo profumo.

La strada è lunga e non vedo l’ora di arrivare al Rifugio Acqua degli Uccelli dove ho deciso di fermarmi. Nella zona Acque Nere correggo il percorso che ho fatto l’anno scorso, ero andato nella direzione sbagliata. Me ne ero accorto per una mappa del sentiero posta a Piano Verteglia e le tracce del CAI confermano, nel momento di tornare nel bosco però non c’è sentiero, le tracce mi fanno passare proprio di qui. Un altra volta si sale a vista. Presumo ci fosse una salita a zig zag visto la pendenza, ma non la vedo. Venti metri più su mi ritrovo su una strada. Il sentiero appunto che avrei dovuto prendere un po’ più avanti e mi avrebbe reso la salita più semplice.

Le tracce poi seguono la strada, ma i segnavia portano al Rifugio Candraloni. Anche qui mi fermo per acqua. Riprendo a seguire i segnavia, ma mi portano fuori, c’è un locale che sta facendo legna, e chiedo se potrebbe essere la direzione giusta. Mi dice che non è così. Però il segnavia è chiaro. È recentissimo addirittura. Perciò continuo, magari hanno fatto una piccola modifica. Dopo un chilometro sto andando decisamente fuori strada. Un altra bella scocciatura. Significa che probabilmente arriverò con il buio a destinazione. Torno indietro e controllo meglio. E proprio una bandierina come quelle del Sentiero Italia che porta verso una strada forestale.

Seguo il percorso fatto l’anno scorso e ritrovo vecchie sporadiche vecchie bandierine. I cartelli mi portano a scendere dalla strada a favore di una piccola valle dove forse una volta c’era un ruscello e solo dopo 500m risale per riprendere la strada. Ora vado dritto al piano di Verteglia.

Il sole intanto è tramontato, e nella piana c’è silenzio. Non c’è anima viva. Solo io da solo che lo attraverso.

Arrivo alla mappa che l’anno scorso mi ha aiutato ma non avevo pensato di fotografarla per avere un riferimento. Quest’anno la fotografo, anche se ormai è buio e la qualità ne risente. La carta non è proprio così precisa perché il tratto disegnato come sentiero é piuttosto largo ma cerco di interpretarla. Dalla mappa si vede chiaro un segnavia con la scritta SI. Poi più avanti nulla. Le tracce vanno in direzione sbagliata, l’anno scorso non avevo trovato il sentiero e quindi mi trovo un po’ in difficoltà. Provo a seguire una traccia a fondo valle, e dopo quasi 500m trovo il primo segnavia. Intanto si è alzato il vento ed io che sono scoperto ne risento. I brividi sulle braccia.

Mancano 2km alla fine della tappa e mi dico di resistere. Sono stanco e vorrei fermarmi, ma questo vento mi disturberebbe il sonno che comprometterebbe la giornata di domani. Continuo e comincio ad infilarmi in una valle dove c’è meno vento fino a raggiungere il rifugio dove trovo riparo. C’è una grande apertura senza porta, allora mi sistemo nell’angolo più protetto sperando il vento non cambi direzione. Impiego un sacco di tempo prima di stendermi. Controllo le mappe i tracciati per capire domani dove devo andare. Questo perché l’anno scorso io ho preso una direzione, le tracce del CAI un altra e la mappa un altra ancora. Pochi punti in comune tra di loro. Comunque la mia fiducia è nella mappa che ho fotografato.

Giorno 39

Tutta la notte il vento ha scosso gli alberi ed ogni tanto il rumore mi ha svegliato, ma ora che è l’alba sembra calmarsi. Mi aspetta un tratto impegnativo. La salita parte su una strada tutta rotta e scavata dall’acqua.
La seguo nonostante il sentiero iniziale facesse meno curve. Alla sella le tracce mi portano fuori strada, io seguo i segnavia sebbene sbiaditi. Nel bosco rami ed alberi caduti bloccano il passaggio e sono costretto a girarci attorno.

I segnavia finiscono, ma qualche buon anima ha provveduto a mettere dei “fiocchetti” fatti con il nastro rosso e bianco, quello da cantiere. In cima trovo una baracca e delle antenne brutte da vedere. Oggi a valle c’è molta foschia e non mi fermo per le foto. Da ora comincio una lunghissima cresta che mi dovrebbe portare a valle. Non conosco questo tratto perché l’anno scorso non trovavo i segnavia ed ho proseguito più in basso nel bosco tra tratturi ed improvvisazioni.

A prima vista, osservando dall’alto, sarà impegnativo e non so ancora quanto.

La segnaletica è scarsa, e mi ritrovo a seguire dei segnavia gialli che ogni tanto sono affiancati a quelli del CAI. Per poco torno nel bosco dove si cammina molto più agevolmente. Sulla cresta la roccia calcarea non offre quasi mai un piano per appoggiare i piedi completamente, inoltre il fianco della montagna scende ripido a valle. Ignoro i segnavia, anche se in realtà non li vedo più, ed entro nel bosco restando sempre vicino alla cresta. Il sentiero incontra una strada forestale e la segue sotto la Colla di Basso e per poi tornare in cresta dove scende di nuovo in un percorso più improvvisato che definito.

Qui di nuovo il nastro da cantiere mi da una grande mano. Sto scendendo pianissimo per la presenza di tante rocce, mi concedo della musica per distrarmi da questo supplizio. Capisco che questo tracciato deriva da un vecchio sentiero perché c’è un muretto abbozzato sia a sinistra che a destra, scende a zig zag tra prati e bosco. Dopo 8km raggiungo una strada, finalmente, e sono stanco come se avessi camminato per tutto il giorno. Probabilmente il tratto peggiore dall’inizio. Ora posso proseguire ad un ritmo decente.
Sempre con la mappa sottomano cerco l’imbocco verso alcune case, ma sembra non esserci più nulla. Scendo per un po’ in un canale di scolo, ma si chiude tra le piante, perciò risalgo e riprovo più avanti.

La strada continua con dei segnavia che non rispettano la mappa. Torno indietro per verificare di non aver perso qualcosa segno. Non vedo nulla, cerco e poi vedo dei nastri che mi erano sfuggiti, li seguo. Il primo, il secondo…al quinto non vedo più nulla. Seguo quello che mi sembra il normale proseguire, ma non riesco ad essere fedele per via di alcune recinzioni che delimitano le proprietà delle case. Cammino fino ad una strada asfaltata e ritrovo i segnavia, ora mi dirigo verso il centro di Sala.
Incrocio un segnavia del sentiero che indica una  direzione diversa da dove provengono. Ci sono ben tre alimentari qui, scelgo il primo che trovo, compro il pranzo ed anche un pacchetto di patatine. Le patatine le mangio subito, mi da una parvenza di vacanza poter gustare e concedermi questo sfizio.

A Serino mi fermo per pranzare, è ancora presto, non me ne importa. Dopo la discesa molto lunga mi sento stanco. Cerco di rilassarmi e dopo una pausa di mezz’ora mi rimetto a camminare. Il tratto che mi aspetta dovrebbe essere abbastanza comodo. Resto sempre fedele alla mappa che discosta dal tracciato che mi ha dato il CAI e naturalmente i segnavia mi danno ragione. Dopo la stazione di Serino riesco a trovare il collegamento verso Canale che l’anno scorso non avevo trovato probabilmente perché ci sono arrivato di notte e non ho visto un segnavia chiave. Un tratto agevole per il primo km, mantenuto da pascoli, successivamente ci ha pensato la FIE. Salgo fino al paese ed arrivo da quello che mi sembra un cortile privato, ma così non è per fortuna.

Poco più avanti una fontana, ma l’acqua sa di gomma e la bevo mal volentieri.

Continuo e un altro segnavia mi indica di aver fatto il percorso giusto. Un chilometro sulla strada principale e poi riprendo a salire su una strada che porta in campagna a fianco alcune case per valicare e riuscire ad arrivare fino a Contrada. Mancano i segnavia e addirittura quello che c’è è fuorviante e l’anno scorso mi aveva ingannato. Prendo a sinistra su un tratturo tra alberi di nocciole, non ci sono segnavia per un lungo tratto e cerco di scegliere la strada giusta ad ogni incrocio. Sembro essere fortunato perché una volta ripresa la strada asfaltata ci sono di nuovo segnavia. Il percorso rispetto la mappa è stato modificato per accorciare su una strada che non è presente sulla cartina, io seguo il vecchio tracciato. In paese nessun segnavia. Qui aspetto di incontrare Alfonso per le scarpe nuove e discutere dei sentieri. Ci troviamo, ma non proprio dove pensavo perché c’è discordanza tra la mappa e quello che il CAI odierno pensa sia il Sentiero Italia. Lo raggiungo e mi spiega che il Sentiero Italia percorre un tratto diverso da quello che penso. Io comunque dopo aver cambiato scarpe seguo quanto mi dice la mappa. Ci mettiamo d’accordo per incontrarci la sera per una pizza e discutere il percorso, e farmi avere altri tracciati. Le scarpe sono molto più leggere delle altre e mi sembra di andare veloce, in realtà sono solo le gambe che devono alzare meno peso e quindi sono più libere.

Salgo verso la chiesa di San Michele ed un altro segnavia da ragione alla mappa e non ai tracciati. Ci sono delle aree attrezzate e presentano un sacco di immondizia, probabilmente rimasta dopo i festeggiamenti del 25 aprile. Cerco di seguire la mappa, ma da qui è tutto nuovo per me, perché l’anno scorso mi ero diretto verso Monteforte Irpino.

Scendo attraverso un comodo sentiero fino ad una strada, la seguo cercando dei segnavia, incontro una mappa e non c’è traccia del sentiero Italia. Continuo a percorrere verso Nord-Est. Purtroppo la mappa non è molto dettagliata e non riesco a capire bene il punto in cui deviare. Proseguo sulla strada e dopo 1,5km mi accorgo di essere andato oltre. Ritorno indietro un po’ sconfortato. Fuori da una casa c’è un bambino e chiedo informazioni a lui, esce suo nonno e poi suo padre, ma non mi sono di grande aiuto. Mi indicano una strada più avanti, ma non esiste più come mi avevano già detto.

Decido di tornare indietro e proseguire secondo il sentiero che il CAI mi ha suggerito. Quando ritorno alla casa mi dicono di prendere la strada tra i noceti nonostante sia proprietà privata. Provo e sembra quella giusta, ma più avanti si dirige in direzione sbagliata. Torno ancora una volta indietro. Raggiungo gli ultimi segnavia che ho visto. Cerco molto attentamente altri segni, qualcosa che mi indichi il sentiero. In un bosco di castagni vedo un segnavia vecchio. Forse è quello giusto. Lo seguo. C’è un tratturo poco utilizzato. Più avanti hanno tagliato la corteccia di un albero con un segnavia ma un piccolo angolo rosso e bianco è rimasto e tentando la fortuna riesco a vederne altri. Sembrano fermarsi di fronte un cancello. In realtà continua a fianco in un passaggio stretto tra il cancello, la recinzione e degli alberi.

Lungo la recinzione i segnavia mi indicano la via. Seguendo la recinzione raggiungo un altro cancello, l’entrata principale che porta ad una casa. Tre cani al suo interno mi notano e cominciano ad abbaiare. Io fatico a trovare i segnavia successivi. Il padrone di avvicina e mi spiega che è pericoloso perché qui la gente spara a chi entra nel tratto che sto percorrendo. Spiego che sto seguendo il sentiero è cerca di darmi una mano dicendomi di seguire ancora la recinzione. Poco dopo però è interrotta da un altra recinzione a 90° che mi costringe a scendere. Più o meno è quello che dice la mappa, ma dopo un po’ su un campo poco curato preferisco prendere una strada a zig zag che scende dal castagneto e raggiunge delle piantagioni di nocciole. Cartelli con il simbolo di morte indicano “Campo avvelenato”, e pensare che poi qualcuno le mangerà quelle noci.

Cerco la via, ma mancano le indicazioni, e ad un certo punto trovo il segnavia del Sentiero Italia: la bandierina. Una bella gioia per me perché significa che sono riuscito ad essere fedele al tracciato nonostante il CAI mi avesse indicato un altra via lontana 2km da qui. Mi faccio una foto con il segnavia da quanto sono contento.

Riprendo fino ad Alvanella dove trovo un supermercato ed approfitto per fare la spesa e prendere un succo perché ho un sacco di sete. Lo bevo tutto subito. Continuo verso Mercogliano, non sulla strada principale, ma salendo verso delle coltivazioni di nocciole, dove è tutta strada asfaltata e il primo tratto presenta una buona pendenza. L’idea era di arrivare fino a Summonte per la tappa e poi andare a cena, ma visto il ritardo nel trovare il sentiero dopo la chiesa di San Michele mi devo fermare a Mercogliano, avviso Alfonso e ci troviamo vicino una fontana.

Andiamo in una pizzeria, siamo soli ma ci raggiungeranno altri suoi colleghi. Scarico le altre tracce e naturalmente si parla dei sentieri di loro competenza e del sentiero in generale. Ci raggiungono i colleghi, ma non fanno molte domande, sono intenti a continuare l’assemblea per la quale si erano incontrati e non hanno potuto cenare con noi. Dopo la cena mi riporta alla fontana. Non ho voglia di camminare molto e trovarmi un buon posto dove passare la notte. Cerco qualcosa di vicino e sono fortunato: una breve galleria scavata nella roccia mi offrirà riparo per la notte.

Giorno 40

Mi sveglio alle prime luci per cercare di recuperare i chilometri persi ieri. C’è poco movimento in paese.

Da Mercogliano il sentiero è segnato, si segue il sentiero del Pellegrino verso il Santuario Montevergine senza però raggiungerlo per scendere verso Ospedaletto d’Alpinolo. Poi la principale fino a Summonte. In paese c’è il WiFi ed approfitto per scaricare mappe dei giorni successivi. Entro in un alimentari e non c’è nessuno dentro, ma nemmeno quello che voglio comprare. Fortuna vuole ci sia un altro alimentari dove trovo pane e fagioli. Prendo anche due mele ed una finisce subito in pancia. Ora comincio la salita verso il Partenio. Una strada comoda che viene utilizzato anche come ippovia. La salita è a tratti impegnativa o forse è lo zaino un po’ più pesante.

Nel bosco incontro ancora un sacco di aglio selvatico. Due persone ne stanno raccogliendo le foglie e mi spiegano che si possono mangiare così come sono. Allora ne assaggio una. Una esperienza particolare perché il gusto inizialmente mi ricorda quello dei legumi poi diventa dolce ed infine si sente il gusto pungente del aglio. Mi piace. E così mentre cammino, quando ne trovo di fresco rubo una foglia e la metto in bocca.

Da quando lascio la strada il sentiero non è sempre immediato e presenta piccole difficoltà. Un saliscendi continuo seguendo pressoché la cresta. Mi affido alle tracce, ma un cartello in una sella mi indica di scendere quando la traccia mi vorrebbe far continuare. Effettivamente un segnavia c’è, ma solo quello. Non ne vedo altri. L’anno scorso avevo proseguito sulla cresta seguendo gli altri segnavia. Quest’anno decido di provare a scendere anche perché la mappa sembra indicare così. La zona è completamente coperta da fogliame e non riesco facilmente a capire dove andare fin ora quando non vedo un altro segnavia, poi un altro e riesco ad individuare un possibile percorso, capisco più o meno quali “segni” sul terreno seguire, ma sto sempre attento ai segnavia.

In un punto in particolare non vedo proprio segnavia e dopo una lunga ricerca e qualche tentativo ce la faccio. Raggiungo il Rifugio Piano di Lauro dove non c’è nessuno, seguo ancora la mappa riattraversando la piana, e prima del bosco trovo un cartello a rassicurarmi sul sentiero. Poco dopo una recinzione di filo spinato taglia di netto il sentiero, devo scavalcare. Ora scendo verso San Martino Valle Caudina. Il sentiero non è proprio ben tenuto, comunque continuo fino ad una piccola zona in piano dove c’è una isola di sole.

Tolgo le scarpe e comincio a pranzare. Quanto vorrei fermarmi e non dover scendere. Mi rialzo e riprendo a scendere su questa strada nuova per me. Raggiungo la località Mafariello dove ci sono aree attrezzate ed una grande fontana. Da qui il sentiero entra di nuovo nel bosco tramite una strada ma da tempo non è percorsa e piano piano tende a chiudersi fino a risultare un sentiero. In alcuni punti alcuni alberi sono caduti. Non mi piace questa tratto per come lo stanno tenendo. Ci sono anche diversi cartelli con delle interessanti spiegazioni riguardo il bosco, un vero peccato. Raggiungo la strada ed è un sollievo, anche se presto ritorno tra i campi. Sono coltivati e sono puliti, ma il sentiero passa proprio a fianco in un sentiero di collegamento separato da muri a secco. Nei tratti di boschetto si procede bene, quando si esce la vegetazione impedisce il procedere tranquillo. Al paese non c’è anima viva.

È sabato e sono circa le 14, probabilmente molti stanno approfittato per riposare. In piazza c’è un po’ di movimento. Da qui prendo la strada asfaltata che mi porterà fino a Bucciano. Un tratto monotono in cui il passaggio vicino alle case non mi permette di approfittare degli alberi da frutta, perché non è ancora matura. A Montesarchio faccio la spesa e mi prendo pure del gelato: non dura molto. A Bucciano riprende il sentiero, questi 10 chilometri non sono stati studiati dal CAI e c’è un vero e proprio buco. Da qui prendo il sentiero che sale verso il Taburno ed anche qui la traccia sembra sbagliata. Passo la caserma forestale e salgo su una comoda strada brecciata fino a quando diventa una strada stretta e poi un vero e proprio sentiero. L’anno scorso non sono riuscito a percorrerlo fedelmente per via della vegetazione, ma quest’anno passando prima potrei farcela. Mi aiuta anche il recente passaggio di bestiame, mucche e capre. Non le vedo, ma hanno lasciato dei ricordi sul sentiero.

Il sole sta scendendo, e a valle sento diversi botti. A Maggio si festeggia la Madonna e qualcuno pensa che alla Madonna faccia piacere sentire tutto questo rumore. I versanti del monte anche qui presentano molto Aglio Orsino ed il profumo è buonissimo. In località Quattro Vie prendo verso la cresta Nord-Ovest.

In salita non avevo freddo, ma ora che la pendenza è diminuita parecchio comincio a sentirlo. Continuo per sfruttare tutta la luce a mia disposizione, fuori dal bosco si riesce ancora ad evitare l’uso della torcia, ma come rientro nel bosco è praticamente impossibile. I segnavia mancano da quando ho preso questa direzione. Ormai è buio e continuo fino a trovare un posto in piano abbastanza lontano dai campanacci delle mucche. Così faccio, mi sistemo in mezzo al tratturo, tanto nessuno passerà di qui.

Giorno 41

Parto alle  06:02, più tardi rispetto al previsto. Fuori dal bosco la rugiada si è depositata a terra. Le gambe sembrano andare bene almeno per ora. L’aria è fresca e da valle non si sentono rumori. È Domenica mattina. Ieri sera non vedevo nessun segnavia, e davo la colpa al ridotto campo visivo della torcia, ora sono con la luce capisco che è proprio assente. Seguo la mia traccia perché mi sembra il tratto che potrebbe rappresentare meglio il Sentiero Italia. Sull’asfalto seguo la traccia CAI, ancora nessun segnavia. Mi fa girare in un punto in cui non avrei mai pensato di girare, naturalmente segnaletica assente che trovo dopo 200m quando ormai sono nel bosco e sceso di 30m, quindi invisibile dalla strada.

Passo una fontana, la segnaletica e la traccia differiscono e seguendo i segnavia arrivo a Piano di Prata, i segnavia spariscono. Improvviso ancora aiutandomi con la mia traccia e finisco in una strada non più utilizzata tra castagni e felci. Le tracce si incontrano e vedo un vecchio segnavia del sentiero Italia. La strada su stringe, diventa sentiero ed anche qui manca manutenzione ed ancora i segnavia. Proseguo in un bosco di faggi molto buio per il gran numero di rami e foglie, la temperatura è più bassa e gli uccelli cantano, fischiettano.

Ho qualche deficit con la vista da lontano, probabilmente dovuto alla attività, non mi preoccupo perché anche l’anno scorso è successo. A fontana Trinità trovo i segnavia della FIE, federazione italiana escursionismo che mi indicano la direzione da prendere, naturalmente diversa dalla traccia del CAI. Raggiungo le coste del monte Alto Rotondi e riprendo la traccia del CAI, che mi porta su un sentiero a dir poco brutto. C’è di tutto ad intralciare. Rovi, Rosaspina, Acacie, Ginestre, Ortiche ed a terra rocce. Sono stufo di questi percorsi messi così male. Ed in più rischio di arrivare tardi. Devo anche in alcuni punti proseguire a gattoni per dei “ponti” di rovi, dove il passaggio mantenuto dagli animali selvatici è stretto e basso.

Dopo 3 estenuanti km comincio a vedere delle bottiglie, dei sacchetti di plastica. Perversamente mi rallegrano perché mi indicano la vicinanza ad una strada comoda. Non è una cosa bella, ma voglio uscire da questo groviglio di piante.

La strada finalmente. È piena di rocce ma almeno comincio a scendere decentemente e non ci sono piante ad intralciare. Raggiungo l’asfalto, non seguo più la traccia seguo solo la principale. Dopo poco mi accorgo che ci sono segnavia, ma sono fuori dalla traccia passata dal CAI. Non so che dire.

Sbuco vicino la chiesa, mi fermo alla fontana per rinfrescare le mani e le braccia. Mi lavo i piedi e cambio calzini. Un evento storico, non lo facevo dalla Calabria. Non li pulisco a fondo e mi rimane una linea marrone attorno alle unghie, come fosse un unghialiner (da eyeliner).

La cosa importante è che dovrei farcela a fare la spesa! Via verso Telese Terme.

Arrivo in tempo, faccio velocemente la spesa e riempio la borraccia. Seguendo la traccia del CAI fino alle terme, trovo anche vecchi segnavia sui pali del telefono. L’anno scorso non li avevo notati. Qui coincidono traccia e segnavia. Tra l’altro li hanno messi nuovi, probabilmente per il mio passaggio perché sono utili solo in una direzione. Salgo sul colle a Nord di Telese, sono molto basso di quota, 160 metri come punto massimo ed è decisamente più caldo. Trovo cactus vicino la strada, salendo eucalipto e poi sorbo. È un sentiero facile e ben tenuto. Ogni tanto presenta qualche piazzola dove si potrebbe anche sistemare una comoda la tenda e passare la notte appena fuori la città, ma comunque lontani dal trambusto. Scendendo ci si immette in una strada che porta al Parco del Grassano dove ho deciso di pranzare.

Scendendo il profumo delle grigliate mi raggiunge, molti saranno al parco per rilassarsi. C’è troppa confusione e decido di proseguire, poi tra l’altro non c’è nemmeno un posto per fermarsi lungo la strada. Sotto un ponte pranzo, all’ombra perché fa molto caldo. Riprendo seguendo i vecchi segnavia che concordano con la traccia. Salendo sudo tanto allora cerco di bere il più possibile per evitare di avere sete questa sera. Tra l’altro dovrò cercare di fermarmi il più in alto possibile per non avere troppo caldo. Il piano riesco a reggere molto meglio la temperatura, anche se nella discesa verso Faicchio c’è un pezzo di strada di campagna con sassi, nemmeno qui sudo.

In paese riempio di nuovo la borraccia. Il sentiero ora da 160 metri sale fino a 430. Certo non è molto, ma con queste temperature e la pendenza è decisamente sfiancante. Lo prendo con calma. Raggiunto il convento di San Pasquale ritrovo un segnavia, o meglio quello che forse era un segnavia perché leggo solo SI in nero, senza bianco e senza rosso. Comunque alla fontana mi rinfresco ancora perché sto gocciolando. Salgo ancora e la strada muore. Da una parte una falesia, ma la traccia non va di là. Nascosto dalla vegetazione c’è un sentiero, hanno pulito l’entrata, ma non è così facile da vedere. Riprendono i segnavia e proseguo bene su una strada curata. Purtroppo ad un certo punto a strada finisce e ritorno su un sentiero, che piano piano si chiude. Qui, se non fosse per la traccia, starei ancora cercando i segnavia. Ci sono, sono piccoli, ma ci sono.

Il problema è che sono sbiaditi. Almeno sono nascosto dal sole che alle 17 ancora è caldo.

Mi trovo fuori traccia ad un certo punto, me ne accorgo solo perché continuando non vedo più segnavia, torno indietro a recuperare, ma non c’è nessun sentiero dove va la traccia. Tutte e due le tracce, quelle del CAI centrale e locale, con lo stesso identico errore. Questa cosa non quadra. Ritorno a dove ero rimasto e 2 metri sopra c’è una strada. La prendo in direzione Nord e comincia a scendere. Dopo 200 metri incontro le tracce e vedo di nuovo un segnavia. Ora continuo sulla principale come secondo le tracce ed arrivo a Gioia Sannitica. Altra fontana per riempire la borraccia l’ultima volta.

Il sentiero da 300m sale a 1300m, prevedo una bella sudata. Voglio salire di quota per passare la notte più tranquillo e fresco. Il sentiero comincia bene, una specie di passeggiata, semi dimenticata, comunque recente dove ci sono segnavia freschi. Peccato per le piante che crescono all’interno di queste a passeggiata. Salendo vedo attrezzi per i “percorsi salute”, proprio li, dei cartelli del CAI.

Sono nuovi fiammanti, ma non riportano scritto nulla. Nessuno nella direzione in cui devo andare. Seguo la traccia e più avanti trovo le conferme. Segue una strada rotta e poi entro nel bosco dove la calura viene attenuata. Salgo comunque più lentamente perché fa ancora caldo, infatti sudo e mi trovo la maglietta bagnata e so che se si alzasse il vento sarei fregato. Sono quasi al piano delle Pesche a 1050m e comincio a trovare ricordini delle mucche e da lontano sento i campanacci, non potrò fermarmi li vicino perché altrimenti sarei disturbato tutta la notte dal loro rumore. Esco dal bosco quando raggiungo la piana e la temperatura è davvero più bassa, esce persino fumo dalla bocca. La attraverso e ritorno nel bosco sempre seguendo la traccia perché non ci sono segnavia. All’inizio del bosco ne trovo uno poi lo perdo, seguo quello che potrebbe essere il sentiero, ma le tracce vanno da un altra parte, qualcosa non mi torna.

Non vedo segnavia e fanno un percorso davvero senza senso. Faccio di testa mia ed infatti, lontano dalle tracce trovo di nuovo i segnavia. Ormai è buio e nel bosco non posso proseguire senza torcia quindi decido di trovare un posto per fermarmi. Cerco un piano, ma non lo trovo perché sono vicino alla cima, mi metto leggermente in discesa sempre sotto un albero per evitare il deposito di rugiada. Le mucche si sentono, ma sono lontane.

Giorno 42

Parto per gli ultimi metri fino la cima, una cresta spoglia dove non vedo segnavia, ma un canaletto detritico, probabilmente il sentiero. Ci sto a fianco perché è più facile proseguire. Ieri ho preso una botta al ginocchio, dalla quale è anche uscito del sangue ed ora si fa sentire. In discesa non c’è nulla.

Intanto sulla mia sinistra i monti spiccano dalle nuvole soffici come cotone. A valle c’è nebbia. Come i primi raggi si illuminano le nuvole, queste spariscono. In discesa ho più difficoltà, niente ad indicare la via. Non mi fido della traccia, ma devo ricredermi. Sospetto che chi abbia fatto questo percorso, lo abbia fatto in senso opposto al mio per gli errori di ieri sera e le cose azzeccate di oggi.

Per me era impossibile trovare al primo colpo l’imbocco nel bosco vista la mancanza di indicazioni precise. In aiuto ci sono ancora i nastri da cantiere. Con qualche titubanza riesco a seguire il sentiero e cominciare la discesa vera e propria fino a valle. C’è qualche roccia rompiscatole, ma non troppe.

Il sentiero è anche abbastanza evidente per la maggior parte. Tutto nel bosco in un vallone che arriva a San Potito Sannitico. A 400 metri incontro campi coltivati, soprattutto ulivi. E da qui una comoda strada fino in centro al paese. I segnavia continuano, purtroppo seguo la traccia perché non sono immediatamente individuabili e sbaglio strada. Me ne accorgo perché li ritrovo più avanti provenienti da un altra strada. La traccia nei pressi di Sepicciano sbaglia ancora. Comincio a pensare che queste tracce siano a volte fatte da escursioni che condividono le loro tracce e non da chi di dovere quindi il CAI, oppure fatte a tavolino con l’idea “massi passerà di qua”.

Purtroppo subito dopo li perdo, hanno verniciato i pali dove di solito mettevano i segnavia e quindi proseguo nella via più diretta per il centro di Piedimonte Matese. C’è il mercato oggi è le strade sono affollate. Piene di bancarelle, persone ed auto. Si anche auto, non hanno bloccato la viabilità.

Comincio a salire e ancora nel paese riprendo la traccia che mi porta fino a San Gregorio Matese. Seguo i segnavia che differiscono dalla traccia ancora una volta. Il sentiero lo seguo facilmente perché è tutto strada o stradina. Proprio nell’unico tratto di sentiero che trovo, ho difficoltà. Come l’anno scorso le piante si stringono verso il centro del passaggio. Quando ne esco mi accorgo di aver perso gli occhiali. Lascio lo zaino dov’è e trono indietro. Li cerco invano perché non lo trovo. Spero che il sole non mi dia fastidio fino all’arrivo di quelli di ricambio. Al paese mi fermo all’alimentari ed anche se sono le 11.20 pranzo proprio sulla strada, e come mi siedo per riempire la pancia, assisto ad un tamponamento.

Nulla di grave, una macchina ha perso un faro. Sopra il paese nuvole grigie avanzano ed arriva del vento fresco. Indosso la felpa e riparto. La salita mi scalda, ma sta cominciando a piovere perciò mi metto la giacca e tolgo la felpa. Piove davvero poco e così torno a riporre la giacca. Comincio la discesa verso il lago Matese e sento un tuono. Mi fermo subito per coprirmi. Al secondo tuono comincia puntuale la pioggia. Non è molta, comunque le temperature sono più basse. Al lago piove di traverso. Guardo il lago increspato dalle gocce dal vento  e la pioggia. I piedi ancora non sono molto bagnati. Comincio a salire ed incontro tre ragazzi dentro un ApeCar per proteggersi. Tre.

Saluto e vado avanti. La salita mi tiene alta la temperatura e piano piano smette. Sto anche cominciando a sudare, sto salendo praticamente sulle punte. Sento che la terra e l’acqua dentro le scarpe hanno creato del fango appiccicoso. Per terra vedo un mucchietto di palline bianche, penso sia sale grosso per il bestiame, poi capisco che è grandine. Ora le scarpe sono piene di acqua, comunque non sento freddo. Salgo velocemente, il cielo ogni tanto brontola, ma il grosso è passato. Alle spalle il tempo è migliore, dove sto andando è tutto ancora grigio. Verso il passo del Monaco il sentiero è meno chiaro, i segnavia sono distanti e poco chiari.

Un po’ con la traccia un po’ a vista salgo e raggiungo il colle del Monaco, la fine della Campania.

Alle 14.20 varco la recinzione e mi faccio una merendina premio.

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