Sardegna 2017

Giorno 1

L’acqua è fredda e le onde fanno sbattere i piedi l’uno contro l’altro.
Esco dall’acqua, metto i calzini, le scarpe e indosso lo zaino; sarà la mia casa per questi mesi che ho di fronte.
Comincio a registrare la mia traccia e muovo i primi passi lungo il Sentiero Italia.

Percorro velocemente i primi 5 km, Santa Teresa mi sfila a fianco velocemente, una strada asfaltata mi porterà verso la campagna. Si vedono poche rocce, tutte di granito, la vegetazione sta cercando di impadronirsi di ogni cosa.
È primavera e i fiori irrompono con un po’ di colore in mezzo a questo verde e beige uniforme. Da lontano vedo già alcuni monti che dovrò attraversare nei prossimi giorni.

Piano piano il rumore della civiltà e dei motori spariscono, facendo restare solo il rumore del vento e lo scricchiolio dello zaino.

Cammino veloce vicino cespugli e sento le bestiole che si trovano all’interno correre a nascondersi. Ormai vedo solo case sparse apparentemente vuote.

Guardo le gambe pallide e forzute tenere un buon ritmo di marcia, ma devo stare attento a non scottarmi e a non strafare. Oggi sono fresco, la scorsa settimana ho riposato.

Riconosco piante di fichi, eucalipto, fichi d’india, finocchio, tarassaco e poi rovi e cardi che l’anno scorso mi hanno regalato qualche grattacapo pungendomi ogni volta che lasciavo i sentieri battute.

7km e lascio l’asfalto a favore di una strada secondaria sterrata, comincio a sentire le gambe appesantirsi, tra poco e mezzogiorno e le farò riposare.

Il sole comincia a scaldare per bene e decido di fermarmi per mangiare. Un leggero fastidio ai piedi, proprio dove l’anno scorso avevo le vesciche, mi avvisa di cosa sto facendo.  Ho percorso 12km senza problemi. Sono le 12.45. Tolgo le scarpe e controllo i piedi: sembra tutto a posto per ora. Apro il barattolo di fagioli e lo mangio con del pane.

Mi metto la crema solare e riprendo a camminare.

Il ritmo di colpo si spezza, seguo il tracciato che il CAI mi ha suggerito ma devia rispetto quanto avevo seguito l’anno scorso. Dopo appena 50 metri finisco in una selva di rovi e rami secchi, tanto che per fare 1,5km impiego due ore.
Mi procuro diversi graffi sia sulle gambe che sulle braccia, vedo un po’ di sangue che cola da alcuni.
Quando esco incontro un tratturo poco visibile, pochi arbusti, ma riesco a tornare a camminare ad un ritmo decente.

Questo contrattempo sembra avermi aiutato con le vesciche che ora non mi fanno più male. Il sole ora è molto caldo e le ferite pulsano.

Tra asfalto e tratturi proseguo senza sosta, ho finalmente alcuni ricordi dell’anno scorso. Altri 10 km se ne vanno senza quasi accorgermene, complice anche il pochissimo dislivello. Appena sotto i 30km comincio ad accusare stanchezza, ma sono le 18.45 ed ho a disposizione ancora 2 ore buone di luce perciò stringo un po’ i denti e continuo.

Le vesciche sembrano a posto, in compenso i tagli mi prudono e si è fatto vivo un piccolo dolorino all’anca sinistra.

Il ritmo ormai è più blando e sento la stanchezza sulle gambe, sono diventate pesanti e comincio ad avere un po’ di appetito.

Vedo i primi alberi da sughero, sono davvero grandi… La temperatura ora che il sole non riesce a raggiungermi è calata e anche la stanchezza è complice dei primi brividi.

Il sole sparisce sotto l’orizzonte, velocissimo, la temperatura cambia sensibilmente, cerco di seguire la traccia del CAI, ma si infila nella fitta vegetazione e così decido di optare per un prato molto più comodo che mi fa sbucare un pezzo più avanti, su una strada asfaltata.
Torno indietro per recuperare, ma nel punto della traccia non c’è nessun segno di imbocchi per il Sentiero Italia. Torno sull’asfalto e comincio a cercare un posto tranquillo per passare la notte. Sono le 20.20, e ormai c’è abbastanza buio, trovo un pezzetto d’erba vicino alla strada un po’ riparato da alcuni alberi, stendo il materassino e mi infilo nel sacco a pelo.

Sento le gambe bruciare per le ferite, ma ora stanno finalmente riposando.

Fuori dal sacco a pelo è bello fresco, mangio pane e fagioli e qualche biscotto come dolce.

Alle 20.45 sono già pronto per dormire.

Giorno 2

Mi sveglio diverse volte durante la notte, sono sudato ed ho freddo. In cielo nemmeno una nuvola e vedo la Via Lattea. Ci sono moltissime stelle, qui in Sardegna il cielo è piuttosto pulito e essendoci luna nuova cercherò di godere di questa vista.

Mi alzo e tutto sembra funzionare, non ho dolori particolari a parte i tagli di ieri.

Fa freddo anche se è secco, mi vesto e con i biscotti in mano mi incammino. Incontro un tratto stretto che a volte mi costringe a camminare basso ma non mi rallenta troppo. Ancora un volta strada asfaltata e subito dopo campi, salto un muro a secco ed incontro le prime difficoltà. Passo alcune proprietà private ma non riesco a seguire la traccia del CAI. Si perde tra arbusti e poi bosco. Prendo un altra direzione su strada battuta che costeggia dei vigneti che mi fanno venire in mente quando in Piemonte ho rubato dei grappoli d’uva.

Asfalto e subito una stradina bianca, seguo le indicazioni del CAI ma devo ancora lottare con spine ed arbusti.
L’appetito comincia a farsi presente. Quando esco dai rovi è un sollievo continuare sul noioso asfalto.
Ancora una deviazione, mentre cammino incontro una tartaruga di terra, continuo, provo, ma decido di non proseguire perché anche qui la vegetazione si infittisce e torno sulla strada principale per Sant’Antonio.

Trovo subito una fontanella e riempio la borraccia, faccio in fretta perché è mezzogiorno e non vorrei che l’alimentari chiudesse prima del mio arrivo.

Spesa di verdure e due mele. Mi sistemo su una panchina all’ombra per mangiare, tolgo le scarpe e calzini prima di tutto, comincio con i pomodori, poi pane e fagioli. Ho trovato pure dei fichi secchi.

Dopo essermi goduto un po’ di aria fresca scendo dal paese prendendo una via secondaria, provo a seguire il tracciato ma è troppo insidioso, non ha senso proseguire così, sono già pieno di tagli nelle gambe. Torno indietro e riprendo la strada che ho percorso l’anno scorso allungando di 1,5km. Quando raggiungo l’asfalto il caldo comincia a farsi sentire. Ho solo un litro di acqua con me e dovrò farlo bastare fino a domani.

Le gambe cominciano a dare i primi segni di cedimento, sono pesanti e stanche. Ho ancora 6 ore di luce. Devo approfittarne.

Evito una zona brutta percorsa l’anno scorso grazie alla traccia del CAI. Sono le 15 ed ho finito l’acqua. Le gambe non sembrano cedere anche se sono doloranti. Uliveti e Sughere mi stanno a fianco mentre continuo la mia marcia. Mi costringo a fermarmi per mangiare l’altra mela sperando faccia passare la sensazione di sete. Funziona per un po’.

Ora devo affrontare una salita che si rivelerà impegnativa, devo guadagnare 300m, non molti, ma dopo 30km sono stanco.
Guardo la mappa e ricordo che più avanti, dopo circa 16km, c’è una sorgente e visto che ho ancora 4 ore di luce, persevero per procurarmi acqua. Comincio le due salite.

Una volta arrivato su c’è un pianoro dove sento i tibiali tesi, guardo il panorama, e noto che alla mia destra si vede ancora la Corsica nonostante sia molto più velata. In questo pianoro c’era dell’acqua l’anno scorso, ma quest’anno non sembra essercene, avrei bevuto molto volentieri.

Con il passo regolare su asfalto mi accorgo di tutti i dolori. Tibiali in prima linea.

Sono sotto il sole diretto, la sete si fa sentire a tratti. Potrei prendermela comoda, invece preferisco continuare, la strada è facile, ne approfitto.

Un passaggio veloce su una statale e di nuovo su una strada bianca, l’ombra è un sollievo, come il venticello che mi rinfresca. Le labbra sono screpolate e la gola è secca. Ultimi 5 km.

A metà della salita decido di fare una pausa perché stavo cominciando a proseguire scoordinato per la stanchezza e sforzo facendo così ancora più fatica. Mangio due fichi e ancora in marcia. Sto superando gli 800m di quota, quindi sono a tutti gli effetti in montagna. La fonte è vicina e gli ultimi metri sembrano più facili, appena prima della fontana c’è una roccia molto grande che mi offrirà riparo per questa notte.

Quando arrivo, mi sciacquo e bevo un lungo sorso, finalmente posso rilassarmi. Stendo il materassino, il sacco a pelo e mi metto comodo per la cena. Mi trovo a 1020m, fuori dal sacco a pelo fa freddo ora che mi sono fermato.

Scrivo qualche messaggio dato che c’è campo e poi a nanna.

50km forse sono anche troppi, valeva la pena per l’acqua? Domani lo scoprirò.

Prima di coricarmi definitivamente vado a fare i bisogni e scopro che dietro la roccia dove ho sistemato il campo c’è un posto migliore, mi sposto e mi metto a dormire.

Giorno 3

Ho dormito tantissimo, ma anche questa notte ho avuto freddo alla schiena.
Sono ormai le 7.30, sistemo tutto in fretta e vado a riempire la borraccia dopo aver bevuto due bei sorsi.

Alle 8 comincio, fa parecchio freddo ed ho le mani gelide, mangio e cominciano a scaldarsi, esco dal bosco e riesco a stare finalmente bene. Mi piace il paesaggio qui, non c’è la flora che di solito mi aspetto di trovare in montagna, resta comunque molto gradevole la vista.

Scollino e in lontananza vedo il Gennargentu, in particolare Punta La Marmora 1834m, la cima più alta della Sardegna che raggiungerò entro 5-6 giorni, ed ora si trova circa a 97km da me.

Seguo tranquillamente la strada, tutta in discesa ora.

Dopo 4km si interrompe bruscamente. Sono costretto a continuare tra arbusti che mi procurano qualche altra ferita. Trovo una traccia poco pulita e poi una strada tutta rotta, mi ricordo la zona, ma non ho ricordi dell’interruzione.
Forse perché in 100m me la sono levata dai piedi. Poco a poco la strada migliora, attraverso un altra proprietà privata e ritorna tutto in piano. Sono le 10, mancano 10 km a Monti e rischio di non esserci in tempo per la chiusura dell’alimentari.

I tibiali si fanno sentire e li tengo d’occhio. Sono km facili ed arrivo a mezzogiorno, è aperto. Devo fare la spesa per i prossimi 3 giorni, per 100km non ho nessun appoggio. Breve pausa alla fontana del paese per acqua e pranzo e mi rimetto in marcia.

Le nuvole che in mattinata si stavano formando, ora sembrano non promettere caldo e asciutto. Questa sera, domani e dopodomani il meteo mette qualche goccia di pioggia.

Lascio il paese e la strada diventa subito una secondaria. Continuo e si stringe sempre di più fino a diventare un passaggio per una sola persona, le piante cominciano a strusciarsi su di me, penso che per fortuna non ci sono spine, ma poco dopo ho dovuto ricredermi. Fortunatamente non ostacolano troppo il passaggio.

Dopo qualche km incontro una stradina che porta ad una casa. Sembra dispersa in mezzo al nulla. Mi mette molta curiosità, mi piacerebbe conoscere la sua storia. Nemmeno 300m più avanti incontro dei vigneti ben curati. Per 3km proseguo su una strada ben battuta ed entro in un bosco di conifere diverso da tutti gli altri incontrati fino ad ora.

Passo vicino a dove l’anno scorso ho passato la seconda notte. L’anno scorso mi ero allenato e sono riuscito ad andare molto più veloce, anche se le vesciche mi hanno tormentato.

Scendo verso un fiumiciattolo  e 4 daini mi tagliano la strada, l’anno scorso non riuscivo a trovare il sentiero, ma quest’anno ricordando il passaggio faccio molto più in fretta. Sto affrontando la salita più ostica di tutta la Sardegna. Non è lunga ma è molto rapida. Un po’ di pioggia accompagna i miei passi,  ancora troppo poca per vestirmi. Guadagno quota velocemente, la ricordavo più difficile, più stretta e chiusa dalla vegetazione. Una strada verso la cima rende tutto più semplice.

Comincia a piovere più seriamente, le nuvole sembrano muoversi veloci e poco dopo smette. Mi fermo comunque per proteggere lo zaino. Per la giacca ancora aspetto.

Guadagno un’altra altura e vedo che le nuvole verso sud sono cariche e scure, scendendo incontro un altra zona poco chiara da seguire. Incontrando una strada secondaria avrei dovuto seguirla fino al borgo di Badde Suelzu, ma visto che l’anno scorso non c’erano ne acqua ne alimentari e soprattutto era stato difficile percorrere il tratto successivo, perché ritornato completamente alla natura, quest’anno decido per una deviazione decisamente più comoda.

È una zona con diverse pale eoliche, molto ventosa, non ho molto freddo, ma quando comincia di nuovo a piovere decido di mettermi il giubbotto ed i pantaloni impermeabili.

Da qui proseguo sempre su delle strade bianche in buono stato che servono ai tecnici per raggiungere le pale. Dolcemente scendo verso valle, ho ormai percorso 40km e ho ancora molto tempo, non voglio fermarmi ora nonostante abbia trovato un riparo abbastanza buono per evitare di inzupparmi con la pioggia di questa notte.
Ho controllato il meteo e mettono pioggia proprio in serata.

Le nuvole sono scure e si muovono veloci, alcune sono basse e nascondono le pale. Tutt’attorno lontano sembra piovere, ma qui per fortuna no. Mi accorgo che ora non sono i tibiali il problema maggiore, ma le piante dei piedi.

La strada è semplice da seguire ed è ben battuta tranne qualche tratto. Un oretta dopo torno sull’asfalto, sono praticamente a valle.

Lungo la strada ci sono dei caseggiati tra le sughere, ne individuo uno con una legnaia, entro dal cancello aperto e trovo una stalla aperta che mi offre molto più riparto della legnaia. Mi sistemo, ed entro subito nel sacco a pelo. Mangio e mi stendo sul fianco. L’anca sinistra mi da fastidio. Anche oggi mi sono fatto 50 km. Sono praticamente 45km più avanti del previsto, e Lodè potrei raggiungerla addirittura domani in serata.

Tra il vento che soffia ed il tintinnio di qualche animale al pascolo mi lascio cullare dal calore del sacco a pelo.

Verso le 22.30 vengo svegliato dall’abbaiare di un cane che dopo diversi minuti ancora non vuole smettere, sento dei passi pesanti in lontananza. Il cane smette e si allontana. Circa due minuti di tregua e riprende. Di nuovo i passi e qualcosa entra nella stalla. Ho giusto appena gli occhi fuori dal sacco a pelo per vedere. Qualsiasi cosa sia entrata fa pochissimo rumore e non ha una luce.

Sono separato da una parete bassa dal resto della stalla. Sembra aspettare qualcosa, non sono sicuro mi stia guardando. Un minuto dopo se ne va. Il cane smette e torno a sentire le rane di uno stagno vicino. Dentro al sacco ora fa un po’ più caldo.

Metto la testa fuori, senza torcia è davvero difficile vedermi, è buio pesto.

Il resto della notte passa tranquilla, mi sveglio varie volte, ma dormo bene.

Giorno 4

Fuori mi aspetta un cielo grigio, fa freddo e noto il fumo uscire dalla mia bocca. Sta piovigginando.
Il cane di ieri sera mi vede ormai fuori in strada, abbaia due volte sole.
Appena 3km e comincia a piovere, non molto, ma mi devo coprire.
Mi fermo sotto un ponte per fare colazione, i soliti biscotti secchi.

Qualche km più avanti sono costretto a guadare un fiumiciattolo, largo circa 10 metri, ma fondo 40cm.

Devo togliere le scarpe ed i calzini ed infilarmici. L’acqua è fredda, poi verso la fine gelida. Sento Il freddo pungere sul polpaccio. Quando esco mi lascio andare ad un grido di dolore. Subito dopo sento i piedi ed i polpacci guadagnare temperatura, il tepore e molto piacevole. Pulisco i piedi da sabbia e dai sassi e li rimetto al caldo dentro le scarpe.

Ora ha ricominciato a piovere più forte, smette e poi ricomincia fina fina. Nonostante le scarpe non impermeabili sento i piedi caldi ed asciutti.

Ora mi trovo in un vasto campo dove ci sono diverse aree adibite a pascolo, e tante sughere. Ricomincia a piovere.

Il paesaggio cambia, più arbusti e qualche sughera.

Di colpo smette ed un sole timido se ne sbuca dalle nuvole, riesce anche a scaldare. Il vento che ogni tanto mi raggiunge è comunque freddo. Non me ne preoccupo finché sono in salita. Ora sto percorrendo un tratto nuovo perché l’anno scorso ho trovato diversi problemi nel percorrere il Sentiero Italia vero e proprio, e di qui, nonostante il dislivello sia maggiore, è molto più agevole.

Raggiungo una cresta non molto alta ed il panorama si apre. Tutto attorno colli coperti da vegetazione. Da sud vedo nuvole blu e grigio avanzare. Ora comincio a scendere da questo punto panoramico per andare ad incontrare il Sentiero Italia.

Le gambe sono piuttosto pesanti, ma il vero problema sono le piante dei piedi. Provate dai tanti km cominciano ad irrigidirsi.

Raggiunto il sentiero riprendo a salire e con la salita mi sta per raggiungere anche la pioggia, è circa l’una e non ho ancora fame. Mi fermo per riposare un po’ le gambe e sento alcune gocce arrivare. Guardo a sud ed è tutto velato dalla pioggia che sta per arrivare.

Mi vesto e stringo una pagnotta da mangiare mentre cammino. Il paesaggio perde un po’ di interesse, mi sto concentrando sull’andare avanti, sembra così difficile oggi.

Passo dopo passo spero che la pioggia finisca. Le mani sono bagnate nonostante siano coperte dai guanti impermeabili. Non le sento fredde quindi non gli do troppo peso. Mi fermo per mangiare una mela, questa pausa seppur breve ha alleviato i dolori alla pianta di miei piedi. Di nuovo, sono un po’ stanco.

Ora una lunghissima discesa fino ad un guado che riesco ad attraversare saltando tra una roccia e l’altra. Ci sono degli asini che prima impauriti si allontanavano ed ora mi seguono. Da qui la strada è percorsa da un rigagnolo d’acqua che scende verso il guado. I piedi ormai sono zuppi ma lo evito comunque. Manca davvero poco a Lodè, forse 3km.

Non riesco a gustare il paesaggio. Le mani sono bagnate, i guanti non tengono, e sento un brivido al petto. Apro la giacca e scopro di essere bagnato. Stessa cosa per le gambe… che bella sorpresa.

Per fortuna non ha piovuto molto forte.

Verso Lodè incontro un mare di fiori nei prati e a fianco strada. Arrivo al paese dove c’è l’alimentari, oggi è domenica ed è chiuso, ma mi offre un po’ di riparo. Controllo i vestiti e sono proprio bagnati. Non posso fermarmi qui la notte. Continuo la ricerca fino a trovare un buon riparo. Una tettoia lunga che anche in caso di pioggia di taglio mi riparerà adeguatamente.

Questa volta mi infilo nel sacco a pelo vestito così da poter asciugare i vestiti durante la notte. Ceno e mi metto a dormire nonostante siano appena passate le 19.

Il giorno dopo il meteo prevede temporale ed io devo percorrere una cresta completamente esposta, perciò mi concedo un giorno di riposo passeggiando per Lodè e facendo la spesa, controllando le mappe ed i tracciati per i giorni a venire. La sera fatico a prendere sonno.

Giorno 5

Trovo il coraggio di alzarmi ed uscire da sacco a pelo solo al sorgere del sole, speravo di partire un po’ prima, ma gli occhi volevano proprio restare chiusi.

Esco dalla mia tana con i biscotti in mano, scavalco il cancello che ora è chiuso ed una signora sul balcone mi vede, la saluto e sparisco. Guadagno il punto dove avevo finito di registrare il percorso e comincio la mia nuova giornata. Non carico la borraccia perché c’è acqua alla base della salita ai Monti di Lodè.

Il primo tratto è una strada agevole che solo recentemente hanno asfaltato. Comincio a guadagnare un po’ di quota.
Lodè è sempre a vista, e man mano che salgo mi accorgo della leggera foschia. Incontro qualche piccolo tratto non messo bene, ma nulla di ché rispetto ai giorni scorsi.

Dopo circa 12km arrivo ad un agriturismo chiuso dove c’è l’acqua, ma con sorpresa hanno tolto la maniglia e con me non ho nulla per riuscire ad aprire il rubinetto. L’ultimo sorso l’ho bevuto poco prima arrivarci per vuotare la borraccia.

In cresta sicuramente non troverò acqua. C’è una mappa del CAI che mi indica il Sentiero Italia diverso rispetto a come lo conosco io. Rimango perplesso, anche l’anno scorso avevo visto questo cartello ma non avevo guardato bene la mappa.

Comincio la salita sperando di trovare acqua.

Il primo tratto è ben segnato, ma ci sono alberi e rami che ostacolano il passaggio. In poco tempo guadagno la cresta e il sentiero diventa più chiaro, devo seguire lo spartiacque per 7km. Inizialmente ci sono ometti e segnavia ad indicare il tracciato, ma da circa metà in poi non più. È un terreno calcareo con molte rocce appuntite che si fanno sentire sulla pianta del piede già provata dai giorni scorsi.

Trovo il primo cartello che indica la direzione del Sentiero Italia, dopo 200km circa dalla mia partenza.

Proseguendo, il piede mi chiede una pausa, ma sono più interessato all’acqua. È un terreno davvero difficile, il sentiero non è segnato e devo continuamente prestare attenzione a dove metto i piedi, rischio di cadere più volte. I bastoncini e un po’ di scaltrezza mi salvano ogni volta da una rovinosa caduta.

Continuo a proseguire sulla cresta fino a quando devo entrare in un boschetto e ci rimango per un po’ di cercando di capire la via più facile per proseguire. Controllo la mappa e sembra mi convenga salire e guadagnare di nuovo la cresta. Mentre salgo mi imbatto in un omino e mi faccio convincere da lui a continuare la salita.
Dopo 30 metri prendo la via per la cresta.

La gambe vanno molto bene, ma le piante dei piedi no. Ormai ho fatto 5km senza trovare acqua, mi fermo per mangiare un barattolo di fagioli ed approfittare del liquido al loro interno per idratarmi. Funziona per circa 20 minuti. Poi ritorna la sete. Non finisco il tratto in cresta e scendo circa 100m fino ad una piana dove ci sono dei ruderi: potrebbe esserci dell’acqua, ma sfortunatamente non ne vedo traccia e non mi fermo, la incontrerò più avanti.

Passo sotto punta Caterina ad est e la costeggio fino a sud dove in una piccola radura vedo un muflone e riesco a farci un piccolo video prima che scappi. Comincio la lunga discesa.

Una volta sulla strada principale incontro un uomo, i suoi due cani di piccola taglia mi vengono incontro abbaiando. Mi abbasso ed allungo la mano. Uno dei due si fa accarezzare: “Abbaiano ma non mordono” esordisce lui.

Chiedo se in zona c’è dell’acqua potabile. “Continua dritto sulla strada e la troverai, saranno…” e quella pausa per dirmi la distanza sembrava non finire. Avevo già percorso quasi 28 km non avevo molta voglia di allungare ulteriormente. “… 200m circa, sempre dritto” al che mi sono rasserenato, sono arrivato ormai.

Ecco una vasca dove si ferma il bestiame a bere, c’è una canna da dove esce una buona quantità di acqua. Riempio la borraccia e la svuoto. La riempio di nuovo pronto per partire. Arrivano altri due per riempire una tanica e chiedo loro se mettono pioggia per la sera, “hanno messo qualcosa nel Cagliaritano”, mi tranquillizzo anche se vedo che si stanno formando nubi temporalesche verso sud. Mi dicono che c’è una casetta in legno a 2 km dove posso ripararmi se mi va.

Li ringrazio e appena partito sento un tuono. Riparo lo zaino e mi vesto per evitare la pioggia. Fa caldo, e dopo 500m mi tolgo tutto, il temporale continua, ma è ancora lontano. Qui mi accorgo di aver lasciato definitivamente i graniti della Gallura, al mio fianco rocce calcaree dal colore giallastro che ricordano un sacco le dolomiti. Riesco a proseguire facilmente su una strada battuta. Passo la casetta di legno, guardo dentro, ci sono 4 brandine, è calda ed accogliente ma è ancora presto per fermarsi. Continuo in marcia senza incontrare pioggia fino a quando trovo una recinzione, una delle tante. Qui però non c’è il solito cancello e devo scavalcarla.

Comincia a piovere, poi più forte e mi fermo sotto un albero a vestirmi ancora. Continua per 500m di cammino e spunta fuori il sole. Ancora mi fermo a spogliarmi.

Sono leggermente fuori dal tracciato e grazie alle mappe recupero in fretta. Domani arrivo ad Oliena dove mi dovrebbero riportare le batterie cariche, che lascerò al CAI. Chiamo Giacomo, il mio riferimento per questa zona. Organizzo l’incontro ed è gentile, si rende disponibile anche con così poco preavviso. In un ora sarò al punto di incontro, ritardo un po’ per una deviazione imprevista. Lui è già li che mi aspetta. È venuto con la moglie, decidiamo di andare in un bar lì vicino a fare una chiacchiera. Spiego meglio il mio viaggio e ci confrontiamo sul tragitto. La mia tappa di oggi è indubbiamente tra le più difficili per le condizioni del terreno.

La giornata è quasi finita e dopo una mezz’oretta lascio le batterie a loro dopo aver spiegato come funzionano e li saluto. Contino per due km e mi fermo con l’arrivo del buio in un prato, dove passerò la notte in tranquillità.

Nella prima parte della notte si alza il vento che disturba il mio sonno, e mi tiene sveglio per un po’. Non ho freddo. Per essere più sicuro di riposare mi vesto anche con la giacca e poco dopo riprendo a dormire. Quando mi sveglio il vento se ne è andato.

Non c’è una nuvola e vedo la Via Lattea.

Giorno 6

Qualche folata di vento, apro gli occhi e i primi chiarori appaiono. Non è ancora sorto il sole. No non ho voglia di uscire… ma devo farlo perché devo arrivare ad Olinena prima di mezzogiorno per evitare di trovare l’alimentari chiuso.

Comincio ad uscire dal sacco e vedo il sole sorgere. Solo una piccolissima porzione di sole si vede, il resto è sotto l’orizzonte. Oggi cambio calzini, in fondo li ho tenuti per 5 giorni, direi che hanno fatto il loro.

Il vento sembra essersi placato. Le temperature rimangono comunque basse e parto con la giacca. Un tratto molto facile fino al paese e le gambe entrano subito a regime. Non ho molte possibilità in effetti, se non voglio aspettare le 16 che riapra l’alimentari.

Passo grandi pianure di pascoli e di campi coltivati, mi spoglio anche se il vento si è rifatto vivo. Qualche piccola incertezza sul sentiero, ma risolvo subito allungando un po’. Non c’è dislivello in questo tratto è quindi penso solo a marciare il più velocemente possibile. Passo a fianco di alcuni monti con dei campi incolti pieni di fiori gialli e viola.

Una cosa particolare per me qui in Sardegna, è che ovunque io vada, sia sulla strada che in alto sui monti, si trovano finocchi selvatici. E crescono anche più alti di un metro e mezzo.

Mi metto d’accordo con Giacomo e per mezzogiorno dovrei essere in paese.

Dopo 20km arrivo finalmente al alimentari, che in realtà è un piccolo supermercato. Mentre faccio la spesa, Giacomo mi raggiunge, questa volta è con altri due. Presto scopro che i due signori sono il presidente del CAI di Nuoro ed un giornalista. Andiamo al bar per fare una veloce intervista, recuperare le batterie e anche due pacchi che contengono un Buff ed una maglietta personalizzati per il viaggio che non ero riuscito a recuperare prima della partenza. In mezz’ora siamo riusciti anche a farci qualche foto ricordo.

Mi fermo per mangiare. Al sole si sta davvero bene, peccato per l’aria fredda. Dopo 10 minuti, forse un quarto d’ora, ho già “sparecchiato e pulito i piatti”.

Da 300m devo arrivare a 900m, non è molto, ma con già 20km sulle spalle non è così immediato. Nonostante tutto mi sento bene, questa mattina non ho fatto particolari sforzi ed ora me ne avvantaggio. Una volta guadagnato quota, si vede Oliena, Nuoro e tanti altri monti lontani.

Arrivo alla fonte Daddana, riempio la borraccia e mi sciacquo, la salita mi ha fatto sudare. Lo zaino pesa un po’ più perché anche domani non troverò appoggi dove fare provviste.

Un lungo traverso a mezza costa nel bosco per attraversare il Supramonte di Oliena. Il vento anche qui non è troppo gradito, ma muovendomi riesco a restare caldo. Il bosco è diverso, è più aperto. Non ci sono tante piante ed arbusti a coprire il terreno. Comunque il Sentiero, almeno per la prima parte, è ben segnato. Si tratta di una strada forestale di collegamento. Quando ho ormai percorso 7km del traverso raggiungo una piccola casetta dove l’anno scorso ho passato la notte perché rischiava di piovere. Mi ero fermato proprio il sesto giorno, perciò mi rendo conto di essere in “vantaggio” rispetto il tentativo precedente.

Ho messo i calzini sporchi a prendere aria nel retro dello zaino, e ogni tanto qualche folata da dietro mi ricordano l’odore che emanano. Li laverò. Esco un po’ dal bosco e riesco a vedere il Gennargentu, mi colpisce perché vedo delle lingue più chiare.

Non può essere… Neve! Verso sud, verso la fine del gruppo, si nota molto bene il calcare giallastro caratteristico della dolomia.

Una volta finito il traverso passo una piccola sella e mi trovo nell’altro versante, di cui non ho nemmeno un ricordo, ma la traccia fatta l’anno scorso conferma il mio passaggio anche di qui. Trovo strano non averne ricordo perché è forse la zona più bella vista dall’inizio della Sardegna.

La vista spazia a 360° fra grandi praterie dove il rumore dei campanacci delle mucche ogni tanto riesce a sovrastare quello del vento fra gli alberi. Purtroppo “sono di fretta”, le gambe sono stanche dopo oltre 45km ed il calore del sole non riesce a contrastare il vento freddo. Devo trovare un riparo per la notte per non dover patire freddo.
A 5-6km c’è una caserma della forestale, mi hanno consigliato di chiedere a loro. Ora ho anche qualche fastidio al tallone destro che potrebbe essere soggetto a vesciche. Non appoggio il peso sul tallone per risparmiarlo il più possibile. La stanchezza è tanta e sono consapevole che la temperatura calerà parecchio questa notte.

A fatica scendo la costa di un monte ed affronto l’ultima salita. Non manca molto alla caserma.

Due chilometri circa. Prima di arrivarci trovo una casetta di legno, non proprio in ottime condizioni. È in legno, rattoppata con dei sacchi di plastica. È aperta, c’è una finestra rotta e dei vetri per terra ma sono stanco ed un po’ infreddolito. Mi fermo qui.

Noto un piccolo passaggio sotto il muro, probabilmente di qualche roditore che ogni tanto viene a fare visita sperando di trovare cibo.

Giorno 7

Mi sono svegliato diverse volte per il freddo, ed il fatto di non essermi ancora lavato non rende piacevole il fatto di dormire tutto appiccicato. Indosso i fuseaux e la felpa ma non basta. Quando decido di alzarmi sento che fuori dal sacco a pelo è bello fresco. Sto preparando lo zaino e le gambe tremano, le mani stanno diventando sempre più fredde.

Pronto! Esco, finalmente posso mettermi in moto.

Arrivo presto alla caserma, 1km circa, approfitto di una fontanella per lavarmi i denti e dare una sciacquata alle mani e al viso. L’acqua non è per niente calda. Mentre mi faccio bello c’è del movimento nel piazze. Macchine che vanno e vengono, tutti con la divisa o giacca verde della forestale.

Mi rimetto in marcia ancora con le mani fredde. Verso il terzo chilometro riesco a riscaldarle e raggiungo anche un bel punto panoramico. Non c’è vento ed il sole mi scalda con i suoi raggi, è davvero molto gradevole. Alcune mucche pascolano li vicino e c’è un frastuono di campanacci, mi guardano mentre passo.
Il Sentiero scende dolcemente e sento tutto il corpo riscaldarsi, raggiungo una sella dove c’è un cadavere ormai più ossa che pelle di un cavallo, probabilmente uno di quelli liberi della Sardegna.

Proseguo con qualche piccolo tentennamento per via di una traccia poco chiara, attraverso un fiume ed approfitto per spogliarmi e  un lavarmi. Sembra una bella giornata, non tardano però le prime folate di vento freddo. Al sole senza vento si sta bene, ma quando c’è una nuvola e sopraggiunge il vento la temperatura percepita, ed è decisamente bassa.

Salgo ancora poco e infilo di nuovo la felpa. È una zona ricca d’acqua, ci sono diverse fontane lungo questo primo tratto.

Più avanti attraverso il Corr’e Boi ed è decisamente ventilato, ma aspetto a vestirmi perché mi attende una salita ripida. Come l’anno scorso non trovo indicazioni, ci provo lo stesso. Si tratta di una salita dove serve l’uso delle mani e non mi sembra il caso, diventerebbe pericoloso. Perciò aggiro la montagna e mi dirigo verso il Gennargentu, lo vedo, è lì, di fronte a me, solo due vallate più in là.

Il sentiero segue la cresta e così faccio anche io, noto le prime nuvole scure dietro di me. Mi metto anche la giacca e dei pantaloni anti-vento perché ora fa decisamente freddo. Mi sistemo dietro una roccia per ripararmi, mi vesto e pranzo. Poco dopo essere ripartito esce il sole e non c’è più vento, aspetto la fine della discesa.

Sotto vedo due signori vicino una costruzione, sono a circa 150m da me, urlo chiedendo se c’è acqua potabile, mi rispondono di sì.

Mi dirigo da loro e mentre mi spoglio e riempio la borraccia mi offrono del vino “buono”. Per gentilezza accetto, ma “poco”, così mi offrono un bicchiere pieno.

 

Lo bevo e devo dire che non era male, nemmeno troppo forte. Dopo un po’ di domande su cosa e come, riguardo cosa sto facendo riprendo il sentiero. Incontro la strada che porta agli impianti di risalita ed il vino per fortuna non ha fatto nessuno scherzo. Era davvero buono. Vado in direzione opposta per prendere la strada che mi porta sulla cima Bruncu Spina e da li diventa sentiero fino a scendere lungo la dorsale ed incontrare una strada secondaria utilizzata da allevatori per i pascoli.

Il vento continua ad andare e venire, un attimo prima toglierei tutto, subito dopo vorrei anche la giacca.

Salendo incontro madre e figlia spensierate che scendono lungo la strada, mi salutano. Raggiungo la cima e così il sentiero. Il primo tratto è facile, fino a cima La Marmora, ben segnato e facilmente percorribile. C’è un sacco di zafferano lungo il percorso, qualche macchia di neve e dei gracchi che liberi si fanno trasportare dal vento. Incontro altri due ragazzi che stanno tornando, probabilmente amici o parenti delle due ragazze di prima.

In meno di un ora ho raggiunto il punto più alto della Sardegna, punta La Marmora a 1834m.
Ora della Sardegna mi resta meno di metà ed è tutto in discesa, anche se inizia i tratto che ricordo avermi dato più di qualche problema.

I primi 500m non sono male, dopo è tutto pieno di rocce più o meno grandi che non permettono un piano di appoggio uniforme e la caviglia è costantemente chiamata in causa. Non poco spesso sono costretto ad appoggiare la pianta del piede sulla parte appuntita della roccia ed il piede non mi ringrazia.

Mi aspettano 10km così. Sono parecchio lunghi e le anche, le ginocchia e i piedi mi chiedono costantemente di fermarmi di farli riposare. Non posso ascoltarli perché il meteo per questa notte prevede pioggia e devo trovare un riparo. Mi fermo un po’ per fare pipì. Ho potuto accontentarli così, nulla di più. Almeno le potenziali vesciche sembrano stare buone, anche se qualche dolorino c’è.

Vedo da lontano dei cavalli selvatici, alcuni sono tranquilli stesi a terra. Successivamente incontro delle capre di montagna. E finalmente una strada. La vedo da lontano e si avvicina sempre più.

Cento metri prima della strada c’è una casetta, sembra un trullo di Alberobello, ma con il tetto in cemento colorato di arancione. Provo, ma è chiuso a chiave. Riprendo a malincuore a far sopportare alle gambe questi sforzi. Non bastasse la strada è tutta rotta e cambia ben poco dal sentiero. Non so quanto ancora dovrò continuare. A 15km ci dovrebbe essere una caserma, ma non ho voglia di fare 15km, in più arriverei con il buio.

Un altra casetta, provo ed è chiusa anche questa. Poco più in là un altra costruzione, questa è aperta. C’è un forte odore di caglio, ci sono mezza dozzina di damigiane da 5l vuote e qualche attrezzo. Sembra che al centro dell’unica stanza si possa fare un fuoco, ma non c’è camino ne fuliggine. Sono le 18.10, ho fatto meno km ed ho ancora a disposizione due ore abbondanti di luce, ma fermandomi sono sicuro di passare la notte tranquillo.

Mi sistemo a terra e faccio prendere aria ai piedi.

Guardo il soffitto e trovo sopra di me un buco. No!

Mi sposto, un altro. Controllo la piccola stanza e trovo una porzione senza buchi abbastanza larga per me, così ci metto il materasso ed il sacco a pelo. Cena e controllo le mappe per i prossimi giorni, perché domani devo arrivare in paese con l’alimentari aperto. O Gairo Taquisara o Ulassai.

Sono Una volta steso sento dolori dappertutto nelle gambe. Si sono aggiunte le ginocchia che fino ad ora non avevano detto niente. Appoggiare i piedi troppo a lungo in una posizione mi fa male. Stare su un fianco da fastidio al anca, dall’altra parte uguale.

L’unica posizione è a pancia in giù. Le braccia sono un tormento perché non riesco a trovare una posizione comoda e stabile per loro. Mi addormento.

Giorno 8

La notte non piove , forse è la notte più calda.

Il dolore al ginocchio sinistro non è passato. Ho dormito 10 ore non continue, se non dovesse passare a Cagliari dovrò prendermi qualche giorno di riposo.

Esco per vedere com’è il tempo. Tutto coperto da nuvole scure. Non mi sembrano, almeno per ora, intenzionate a far piovere. Prima di infilare i calzini controllo i piedi, ho una piccola emorragia interna nel tallone del piede destro proprio dove mi faceva male. Ancora con la colazione da fare comincio l’ottavo giorno. Lo zaino è più leggero oggi, spero mi faccia marciare meglio. Fa meno freddo di ieri.

Perda e Liana, il cucuzzolo più interessante a mio gusto della Sardegna è lì in bella mostra con delle nuvole che le passano sopra formando un arco.

La strada di ora non è rotta come quella di ieri, sempre una stradina bianca di campagna, ma tenuta meglio.
Tre chilometri e diventa asfalto che lascio quasi subito a favore di una vecchia strada che mi porta al fiume. Questa mi porta a raggiungere una strada asfaltata che dovrei attraversare per continuare su quella vecchia, ma manca il proseguimento per la strada successiva.

Scendo dalla strada asfaltata fino al fiume, dove devo attraversarlo prima su un ponte e poi saltando di sasso in sasso per evitare di bagnarmi. In questa zona confluiscono 3 fiumi che si riversano sul Flumendosa. Sembra aver piovuto un po’ perché è tutto umido mentre sotto gli alberi è asciutto. Intanto le nuvole sembrano andarsene a favore del sole. Prima di cominciare il parco di Perda e Liana o Perdaeliana, individuo un cartello con la mappa ed alcuni sentieri e ci do un occhiata. Arriva fino a Gairo, fotografo ed in caso di perplessità avrò le foto con me.

Entro nel parco, attraverso il cancello con la scritta “chiudere cancello”, lo chiudo e comincio a salire.
Da subito è visibile la pietra calcareo-dolomitica già dai primi passi del giardino creato all’entrata. Una volta raggiunta la zona detritica alla base del pilastro, il sentiero si divide i due per poter girarci attorno completamente.
Prendo il sentiero che passa a nord, dove posso vedere anche il Gennargentu e la strada che ho fatto in discesa fino al fiume questa mattina. Qualche nuvola lo sta coprendo, ed ora che non sono protetto dagli alberi, sento fresco anche qui.

Da est arrivano nuvole grigie che coprono il sole e mi fermo per mettere la felpa. Qualche capra selvatica fischia alla vista della mia presenza e scappa. Una salitina ed ho di nuovo caldo, ma il vento subito mi ricorda che non devo togliere la maglia. Al passo c’è una strada forestale, la prendo fino ad arrivare ad una caserma. Lungo questo tratto c’è molta acqua e trovo diversi getti che vengono fuori direttamente dalla roccia.

Alla caserma mi fermo solo per controllare una mappa che comunque non mi dice nulla di nuovo.

Ora scendo verso la vecchia stazione di San Girolamo, una stazione dei treni abbandonata che ora è meta per i visitatori.

Mi fermo in una area attrezzata per il pranzo. Il sole se ne va ed ho freddo. Ho tolto le scarpe e i calzini e noto una piccola macchia rossa sul quarto dito destro, proprio dove mi dava qualche fastidio. In venti minuti sono di nuovo operativo, i piedi si sono raffreddati e per il primo centinaio di metri sento qualche dolore.
Da qui, fino a Gairo Taquisara, seguirò una strada bianca, a parte un tratto di 500m dove non c’è più traccia del sentiero proprio sopra i monti del paese.

Arrivo tardi per l’alimentari, e perciò proseguo per Ulassai che si trova a circa 10km, dove ricordo esserci un piccolo supermercato. Salgo seguendo indicazioni per Serbissi, un Nuraghe sardo. Dopo un pianoro ancora salgo ed incontro una decina di guardie forestali probabilmente ancora in pausa per il pranzo.

Qualche minuto dopo mi sorpassano lungo il sentiero, scendendo su una comoda strada asfaltata…quasi noiosa penso. Subito mi viene in mente il tratto di discesa dal Gennargentu e mi godo questo tratto. Diverse svolte e comincio la discesa finale verso Ulassai. Passo la caserma della forestale e mi si apre un bellissimo panorama. Il paese e pareti a strapiombo sulla vallata. Ci sono delle pecore vicino a me e ricordo di essere in Sardegna.

Il più bel panorama visto fino ad ora. Nemmeno lo ricordavo così bello. Cammino e fisso le pareti. Penso che al nord molti cercherebbero qualche via di scalata e non credo che qui accada. Quando arrivo al paese ci sono una dozzina di anziani seduti su alcune panchine all’ombra, e in dialetto parlano delle loro cose. Saluto e continuano a guardarmi, vado verso il negozio ed è chiuso. Chiedo quando aprirà, mi dicono le 17. Sono le 16.40,mi metto vicino gli anziani ed approfitto del bel sole per stare al caldo e far prendere aria ai piedi.

La macchia rossa è ancora lì e le scarpe sono umide, perciò le metto al sole anche loro.

Alle 17 mi alzo e vado al supermercato che trovo aperto. Fatta la spesa una cliente mi chiede se sto facendo il “Selvaggio Blu”, un sentiero rinomato in Sardegna con difficoltà anche alpinistiche. Spiego cosa sto facendo e rimane stupita. Mi offre la possibilità di farmi una doccia, ma rifiuto perché comunque non avrei nulla da mettere di pulito e preferisco continuare visto che ho ancora luce.

Però… devo scaricare le mappe per il percorso di domani perché la traccia del CAI esce da quelle scaricate, e allora approfitto del WiFi vicino al municipio. Intanto mi mangio quattro pomodori ed una mela. Mezz’oretta dopo sono sul sentiero. Un tratto facile che costeggia un monte proprio di fronte ad Ulassai. Ci sono molti detriti sul sentiero e comincio a sentire dolore al piede destro. Sembra sia un abrasione nella parte superiore delle dita. Attendo di finire questo tratto e di arrivare su una strada più comoda per controllare. Dieci minuti dopo ho tolto i calzini. La macchia rossa sul quarto dito è la colpevole. I calzini sono umidi come pure le scarpe, questo non aiuta. Stringo le scarpe in modo da rendere il piede più stabile e fregare meno sulla zona interessata.

Ora sono sulla statale, per due chilometri procedo qui. Quando ho quasi finito il tratto asfaltato mi accorgo che il sentiero restava un po’ più alto di una sterrata. Il primo tratto che salto. Dove le due strade si incontrano, c’è una terza che devo prendere per proseguire, esco dalla statale e salgo verso una zona panoramica che mi permette di vedere il mare. Mi trovo a soli 15km dalle spiagge, ma sinceramente non ho molta voglia di mare.

Il rosmarino in fiore è ovunque, lo si individua da lontano. Ne prendo un rametto per profumare il sonno, ieri mi sono dovuto accontentare del profumo dei calzini e delle scarpe. Un altro piccolo pianoro dove ho l’impressione ci sia stata vita viste le piccole radure ricavate qui e lì. Mi piace, è accogliente. Vorrei fermarmi, ma decido di continuare ancora per qualche chilometro. Trovo qualche residuo di un braciere, cenere e sassi sistemati a circoscrivere il tutto.

Ora devo scendere, ed al mio fianco ci sono queste formazioni calcaree molto particolari, non sono più a strapiombo come verso Ulassai ma piuttosto a gradoni. Una zona molto interessante. Incontro un albergo e poco dopo la chiesetta di Sant Antonio da Padova, nei pressi della quale c’è una costruzione che mi offrirà un po’ di protezione per la notte.

Come entro sento un forte odore di feci umane. Proprio di fronte a me, assieme a dei fazzoletti la causa del fetore.

Trovo un asse di legno rovinato e cerco di alleviare la puzza spostando tutto fuori. Qualcosa resta, ma ho il mio rosmarino ad aiutare.

Stendo tutto e metto il rosmarino vicino alla testa. Metto dei calzini puliti ed asciutti sperando che aiutino ad alleviare i dolori al dito. Mangio, controllo le mappe scaricate e cado in un bel sonno con i soliti dolori ed i piedi che pulsano.

È ormai buio ed una macchina si avvicina. Si ferma, sono due ragazzi venuti in camporella. Riprendo a dormire ma maldestri pigiano sul clacson e così resto li, sveglio fino a quando non se ne vanno.

Giorno 9

Alle prime luci il picchio sta già lavorando e con il suo picchiettare sveglia anche me. È ora di mettersi in moto. Anche oggi fa fresco fuori. La giornata è limpida, solo verso il mare vedo qualche nuvola bassa.

Quando esco dal riparo il picchio scappa, e nel parcheggio di ieri sera trovo l’immondizia lasciata dai due.

Con le mani fresche comincio a camminare verso la zona che l’anno scorso mi ha obbligato ad allungare di molto il percorso. Ieri sera guardando le mappe sembrava esserci un passaggio e presto lo scoprirò.
Il sole ancora basso già comincia a scaldare. Nei prati in controluce sembra ci sia della neve, invece è solo il riflesso del sole sulla rugiada. La strada bianca si addentra nel bosco, ogni tanto sbucano dall’alto strane figure di pietra, quasi campanili.

La strada si interrompe. C’è una recinzione. Guardo bene e c’è un passaggio, con una brandina hanno creato una porta. La oltrepasso ed il bosco è più fitto, la strada diventa un sentiero. Non è immediatamente riconoscibile. Riesco comunque a seguirlo perché a terra c’è ancora qualche segno. Mi accorgo che ci sono anche degli omini ad indicare la via. Un centinaio di metri ed il bosco si apre, ora diventa più facile seguire le tracce. Un altra recinzione ed un altro cancello. Oltre il cancello è ancora più rada la vegetazione.

Proseguo fino a quando sento una voce che urla “Ehi! No di là!” la ignoro e pochi istanti dopo mi trovo un cane furioso addosso. Sta abbaiando dritto a me. Ne arriva un altro. Sembra ancora più incazzato. Hanno la bava alla bocca. Li tengo a bada con i bastoncini. Il padrone si avvicina e guarda la scena. Mi fermo ed aspetto che il padrone risolva. Ne ha preso uno.

Chiama l’altro che naturalmente non risponde. Dopo un minuto decide di avvicinarsi e prendere anche l’altro.

Mi chiede dove sto andando e per dove. Rispondo in fretta e mi dice di andare prima che gli scappino i cani.

Nonostante tutto sono tranquillo, ma penso che se non ci fosse stato il padrone avrei dovuto impiegare un sacco di tempo per risolvere la situazione. Per una decina di minuti riesco a seguire tranquillamente il sentiero.
Un altra recinzione e di là solo natura che cresce indisturbata. Non ci sono rovi, ma arbusti che mi rallentano.

Guardo la traccia del CAI e cerco di seguirla. Non è fattibile, ogni volta che trovo una pista decente mi allontano. Ci sono impronte di mucche, ma non so di quanto tempo fa, questo mi fa sperare in un sentiero che compaia da un momento all’altro. Mezz’ora per fare si è no 400m. Dovevo aspettarmelo. Verso la fine di questa discesa e poco prima di cominciare un traverso vedo a terra semi sotterrato un tubo dell’acqua. Penso subito che serva per portare acqua in qualche zona più facilmente percorribile. Purtroppo non nella direzione un cui devo andare io.

Comincio il traverso che si lascia percorrere abbastanza facilmente, ma non è sempre chiaro il percorso. Lo perdo in prossimità di una discesa. Una discesa abbastanza pericolosa dove fatico a trovare un piano di appoggio decente. Capita a volte di trovarmi con un piede incastrato tra gli arbusti proprio al momento di fare il passo. Questo mi destabilizza e devo fare un gran lavoro di recupero con i bastoncini. Anche il terreno sdrucciolevole ci si mette ogni tanto. Sono convinto che ci vorrebbe un po’ di tempo prima di trovarmi in caso di necessità.

Arrivo sotto e trovo una vecchia traccia ormai percorsa solo da capre selvatiche. Era una comoda strada, ora un passaggio per una sola persona. Proseguo un po’ meglio qui, anche se in alcuni tratti il passaggio ha ceduto. 45 minuti per fare un chilometro e mezzo. Arrivato alla fine del traverso devo attraversare il fiume e naturalmente il ponte è crollato. Cerco un punto facile per attraversarlo e risalgo dall’altra parte convinto di trovare una strada più comoda.

La situazione è leggermente migliore perché appoggio i piedi sempre in piano ma il passaggio a è comunque disturbato dalle piante. In prossimità del ponte ci sono delle costruzioni diroccate, non so bene a cosa potessero servire, ma mi viene da pensare che non servissero ad agricoltori. Continuo fino a trovare una strada così potermi fermare per mangiare in un posto dal quale poi potrò proseguire tranquillo. Intanto un ramo secco mi rovina i fuseaux, un taglio di 20x15cm. Nonostante la bella giornata li avevo ancora addosso per proteggermi un po’ da quelle piante.

Altre costruzioni prima della strada e finalmente pranzo. Non ho particolarmente appetito. Non ho nemmeno finito la seconda metà della colazione.

Il sole oggi scalda bene e l’aria è giusta per rinfrescare dalla calura. Dopo aver mangiato, sono leggermente svogliato e anche se non ci metto il solito ritmo, non mollo. Passo una zona con pale eoliche e scendo sulla statale: dovrei percorrere il sentiero a ovest della strada, ma raggiungendo la statale ho visto che non c’è nessuna traccia, ma solo arbusti. Per oggi ho deciso che ho dato abbastanza.

Sulla statale mancano sei chilometri per Perdasdefogu e riprendo a camminare su strade bianche, che stanno a fianco della principale per due chilometri poi si allontanano. Incontro mucche e capre che puntualmente si spostano al mio passaggio.

Ormai vedo il paese ed il sentiero prende verso sud, mancano due chilometri che faccio su una strada asfaltata. Vado dritto al supermercato. Prima do una sciacquata ai calzini sporchi. Arrivo di fronte al negozio ed apre alle 17, tra un ora e 10.

Mi siedo fuori dalla porta al sole.

Metto ad asciugare scarpe e calzini e mi spalmo la crema sulle spalle perché mi sono reso conto di essermi quasi scottato. Alle 17 puntuali aprono. Mi alzo e dopo tanto riposo mi ci vogliono 6-7 passi per togliere l’indolenzimento che ho addosso. Arrivo alla cassa con tutto l’occorrente per i prossimi tre giorni. Naturalmente mi chiedono cosa sto facendo, e mi dicono di prendere un’altra strada più facile. Spiego che il sentiero è prestabilito e devo proseguire con quella traccia.

Esco e mi metto in marcia, quando passo il centro del paese, mi accorgo di aver lasciato i bastoncini al supermercato. Torno indietro a recuperarli. Ora passo a fianco di una zona militare, non dovrebbero dire niente visto che la costeggio e basta. È una strada asfaltata ed approfitto per fare in fretta uscire da questa zona senza problemi. Ad est la luna è sorta da poco. Poco più avanti mi accorgo di poter vedere il Perda e Liana, alla sua sinistra ora riconosco anche il Gennargentu.

Il sole scalda ancora, ma sono gli ultimi minuti di tepore, forse mezz’ora, perché si sta coricando anche lui.
Quel po’ di vento che c’è è sufficiente a farmi indossare la felpa. La strada è facile ed ormai sono fuori dalla zona di interesse militare, passo il posto di blocco, costituito da una sbarra aperta ed una costruzione aperta da un lato con un tetto sufficientemente alto per starci i piedi, nella quale c’è una sedia fissata a terra. Insomma la postazione per un addetto al controllo visite.

Quando il sole cala sono ancora in cammino e le poche nuvole alte nel cielo si tingono di giallo, arancio ed infine di un rosso timido. Intanto sono arrivato ad una piccola fattoria dove non trovo un riparo. Sto per andarmene e vedo un buco tra dei blocchi di granito. Dentro ci sono delle piccole griglie e posto sufficiente per me è lo zaino. Un po’ di riparo in queste notti che ancora sono fresche non guasterà.

Giorno 10

Varie volte mi sveglio e c’è sempre luce perché la luna illumina la notte. Mi sveglio ed è illuminato il mio giaciglio, la luna è proprio in direzione dell’apertura. Con un sorriso torno a sonnecchiare.

Sono le 6.30, sono  sveglio da qualche minuto e sento dei rumori, ma non ho sentito auto o moto. Mi sembra impossibile che il proprietario sia arrivato a piedi o in bicicletta. Decido di alzarmi e fuori a pochi metri da me ci sono 5 mucche che gironzolano brucando l’erba. Esco da quella grotta per avere più mobilità facendo lo zaino, anche oggi il freddo si fa sentire. Le mucche non scappano oggi, e non si avvicinano. Mi guardano e brucano.

I primi passi sono freddi, la velocità a cui sto andando mi porta ad avere una corrente d’aria addosso più che frizzante.

Per ora seguo una comoda discesa nel bosco, sento alcune sacche di aria fredda ed altre più calde. Devo deviare per un tratto meno comodo, tra rami che mi costringono ad abbassarmi ogni tanto. 1km e torno su una strada. Raggiungo una fattoria dove ci sono solo rumori di campanacci, probabilmente di mucche.

Mi sembra di sentire profumo di legna al fuoco… Ho un flashback di quella mattina in Lombardia, stavo camminando lungo il Sentiero Italia per raggiungere il Colle Dell’Arbergian, c’era la brina a terra, e faceva decisamente più freddo di oggi, avevo la barba lunga a proteggermi. Stavo percorrendo la Val Colvera e non era visibile alcun movimento nelle case e baite, ma dai comignoli usciva del fumo come segno di vita.

“Il profumo del legno, molto probabilmente larice, permeava l’aria ed io me ne riempivo i polmoni. Quanto bello sarebbe stato trovarsi di fronte ad un caminetto in una di quelle case in pietra con una tazza di tè o cioccolata calda. E mentre scaldo i piedi al fuoco, la tazza fuma. La legna è bella rossa e qualche volta scricchiola. Mangio un biscotto. Fuori dalla finestra è tutto ancora in ombra, il sole non ha raggiunto la vallata. Tra i radi alberi vedo un omino con lo zaino, sembra pesante ma il passo è veloce. Gli esce un gran fumo dalla bocca. Guardo la tazza, assaporo il profumo e quell’omino non c’è più.”

Scendo la strada verso un torrente che ricordo essere una zona non pulitissima, quando ci arrivo, mi accorgo che hanno sistemato un primo pezzetto e qualche lavoretto lo hanno fatto anche più avanti. Mi sembra leggermente più fluida. Il sentiero si interrompe e continua dopo qualche piccolo arbusto seguendo le tracce di bestiame. Arrivato in cima seguo più o meno la cresta, c’è una recinzione per del bestiame, la supero e trovo una strada. La percorro prendendo una deviazione suggerita dalla traccia del CAI, questa parte non è molto chiara e pulita, ma ho visto di molto peggio.

Salendo vedo Armungia. La discesa è sempre su un tratto non proprio semplice. Sassi ed altri ostacoli lo rendono insidioso, l’ultimo pezzo di discesa è in forte pendenza e su un tratto sdrucciolevole.

Velocemente mi sposto su una comoda carrareccia che arriva proprio sotto Armungia fino ad un sentiero di difficile individuazione perché nascosto da vegetazione. In questa salita sudo parecchio, vorrei bere ma la borraccia è vuota, manca poco ad Armungia. Arrivo dalla zona del cimitero. Cammino per le viuzze e ricordavo fosse un bel paesino, quest’anno riconfermo!

Incontro dei locali e chiedo informazioni, conoscono il Sentiero Italia ed uno di loro ha collaborato a tracciarlo. Mi dirigo ad una fontana per pranzare in solitudine. Il sole è coperto e metto la felpa per non avere freddo. Venti minuti dopo ricomincio a camminare con qualche dolorino. Passa tutto subito. Proseguo cercando di essere più fedele possibile al sentiero perché alcuni tratti sono stretti nella vegetazione. Dopo un po’ proseguo per asfalto, perché da riferimento del CAI di Cagliari, quindi di chi dovrebbe gestire questo tratto, mi ha consigliato di variare il tracciato a favore di un pezzo più semplice.

Tre chilometri più avanti esco dalla strada e prendo una strada di campagna. Non è proprio così comodo questo passaggio, ma ormai non voglio tirarmi indietro. Scendo al Rio Tolu e trovo un vecchio segnavia del CAI di 25 anni fa. Sono sulla strada giusta, 150 metri più in là ad un bivio già so dove andare.

Naturalmente prendo la direzione sbagliata. Mi ritrovo sulla strada che mezz’ora fa ho lasciato, continuo fino ad incontrare ancora il sentiero che dovrebbe salire su una costa, ci sono alberi ed il passaggio non è agevole, dopo un centinaio di metri trovo una stradina stretta molto più agevole.
Un chilometro e passo un bivio, me ne accorgo e torno indietro, devo lasciare questo tratto facilmente percorribile per un sentierino che sale nel bosco. Non sembra messo troppo male. Mi addentro. Poco dopo diventa più angusto, passo una zona rada che serve a limitare il propagarsi del fuoco nel bosco, in 200 metri attraverso il bosco e di nuovo su una forestale.

Arrivo ad un agriturismo che sarebbe posto tappa, e da qui dovrei prendere un sentiero, ma non trovo riferimenti.
Entro nella proprietà e trovo un cartello con dei sentieri tra cui il Sentiero Italia. Cerco di capire dove comincia dalla mappa e mi ci dirigo, ma una volta sul posto non è così immediato. Trovo una traccia, ma non ci sono cartelli o segnavia.. La seguo fino in cima, la salita mi fa sudare, e comincio ad avere sete, ma l’acqua nella borraccia non c’è più. Raggiunta la strada per il Monte Genis la percorro perché il sentiero sparisce.

Cerco una fonte di acqua e ne trovo una, ma la bocchetta da dove esce è sotto il livello dell’acqua e nella vasca c’è pure un teschio probabilmente di capra, ha attaccato alle ossa ancora della carne. Non è il caso, mi tengo la sete molto volentieri nonostante l’acqua sia limpida.

Cammino fino a lasciare la strada per imboccare quella che mi porta a salire il monte. Da lontano noto una vasca, potrebbe esserci dell’acqua. Ma non sono sicuro sia proprio una vasca. E’ lontana e poi potrebbe essere vuota o chiusa… Però ci sono delle mucche nei dintorni e una fonte di acqua deve pur esserci.

Quando la raggiungo scopro che è proprio quello che cercavo, ma ha un modo strano per far uscire l’acqua, c’è un galleggiante che permette a solo una minima parte di acqua di uscire e c’è una lastra di acciaio che rende difficile raggiungere il getto. Provo a togliere la lastra, ma è scomodo. Così anche se è tardi per bagnarsi perché il sole non riesce più a scaldare riesco a recuperare dell’acqua.

Tolgo la felpa ed immergo il braccio per riempire la borraccia. Stando attento a non bagnare la parte superiore della borraccia cerco di spingere il galleggiante verso il basso per permettere un flusso più generoso. Qualche tentativo e la borraccia è piena.

Rimetto la felpa ed il braccio bagnato è rinfrescato, ma non ci mette molto ad asciugarsi.

Arrivo proprio ai piedi del Genis, comincia con un bel bosco ed una strada lastricata e rovinata.
Continuo a salire, non mi dispiace questo sentiero. Salgo molto volentieri nonostante sia tardi. La strada si interrompe, ora si prosegue su un sentiero tra salti rocciosi di granito. Ancora zig-zag tra arbusti ed infine a fianco una recinzione fino alla cima. Il sole è tramontato e le nuvole sono a strisce arancio e rosso. Le rocce in silhouette sono disegnate da linee decise in contrasto con le soffici nuvole.

Arrivato in cima scopro lo scopo della recinzione. Preservare cinghiali, cervi, mufloni ed aquile. Ora comincia a fare buio e non trovo il sentiero che scende. Tra arbusti che infieriscono sulle gambe, mi innervosisco un po’ visto che ormai è buio e devo fare in fretta per trovare un posto per passare la notte o ad arrivare a valle. Grazie alla mappa riesco ad individuare un possibile passaggio, man mano mi avvicino.

Ormai la luna riesce a proiettare la mia ombra sul terreno. Dopodomani sarà luna piena. Ho la torcia ma voglio approfittare di questa luce. Finalmente trovo il sentiero, qualche omino e qualche sbiadito segnavia mi accompagnano. Pieno di detriti, questo tratto non è semplice da proseguire e dopo una mezz’ora guadagno di nuovo la strada, poco dopo mi fermo stanco. Su un prato in piano.

La notte si alza il vento ed il naso e la bocca che escono dal  sacco a pelo si raffreddano.

Giorno 11

La mattina il vento non mi ha ancora lasciato. Resto per un po’ dentro il sacco a pelo, a godere del calore che mi offre, ma è ora di uscire.

Il vento freddo cerca di infierire e forse mi sto abituando, non sento così freddo, tuttavia mi lacrimano gli occhi. Mi preparo, delle mucche si avvicinano e poi si bloccano a guardare questo umano che ha un sacco di cose con sé per sopravvivere, quando a loro basta semplicemente qualcosa da brucare.

Il sole ormai ha raggiunto la mia postazione, è ancora troppo debole per scaldarmi.

Parto con i soliti biscotti in mano e uno o due in bocca. Salgo e scendo su questi colli seguendo delle tracce di strada delimitate da segni di pneumatici paralleli verso il monte Serpeddì. Salite facili e discese più impegnative per il terreno sdrucciolevole, complici le scarpe ormai senza quasi più tappi per aderire bene al suolo. Con i bastoncini faccio un buon lavoro e non scivolo nemmeno una volta.

Passo sotto il monte, ci sono delle grandi antenne e parabole. Da qui vedo Cagliari, il golfo ed il mare.

Poco dopo lascio la strada per il sentiero che scende sul crinale in direzione sud. Una altra zona che non mi piace, l’anno scorso avevo tirato dritto per Burcei continuando sulla strada, ma quella è una variante e quest’anno cerco di essere più fedele possibile al vero tracciato. Gli arbusti diventano piccoli alberi, spine e ginestre… Per il sublime profumo le perdono di pungermi ogni tanto, ma vorrei non essere chiuso ancora dalla vegetazione. Cado proprio vicino ad una pianta secca e piena di spini, mi procuro qualche nuovo tatuaggio per il resto del viaggio, visto che il sole e l’impegno non permetteranno una guarigione invisibile.

Quando raggiungo la strada mi prometto di non prendere più tratti sporchi, oggi voglio finire ed arrivare a Castiadas, senza graffi e cicatrici nuove.

Mi accorgo che nell’indice c’è un piccolo spino incastrato nel dito. Cerco di capire come toglierlo da lì, a mano non c’è la faccio ed è un piccolo dolore che potrebbe portare scompensi, sopratutto se resta li dov’è e mi causa un’infezione.
Un coltellino… Si c’è l’ho, e l’ho dimenticato nello zaino dopo l’ultima escursione in Friuli.
Con una piccola lama cerco di tagliare la parte superficiale di pelle per allargare il buco ed estrarre il corpo estraneo.

Ci lavoro 10 minuti e con l’aiuto di una pinza ce la faccio. Una spina di poco più di 2,5mm ormai rossa di sangue dava così tanto fastidio. Mi rialzo, pulisco il fondo della schiena dai sassi che si sono attaccati ai pantaloni, rimetto lo zaino, guardo il tratto appena percorso. All’imbocco c’è un segno bianco con una piccola, piccolissima macchia rossa. È proprio il sentiero.

Per diversi km continuo su tratturi e strade di granito che si sta disfacendo, a mezzogiorno mi fermo sotto una sughera, il vento non tarda ad arrivare e non mi faccio fregare, la felpa è a portata di mano. Mangio e le gambe raffreddate mi regalano i dolorini che mi ricordano di aver fatto un sacco di km. Ho ancora una mela, la mangio per far passare la fame e per idratarmi un po’ visto che ho poca acqua con me. Proseguo sempre su queste strade fino a San Gregorio, un piccolo borgo alla base del gruppo dei Sette Fratelli. In paese c’era una fontana, proprio in piazza ma ora non c’è acqua.

Scendo fino alla statale dove c’è un bar ristorante, il Su Passu. Mi prendo un chilo di pane così da avere la cena e la colazione con me. Chiedo di riempirmi la borraccia. Appena esco ne bevo una gran sorsata mentre approfitto dell’acqua che mi offrono.. Non è acquedotto, esce direttamente dalla montagna.

Da qui si inizia subito con un sentiero: è pulito e segnato. Mi accorgo che in realtà ci stanno ancora lavorando ma proseguo veloce senza intoppi. Ricordo qualche passaggio in questa zona e poi torno di nuovo su una strada forestale.

Fa caldo ma ho bevuto a sufficienza. Mi sembra ormai di essere arrivato anche se mancano una ventina di chilometri.

L’entusiasmo si fa sentire e vado spedito, forte. Ancora sentiero, anche qui vado forte, ma dopo 30 chilometri le gambe non sono più fresche e nella breve salita, 600 metri di dislivello, non arrivo alla fine con la stessa grinta e comincio a pagare l’energia forse sprecata inizialmente per l’entusiasmo. In una sella mi fermo a prendere fiato e mangio un po’ del pane preso un’oretta prima. Sono nel bosco e il Sentiero non prosegue lineare, ogni tanto c’è qualche salto sul granito e devo usare le mani per aiutarmi.

Arrivo in cima, Punta Sette Fratelli.

Da qui mi sembra manchi poco, e nel bosco perdo l’orientamento, sto seguendo questo tunnel tra la vegetazione, mi lascio guidare passivamente, non ho assolutamente idea di che direzione stia seguendo se non fosse per la bussola del telefono.

Comincio a scendere un po’ e vorrei essere arrivato, le gambe si fanno pesanti. La discesa è più lunga del previsto e devo anche allungare di un chilometro circa perché non trovo un passaggio nel bosco, ma mantengo fede alla mia promessa di non procurarmi nuove ferite.

Passo un ruscello e mi sciacquo le mani sporche e sudate. Tra poco comincio a salire, l’ultima salita. Altri 300m in su e poi solo discesa. Comincia a rinfrescare dopo una giornata calda. La salita mi aiuta a mantenere la temperatura, anche qui hanno pulito il Sentiero, ma non lo hanno ancora segnato.

Ultimo crinale, un po’ di entusiasmo. Comincio a scendere.. Passo davanti al posto dove l’anno scorso ho dormito con dei ragazzotti sulla cinquantina che si erano incontrati per ricordare l’amico motociclista morto. Mi infilo tra la vegetazione e trovo ancora il tavolino e le sedie fatte con le pietre trovate sul luogo. Saluto e riprendo. Voglio arrivare a Castiadas. Seguo la strada, ma mi aspetta una deviazione rispetto l’anno scorso. Come devio non mi da una bella impressione, la strada è si pulita, ma mi lascia immaginare il seguito poco pulito.

Ci provo.. Mi addentro sempre di più nel bosco sperando di non restare incastrato e dover tornare indietro. Esco da questa stradina a favore di un sentiero. La mia speranza vacilla. Lo seguo. Un corridoio pulito tra gli arbusti. Continuo ancora. Le gambe sempre più stanche. Sembra pulito da poco. Incontro segnavia ed omini. Ora scende più deciso ma ci sono un sacco di ciottoli e detriti, e ad ogni passo la caviglia subisce un tormento.

Ho ormai 45 chilometri sulle gambe.. Inutile dire che vorrei fermarmi qui, proprio qui dove sono e passare la notte, riposare e riprendere domani. Spero che avvicinandomi a Castiadas migliori. che i detriti si spostino dal sentiero per farmi proseguire veloce come piace a me. Invece per 5km mi tormentato e sento un dolore sotto i piedi, sotto le dita dei piedi. Come un sassolino, sia sul piede destro, ma ora anche su quello sinistro. La scarpa è troppo calda per questo periodo ed il piede suda troppo e penso sia questo ad avermi provocato questo inconveniente. Perché sono quasi certo non sia un sassolino, ma una vescica o una escoriazione.

Tengo duro, la testa sta bene, solo le gambe sono stanche.

Quando raggiungo la strada è come una benedizione. Sento molto meglio il problema al piede, ora che appoggio bene la pianta, ma manca pochissimo. Arrivo in piazza a Castiadas, soddisfatto.

Sono le 20.30 è ormai buio.

532km in 11 giorni.

Un gran successo, chi se lo aspettava di andare così forte senza essermi preparato fisicamente per questo viaggio?

Registro un video del mio arrivo.

Chiedo a dei ragazzi appena arrivati in macchina se c’è una fontana in zona. Mi prendono in simpatia, probabilmente per l’ora e per lo stato in cui verso. Lui abita proprio lì vicinissimo la piazza, mi fa entrare a casa sua e mi fa lavare le mani.

Il sapone, non lo toccavo dal traghetto. Riempio la borraccia ancora una volta. Ringrazio e mi trovo un posto per la notte.
Il giorno dopo mi sveglio comunque presto, non c’è la faccio a dormire. Una serata molto più calda di quelle trascorse tra i monti della Sardegna.

La mia meta, la spiaggia, il mare. Immergere i piedi nel mare. Per chiudere il Sea to summit to sea.. Ma anche per dare una mano alle piaghe sotto i piedi.

Sette chilometri in leggera discesa, percorsi con molta calma. Arrivo in spiaggia, tolgo le scarpe.

Vado verso l’acqua, il mare è leggermente mosso.. Non c’è nessuno in spiaggia. Arriva l’acqua. Un brivido gelido colpisce i piedi. Mi lascio cullare da questa sensazione per 5 minuti. Alcune onde permettono all’acqua di arrivare alle ginocchia. Le ferite pizzicano per il sale del mare.

Ritorno allo zaino e mi siedo lì, a guardare il mare. Dopo tanta montagna ascolto il rumore del mare e guardo le onde infrangersi nel bagnasciuga.

La sabbia sporca i miei piedi, ed il sole mi scalda le scarpe.

Mi sento sereno dopo tanto impegno.,

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