Sicilia 2017

Giorno 12

Alle 7.45 scendo dal traghetto, ci sono altre persone a piedi come me, e alcuni parenti di queste persone stanno aspettando proprio all’uscita. Qualcuno mi nota, forse per l’abbigliamento da sportivo. Sono uno dei pochi che cerca di uscire velocemente dal porto. Sto facendo colazione perché ho approfittato fino all’ultimo momento per riposare.

La prima impressione è che il porto è più pulito dell’anno scorso. Giusto il tempo di fare i primi passi nella città e mi rendo conto di essere in una città molto diversa da Cagliari.
Sporcizia ed immondizia sono onnipresenti, il rumore delle auto non fa che accrescere in me questa sensazione di disagio. Cerco un posto dove fare la spesa perché domani è domenica ed è anche Pasqua, quindi sarà tutto chiuso, e anche il giorno dopo, Lunedì dell’Angelo.

Mentre cammino il dispiacere di aver lasciato quei “matti” al B&B si fa sentire. Antonello, Carla, Daniela, Daniele, Mubin, Pierfranco, i miei “coinquilini” per questa piccola pausa a “La Terrazza sul porto”. Ognuno ha contribuito a lasciare qualcosa, qualcosa che infilo nel cassetto di questo viaggio. Dopo circa 10km che cerco di schiarire le idee trovo un piccolo alimentari e mi procuro l’occorrente per i prossimi 3 giorni.

Poco dopo il paese prendo un sentiero sulla sinistra secondo quanto mi indica la traccia del CAI. Allungo un bel po’, ma non sono sulla strada principale almeno per 2-3km, poi scendo comunque su una strada. Qui lascio il tracciato del CAI e continuo su asfalto perché la traccia passata dal CAI, da qui fino a Piana degli Albanesi non è corretta. Continuando incontro un sentiero chiamato “Itinerarium xxx”, lo prendo, nemmeno questo è corretto, ma perlomeno so di seguire un sentiero probabilmente pulito.

Comincia subito in salita nel bosco di pini. Sale fino ad una costruzione che potrei utilizzare per ripararmi dalla pioggia o per passare la notte, c’è una fontana: l’acqua è fresca e mi sciacquo visto che mi sono accaldato. Bevo e riempio la borraccia.

Riprendendo non è così chiaro inizialmente e penso di essere uscito dal tracciato. Secondo il GPS comunque sono sulla direzione giusta, infatti incontro di nuovo cartelli con la direzione da seguire. Salgo e scendo continuamente nel bosco dove trovo diverse capanne o casette ottime come rifugio. Per arrivare a Piana degli Albanesi basterebbe scendere ed in poco più di 1km sarei in piazza, ma questo sentiero continua sulla costa fino ad una grotta per poi scendere.

Finisco gli ultimi biscotti rimasti dalla colazione anche perchè sono le 14 e non ho pranzato, non ho avuto molta fame fino ad ora. Decido di aspettare fino a quando arrivo al paese. E così dopo la discesa mi trovo in piazza, stanno abbellendo le strade per una festa. Mi metto vicino una fontana, al sole. Tiro fuori i fagioli ed il pane. Prima di mangiare tolgo le scarpe che fino ad ora non mi hanno dato problemi, ma preferisco far respirare i piedi.

Mi accorgo che non sono concentrato… Mi sto rilassando troppo invece di mangiare il boccone e ripartire. Come me ne accorgo comincio a rimettermi le scarpe. La pausa a Cagliari mi ha fatto “perdere” lo spirito di questo viaggio. Mi ci sono voluti due giorni per “entrare in viaggio”, almeno per quanto riguarda la parte psicologica… e il fisico vorrà probabilmente altre 3,4 forse 5 settimane ancora prima di abituarsi. Trovo un cestino e butto i rifiuti, percorro la via centrale del paese verso est. Devo andare verso la diga.

Un cartello stradale indica “Sentiero Italia”, e molto simile a quelli che ho visto riguardo la Via Francigena. Più avanti un cartello di legno, come quelli classici del CAI mi dice quale direzione prendere. Qui la traccia del CAI mi viene in aiuto, ed individuo un segnavia abbastanza nascosto che mi rassicura sulla direzione. Un pezzetto di prato e poi asfalto fino alla diga. Scavalco un cancello e poi altre difficoltà.

Il sentiero non è chiaro, non si vede e la traccia è errata. Dall’altro versante della diga sono costretto quasi ad  arrampicarmi. Ora una stradina bianca, e di nuovo un cartello “Itinerarium xxx”. Seguendolo incontro un campo pieno di ciliegi in fiore, sono davvero pieni di fiori, tanto che non si vede nemmeno il verde delle foglie. Una piccola caserma forestale, dove non trovo nessuno e nemmeno acqua. Valico questi monti ed ho grandi dubbi sulla direzione da seguire. Decido per la via più breve, poi lungo il tragitto chiedo a dei locali qualche informazione, ma sono di poco aiuto anche se sembra sia nella direzione giusta. Un lungo tratto di asfalto fino a Ficuzza dove decido di passare la notte. Li troverò acqua, così mi sciacquerò le mani ed il viso e mi procurerò acqua per la notte.

Intanto il sole tramonta e qualche nuvola si colora di arancio. Ho controllato il meteo e potrebbe piovere domani nel pomeriggio. A Ficuzza ci arrivo alle 19.50. Ci sono tante macchine parcheggiate lungo le strade ma nessuno fuori, solo qualche cane che abbaia al mio passaggio.
Il profumo di verdure pastellate arriva fino in strada e mi accompagna per un centinaio di metri.. La fame comincia a fare capolino.

In piazza c’è una mappa delle zone limitrofe, non c’è segnato il Sentiero Italia, ma dalle scritte capisco di aver sbagliato percorso e che in parte quello del CAI era corretto. Individuo subito la fontana e riprendo a camminare, giusto per uscire un po’ dal paesino ed evitare rumori durante la notte.

Entro nel bosco di Ficuzza e mi sistemo sotto un albero riparato dal vento e da suoni che possono disturbarmi durante il sonno.

La cena la accompagno con un pezzo di pane che Mubin ha preparato l’altro ieri, e che mi ha donato prima della mia partenza.

Giorno 13

C’è già sufficiente luce per cominciare, ma vorrei riposare ancora. Gli uccelli già stanno canticchiando, mi giro un po’ e decido di alzarmi, non fa freddo. Probabilmente rispetto alla Sardegna c’è qualche grado in più. Guardo le mani e si sono ulteriormente abbronzate. Un calzino non è asciutto e capisco che c’è un po’ di umidità. Il sacco a pelo è asciutto. Ho della cioccolata con me che pensavo di consumare a Cagliari per riprendere un po’ di peso. Ne mangio un po’ per finirla il prima possibile ed evitare che si sciolga nello zaino. Non metto i pantaloni e per un po’ le gambe restano fredde. Appena fatto lo zaino parto controllando di aver preso tutto.

Il primo tratto è ancora nel bosco ed in alcuni punti la vegetazione mi costringe a proseguire rannicchiato. Ogni tanto sposto qualche ramo per riuscire a passare, comunque è abbastanza agevole. Verso la fine si chiude un po’ di più, ancora qualche metro ed il primo km è andato, ora proseguo su una strada di campagna.

L’anno scorso l’avevo percorsa tutta, ma la traccia CAI prende una direzione diversa e grazie alla mappa di Ficuzza so di dover seguire la traccia. Diventa una strada meno agevole, percorribile ancora in macchina, due alberi caduti e mi devo rannicchiare,  poi un prato umido. È strano questo prato perché c’è solo erba e qualche margherita, non ci sono cardi, finocchi o altro. In lontananza vedo un cartello, anche se non proprio sulla traccia lo raggiungo per vedere cosa ci sia scritto. Nessuna indicazione per me.

Esco dal prato e torno nel bosco, una traccia unica mi conduce: diverse tracce di passaggio di moto rendono evidente la direzione. La seguo e senza rendermene conto taglio di qualche centinaio di metri accorciando quello che è il percorso. Ora salto su una comoda carrareccia e mi dirigo a Godrano. Poco dopo svolto per inserirmi in un prato, qui si che ci sono cardi ed altri arbusti rompiscatole. A terra un segno più o meno evidente da seguire: impronte di bovini mi fanno pensare che siano loro a percorrere questo tratto per spostarsi. Ecco un piccolo piccolo ruscello: dei sassi favoriscono il passaggio, poi eccone un altro dove non ci sono sassi su cui poggiare i piedi ed evitare di bagnarsi. Mi aiuto con i bastoncini ma un piede si bagna. Non dovrebbe essere un problema, si asciugherà durante la mattinata.

Passo il cimitero di Godrano, ma non il paese, a favore di una strada sterrata che restando più bassa circonda il paese. Nelle vallate adiacenti spiccano le ginestre con i loro fiori gialli. Sono le 10 ed il sole non è ancora caldo. Qualche nuvola lo copre. Qualche sbiadito segnavia e qualche vecchio cartello mi dice che sono sulla giusta strada.

Non so se è per la Domenica o per la Pasqua, ma le strade sono tranquille, non c’è grosso movimento ed è tutto piuttosto silenzioso.

Arrivo a Cefalà Diana ed in piazza c’è un po’ di colore: anziani fuori dal bar che controllano la piazza. Naturalmente mi notano e borbottano qualcosa di incomprensibile nella loro lingua. Mi procuro acqua e proseguo, raggiungo il castello su una altura e scendo a Villafrati.

Passo anche questo paese velocemente, non mi fermo nemmeno per l’acqua. Ne ho fatto scorta a sufficienza prima.

In paese comincia a piovigginare, appena esco piove appena appena. Sono vicino ad una tettoia, mi fermo a coprire lo zaino e visto che sembra pioverà fino le 14 e sono le 11.30 mi fermo per il pranzo. C’è qualche ortica di troppo qui sotto e vengo punto alle gambe. Purtroppo sbadatamente una parte dei fagioli che mi spetterebbe per il pranzo la rovescio a terra. Recupero quelli che stanno sopra, intanto piove più forte.

Mi vesto ed esco dal riparo proprio quando smette di piovere. C’è un bel venticello, ma la salita mi permette di scaldarmi e così decido di togliere la giacca. È ritornata una bella giornata. Sono diretto a Ciminna. L’anno scorso ho avuto qualche difficoltà nel punto di incontro con una statale e quest’anno cerco di riparare. C’è una mappa, ma non è di grandissimo aiuto. Non essendoci segnavia o cartelli sbaglio l’attacco verso i monti a ovest di Ciminna, proseguo su asfalto e poi per recuperare il sentiero scavalco una recinzione, seguo la strada fino alla fine, ci sono delle stalle e poi una casa. Finisce la proprietà privata ed un appena visibile sentiero prosegue a sud. Lo seguo fino a quando si perde nella vegetazione.

Noto che le rocce sono fatte di cristalli di quarzo. Sembrano incollati tra di loro a casaccio. Mi devo fare largo tra salti rocciosi e qualche pianta per salire alla Stretta di Carcaci. Altro quarzo in cristalli anche più grandi… Una volta su, non vedo nessun segnale e nemmeno una traccia evidente… e così improvviso. Seguo in direzione Sud e mi accorgo che si è alzato il vento. Dietro di me, verso Nord-Ovest dei tuoni mi fanno girare. Il cielo è grigio e si muove velocemente verso di me.

Faccio più in fretta che posso per scendere da questo tratto esposto, 500m più in là vedo il sentiero che ora dirige dritto verso Ciminna, ma si tratta di fare circa 3km.
Non fa freddo, tuttavia i tuoni si fanno sentire, meglio muoversi. Una tabellone con una mappa mi offre un po’ di riparo. Mi vesto e comincia a piovere. Riprendo la strada, che è una strada di campagna. Piove sempre di più ed intanto i fulmini continuano e sono più vicini. Il temporale è sopra di me. Dei ruscelli si formano sulla strada, le scarpe cominciano a bagnarsi e poco dopo anche i piedi. Intanto la pioggia è accompagnata da qualche chicco di grandine. Sotto le scarpe sì forma il tacco, uno strato di fango che diminuisce l’aderenza ed appesantisce il piede. La pendenza è lieve e non ho problemi. Mentre scendo ho la sensazione di avere le ginocchia bagnate. Piove da meno di 15 minuti e sono già bagnato, devo cambiare pantaloni. La stessa sensazione di bagnato ed umido la percepisco al fianco sinistro sotto l’ascella, ma il giubbotto è nuovo. Dovrò risolvere anche questo.

Sono sulla strada principale ed ha ormai finito di piovere. Controllo la maglietta ed è effettivamente bagnata sul fianco sinistro. Anche se Ciminna è posto tappa, non mi fermo, le nuvole sembrano andarsene e continuo con il camminare.

Incontro un uomo che mi dice qualcosa di cui capisco solo “con questo tempo” e poi continua con qualcos’altro.. Rispondo di sì.. E borbotta ancora qualcosa di incomprensibile. Rispondo “È solo acqua”, fa spallucce e mi lascia proseguire.

Cerco di pulire le scarpe in questo tratto asfaltato, ma il fango non ne vuole sapere. Lascio la strada grande per una più piccola, mi permette di accorciare e seguire la traccia del CAI. Ora è uscito il sole e mi devo togliere la giacca ed i pantaloni, proprio quando l’ho fatto, delle gocce fredde mi colpiscono, guardo in alto e ci sono solo nuvole bianche. Vabbè penso, durerà poco. Proseguendo mi trovo proprio in mezzo ai campi e grazie ad un campo di frumento le mie scarpe sì bagnano per la pioggia non ancora asciugata, ma riesco a togliere finalmente il fango di prima. Ho poco da festeggiare… subito incontro una zona fangosa e sono punto e a capo.

A fondo valle devo attraversare una zona paludosa dove finisco nell’acqua fino alle caviglie, mi scoccia, ma ormai sono bagnato. Finalmente un tratto asciutto, e poi… di nuovo un fiume da guadare.

L’acqua arriva a mezza coscia, faccio in fretta anche se non è fredda. Dopo questa bella pulizia, naturalmente del fango. Mi pulisco battendo le scarpe a terra ma si forma di nuovo il tacco. Incontro l’asfalto, una bella salita fino alla località Sambuchi. Pulisco le scarpe, strizzo i calzini e le solette. Esce un bel sole caldo, ed in questo tratto riesco pure a sudare. Ho finito l’acqua ed in cima la fontana non ne ha.

A poco e servito pulire le scarpe perché ora ritorno in una strada di campagna. Inizialmente la terra è dura, ma poi incontro zone più umide nelle quali posso poco per difendermi dal fango. Nel primo tratto fatico a proseguire per il terreno dissestato e per la vegetazione che copre la vista del terreno. Quest’anno almeno ci sono pochi cardi a punzecchiarmi. Circa 500m dopo qualcuno con un cingolato ha sistemato questa strada che ora è percorribile facilmente. Da lontano sento in direzione di una casa della musica e qualcuno che canta “vagabondo che son io, soldi in tasca non ne ho…”. Giustamente è Pasqua e qualcuno si sta divertendo.

Piacerebbe anche a me fermarmi e festeggiare, ma meglio non perdere troppo tempo, almeno ora che è l’inizio per non rischiare di fare tardi per quando sarò sulle Alpi. Seguo la strada, finisce lo sterrato ma è difficile liberarsi dal fango. Pian piano dei pezzetti si staccano ed il piede torna più leggero. Mi devo infilare la felpa, il sole si è coperto e si è alzato un po’ il vento.  Un altro guado. Pochissimi sassi e a grande distanza. Mi munisco dei bastoncini e grazie a quelli riesco ad avere due punti di appoggio in più così riesco a fare dei passi più lunghi. Guado bagnandomi solo la punta del piede destro.

Di fronte a me un campo con degli alberi con delle arance appese.. Nessuna recinzione, e l’albero ne ha davvero tante. Le stacco ed il profumo inconfondibile di arance raggiunge le mie narici. Ne prendo un po’ da mettere nello zaino ed altre da mangiare subito.

Quando le sbuccio sembrano mandarini ed in bocca è un misto dolce amaro tra pompelmo ed arancia. Sarà mapo?

Arrivo alla stazione di Montemaggiore Belsito, ora ancora strada asfaltata. La temperatura è leggermente più bassa. I piedi, a ridosso dei 50km, cominciano a fare male, specialmente ora che sono su asfalto e riesco a percepire meglio il loro stato.

Poco dopo prendo una stradina che mi permette di tagliare, non è proprio ben messa e delle spine mi entrano nella scarpa. Mi fermo subito per risolvere. Sono incastrate nella punta ed è difficile toglierle. Intanto incontro la prima zecca, sta pascolando sulla mia gamba, la libero in natura e controllo di non averne altre. Sembro pulito. Ora sto più attento a dove metto i piedi. Quando ritorno sul tratto asfaltato, giro a destra per prendere una strada dissestata. È facile per un chilometro, poi entra in una proprietà privata e comincia a salire velocemente. Le scarpe si puliscono in fretta dopo aver lasciato il terriccio di questo tratto. La strada mia salire fino alla cresta dove c’è del vento che muove velocemente le nuvole. Mi tengo in movimento per evitare di prendere freddo. Da qui il panorama sarebbe stupendo credo, ma le nuvole compromettono la vista.

Dietro alcuni monti ad Ovest il sole sta tramontando e colora qualche nuvola di rosso. Verso Montemaggiore Belsito una nuvola copre il paese, l’umidità si sta depositando…

Scendo veloce al paese, qui il terriccio è asciutto. Raggiungo l’asfalto e vado dritto alla piazza. Mi fermo ad una fontanella per l’acqua e continuo a salire. Nella piazza incontro dei ragazzi esuberanti sui 16-18 anni, voglio sapere cosa faccio, perché, dove sto andando ecc ecc.. Mi  consigliano un posto dove passare la notte. Sembra essere proprio lungo il sentiero. Quando arrivo al posto, mi trovo la stazione della polizia. Mmm.. Non so se è uno scherzo oppure ha sbagliato a darmi le indicazioni. Proseguo cercando un riparo, è buio ormai, ma una casa me lo offre grazie ad una tettoia sul retro. Tolgo le scarpe e due vesciche sul tallone mi salutano. Spero tanto non mi diano problemi domani.

Giorno 14

Un leggero venticello fuori dal sacco a pelo mi sta per accogliere. Non ho molta voglia di uscire.

Fa abbastanza freddo, mi infilo anche i pantaloni lunghi. Metto dei calzini nuovo ed asciutti, quelli di ieri sono ancora umidi e poi si sono deformati e sembrano di 2 o 3 taglie più grandi. Ritorno sulla strada e comincio a salire. Le gambe fanno molta fatica ad ingranare, anche il fiato ha qualcosa che non va. Sembro in affanno eppure sono solo i primi passi. I primi raggi di sole mi offrono il tepore che cercavo, ma presto ritorno all’ombra. La rugiada copre l’erba ed i calzini asciutti cominciano ad inumidirsi.

È bello vedere il sole che ardente colpisce questi prati ed i fiori.

Noto qualche albero da sughero, mi riporta alla mente alcune zone della Gallura. Supero diverse recinzioni fatte con filo spinato. I piedi si stanno bagnando ancora. L’umidità che si è depositata durante la notte non se ne è ancora andata. Sulla cima del colle non vedo ancora Scillato, seguo per un lungo tratto una strada più o meno definita che anche quando diventa asfaltata è parecchio tortuousa e non presenta grandi pendenze, perciò sono costretto ad una grande distanza senza avere un guadagno decente in termini di dislivello. A fianco tutti pascoli recintati. Un cane di fronte ad una fattoria mi guarda senza dire nulla. Troppo intento a sonnecchiare. Incontro la strada principale, la attraverso e sono di nuovo su sterrato. C’è un bel cancello aperto e 100 metri più avanti trovo quella che sembra una villa in stato di semi abbandono. La strada qua è meno curata e ci sono fiori altissimi che creano un corridoio naturale in cui io devo passare in mezzo.

La traccia del CAI volta a destra dentro un campo, non c’è una strada. Seguo fiducioso. Alla fine del campo la incontro, finisce in un torrente, lo guado saltando tra un sasso e l’altro e dall’altra parte ecco un’altra strada: è ben individuabile. Proseguendo migliora fino a quando la pendenza aumenta e la strada è piena di buche. Incontro due in trattore che stanno portando con una cisterna dell’acqua alle mucche. Anche a pasquetta si lavora. Più su, profumo di legna, di legna bruciata. Da una casetta esce del fumo grigio. Di fronte al cancello due anzianotti con due sacchetti della spesa a testa belli colmi si stanno dirigendo verso il luogo del loro pranzo. Più su tre ragazzini con un cane ed un adulto stanno scendendo e probabilmente raggiungeranno gli altri. Io intanto sono sudato, loro in pantaloni lunghi e felpa, io con le mie gocce di sudore in canotta e pantaloncini. Non sono meno gioioso di loro.

Alla sommità di quest’altra altura finalmente vedo Scillato. Lì mi aspetta Francesco, un ragazzo che vuole percorrere parte del Sentiero Italia con un mulo per raccontare le tradizioni ed il vivere dei piccoli borghi.

Comincio a scendere su un bel tratto percorribile in macchina fino ad bivio dove le cose un po’ si complicano. Altro bivio e la strada è semi-dimenticata e qualche spina me la becco.

A valle costeggio l’autostrada e grazie ad un sottopassaggio la attraverso. Ora salgo al paese.

Mi fermo in piazza a rifornirmi di acqua. Degli amici di Francesco mi riconoscono, si offrono di accompagnarmi a casa sua, dove il sentiero dovrebbe passare, però resto in piazza a capire meglio quale sia il reale proseguimento. Intanto sono arrivati due della forestale che cercano di darmi qualche indicazione. Ma non riusciamo a saltarne fuori facilmente. Senza mappa con i sentieri é difficile. Alla fine seguo una guida trovata in internet che mi porta proprio a casa di Francesco anche se allunga di due km rispetto la traccia del CAI ed il percorso più sensato.

Arrivato a casa di Francesco incontro gli altri e pure lui che avendo fatto tardi era rimasto a dormire invece di andare a comprare il pane con gli altri.

Si offrono di aiutarmi, ma davvero ho tutto con me. Mi fermo a parlare ed approfitto di due arance che mangio subito, ancora calde: appena staccate dall’albero. Il cedro lo metto nello zaino per dopo. Spiego quali possono essere degli inconvenienti che incontreranno lungo il Sentiero ed ascoltano attenti. Mi vedono mangiare e mi fanno domande sulla alimentazione… A mio parere il loro viaggio è davvero ambizioso e si troveranno a scontrarsi tra di loro sul da fare, finendo per ridimensionare un sacco di cose. Dopo un po’ di chiacchiere saluto e riparto.

Eravamo seduti all’ombra e quando sono ritornato sotto il sole è stato un grande sollievo. Tre chilometri di asfalto in leggera salita per sgranchire le gambe non sono male. Così lascio la strada per l’inizio del sentiero che mi porterà a salire sulle Madonie, neanche troppo accaldato. Da 500m sul livello del mare arriverò a 1400m in un solo breve tratto. Mi hanno avvisato che troverò un sacco di spine e ginestre e dovrò cavarmela così. Il primo tratto ha una pendenza moderata e comincio a sudare. Trovo un teschio e la colonna vertebrale di un daino incastrato su di una rete. Il palco con le sue forme si è impigliato ed il povero animale è rimasto così fino a quando non è sopraggiunta la morte. Non voglio nemmeno immaginare la sensazione di impotenza e di sconforto. La sete, la fame e lo sconforto.

Distolgo la mente da questi pensieri e mi trovo su un sentiero più facile dell’anno scorso, anche qui la vegetazione non è riuscita a crescere molto. Agile, sgattaiolo tra rocce e piante. Sono sudato, le gocce bagnano la fronte e la maglietta. Entro nel bosco ed una sensazione di refrigerio pervade tutto il corpo. È una zona decisamente detritica che mi mette in difficoltà. Non si capisce che linea seguire anche se qualche suggerimento c’è.

Tra gli alberi un daino scappa e resta vicino da poterne riconoscere le gambe. Ho l’impressione mi guardi. Spero di vederlo più distintamente, ma poi se ne va. Arrivo in cima, o meglio sulla strada che percorrere più o meno la cresta. Non mi sento affatto sfinito. Sono molto soddisfatto, entusiasta di questa cosa. L’anno scorso non ne potevo più. La temperatura è gradevole ora che sono accaldato. Sto poco a ristabilire la temperatura e mi accorgo del venticello fresco specialmente all’ombra.

Due ragazzi mi vengono contro, stanno facendo una passeggiata. Mi fermano e mi chiedono informazioni, cerco di aiutarli e poi continuano nella direzione. Con mia grande sorpresa sulla strada è presente un piccolo accumulo di neve. Sono a 1500m circa. La mente va subito al Etna. Deve essercene ancora un sacco li, chissà se riuscirò a salirlo. Proseguo seguendo la strada principale che mi porta tra boschi e piccole radure dove ogni tanto incontro ancora neve. Si sta sciogliendo e sta formando grandi pozze sulla strada che devo puntualmente evitare. Il ritmo è alto, ma le temperature troppo basse mi costringono ad indossare la felpa.

Il tempo sembra fermo in autunno, pochissimi alberi hanno germogli ed è tutto abbastanza grigio e marrone. Proseguo senza problemi fino a Portella Colla, seguo il sentiero, trovo una fontana e mi fermo per riposare e rifornirmi di acqua. So che a breve incontrerò un rifugio del CAI dove chiederò delucidazioni per un tratto in cui ho qualche dubbio. Questo breve tratto mi ricorda le dolomiti, roccia calcarea che si sfalda. In poco tempo sono al rifugio. Ci sono i termosifoni accesi. Devo aprire la felpa perché è bello caldo qui dentro. Chiedo una mappa e gentili me la porgono. Spiego chi sono e cosa sto facendo. Chiarisco i miei dubbi, mi riempiono la borraccia e sono pronto a ripartire. Vorrei arrivare a Petralia Sottana per evitare di passare una notte fresca e ventilata quassù, ma sono circa 20km. Sono da poco passate le 18, sicuramente arriverò con il buio.

Per iniziare lascio perdere un tratto di sentiero che l’anno scorso mi ha tenuto impegnato un sacco di tempo per la difficoltà nell’individuarlo per poi dover seguire delle tracce di animali selvatici che poca paura hanno dei rovi in cui sono incappato.
Perciò mi faccio volentieri i 4 chilometri di asfalto in leggera discesa. Esce del fumo dalla bocca e comincio a raffreddarmi aspetto per vestirmi perché tra poco comincerà una salita. La nebbia mi avvolge e poi se ne va. Con gambe e mani infreddolite dopo 4km comincio finalmente a salire ed a rompere il ritmo monotono del asfalto.

Seguo fedelmente il sentiero senza sentire il peso dei 40km già percorsi. Mi scaldo quasi subito. Riesco a vedere che sotto di me c’è un mare di nuvole e sopra mi accorgo che il sole sta tramontando per il colore rosso delle cime. Devo raggiungere il santuario di Madonna dell’Alto e poi potrò scendere verso il paese.

Ora il bosco lo lascio alle spalle, e per evitare vento freddo mi metto pure i pantaloni. Ora sto seguendo una strada bianca, a tratti facile a tratti piena di sassi. Ogni tanto dei faggi mi coprono e visto che comincio ad essere stanco e soprattutto sta diventando buio, potrei fermarmi proprio sotto uno di loro. Accendo la torcia per proseguire più rapidamente. Mi pareva ci fosse un riparo prima del santuario ma non ho trovato nulla. Solo una fontana nel punto più alto.

Un altra faggeta, mi fermo qui per questa notte. Nonostante la quota che potrebbe portarmi ad avere freddo, dovrei essere riparato. Da qui in giù ricordo un tratto non troppo carino e non ho voglia di percorrerlo proprio ora al buio.

Giorno 15

Sono stato costretto a mettere anche la giacca di notte per evitare il freddo, ma comunque non è di grandissimo aiuto.

Quando mi sveglio perché ormai c’è luce,  faccio in fretta a preparare tutto per cominciare a muovermi e riscaldarmi. Tengo i biscotti a portata di mano, prendo la carta igienica e parto. Scendo per 5 minuti e trovo al sole. Mi fermo, sotto c’è il mare di nuvole e da lontano vedo la prima volta l’Etna. Mi godo il momento nonostante le temperature piuttosto basse. Faccio in tempo a finire tutti i biscotti. Il sole ogni tanto da qualche vampata di calore. Comincio a scendere, e mi accorgo che più scendo e più umidità è presente a terra. Penso di aver fatto bene a fermarmi lassù al freddo. Mi sono risparmiato la seccatura di dover asciugare il sacco a pelo. Il sole si alza ed il mare di nuvole comincia a diradarsi. I piedi sono bagnati ed il sentiero è pieno di sassi, almeno nel primo tratto.

Nei pressi di un capezzale, il sentiero diventa una strada e così fino a Petralia Sottana. Mi dirigo subito al alimentari, che in realtà è una specie di supermercato non molto invitante. È ben fornito ma poco luminoso. Prendo quello che mi serve ed una piccola porzione di caponata da mangiare subito. Passo il paese e non incontro nessun posto che mi piacesse per una piccola sosta.

Imbocco il tratto che porta a Geraci Siculo, è abbastanza comodo ed ogni tanto presenta qualche segnavia. C’è qualche fontana lungo la tratta che solitamente viene utilizzata per i pascoli. Verso il tratto finale non è molto chiaro, ma raggiungo Geraci uno dei borghi più belli d’Italia. Purtroppo ora per tre chilometri non c’è sentiero, ma una statale.
Mentre la percorro si alza il vento ed fa molto freddo, metto la felpa e più avanti anche pantaloni. Alla Portella dei Bifolchi lascio la strada, è mezzogiorno passato e la pancia brontola.

Il sentiero è un segno di terra su un prato. Ho come l’impressione che non finirà molto bene. Il vento continua a dare fastidio perciò per mangiare mi fermo tra degli arbusti per avere un po’ di protezione. Mangio anche la caponata, che mi resta sullo stomaco perché quando lascio questo tratto segue una lunga discesa in cui lo stomaco sobbalza continuamente. Anche oggi non so bene come vestirmi per il variare continuo del vento e delle temperature. A fondo valle mi fermo per riposare e controllare il percorso. Di lì a poco lascio la strada comoda per un tratturo in campagna con erba alta e quindi poco visibile. Seguo la principale, ma devo ritornare indietro per dei segni quasi invisibili. Passo vicino ad una casa, una buona strada poi di nuovo campi. Da poco ci è passato un trattore e le piante impicciano di meno. Salgo su fino al crinale. Di fronte a me un parco eolico e sul fianco distinguo l’Etna: presenta ancora neve.

Non ho attrezzatura con me per la neve, dovrò informarmi sulla situazione. Seguo la strada asfaltata ed a tratti di sassi per tutta la lunghezza del crinale di questa zona eolica. Ho finito l’acqua ed attento ne cerco in giro. Nulla per 10 chilometri, continuo a cercare. Entro nel Parco di Sambughetti, ora non sono più al sole, all’ombra degli alberi e la temperatura cambia. Mi fermo per mangiare gli ultimi due mapo e mi infilo la felpa.

Sono parecchio stanco, comincio ad avere un dolore al ginocchio. Mi accorgo di essere gobbo, la schiena non riesco a tenerla più dritta. Non ho fatto molto dislivello, ma i 40 chilometri sono già passati. Cerco acqua ed un potenziale riparo. I dolori non cessano, martellano la testa dicendo di fermarmi. Ho ancora 2 ore di luce, non posso fermarmi ora.

C’è un sacco di acqua che scende dal fianco della montagna, ma non so se fidarmi, non ho ancora così tanta sete. Avanzano trovo un rubinetto, direi che questa è decisamente potabile. Ne bevo subito una bella sorsata e poi riempio la borraccia, così per la notte sarò a posto. Mi accorgo di sentire freddo, più di prima, ma questa volta viene da dentro. L’acqua che ho bevuto sta rinfrescando lo stomaco e mi procura dei brividi. Poco prima della fine del parco trovo un cinghiale o maiale selvatico con 4 piccoli.

Riesco a fare un video da molto vicino, essendo da solo e quindi molto silenzioso, ed avendo il vento a favore riesco ad arrivare a circa 15 metri. Un piccolo si accorge di me ed allarma gli altri che scappano a nascondersi. Questo mi da un po’ di energia per continuare, ma dura poco. Un piccolo tratto al sole e poi in ombra. Mi fermo per mettermi la giacca ed i pantaloni. Infilo pure i guanti ma sembra non bastare nemmeno questi. Una piccola salita fa ripartire la circolazione e sento un gran bruciore alle mani. Il sole ormai è molto basso, mezz’ora e tramonterà. Il vento in compenso si è calmato.

Ricevo i numeri di riferimento per le informazioni riguardo l’Etna, non ho per niente voglia di chiamare, ma faccio squillare il telefono. Per le recenti eruzioni non si può salire, e da quanto mi dicono non mi convince nemmeno la condizione della neve. Sto arrancando per continuare fino a quando ci sarà sole. Intanto cerco un riparo idoneo per la notte. La salita continua fino al crinale e da qui riesco a vedere di nuovo l’Etna: è di colore rosso. La neve sta prendendo i colori del tramonto. Ne vedo parecchia a nord e man mano molto meno a sud. Mi fermo un attimo per gustarmi il paesaggio.

Scendo di nuovo, trovo una costruzione. È una fattoria. Riesco ad entrare. Le stalle sono aperte, ma piene di letame. Guardo se c’è qualcosa di meglio. Una rimessa, aperta. O meglio, uno dei 4 battenti è a terra. Non è molto pulito a terra, sembra sabbia molto fine, ma va molto bene, mi metto più o meno al centro della stanza, lontano dalla porta per evitare folate di vento e non troppo vicino al fieno che sta sul fondo. Ho come l’impressione ci siano un po’ di animaletti li al calduccio. Ogni tanto qualche brivido di freddo mi colpisce mentre sto cenando, dall’apertura entra il vento.

Mi sistemo e passo la notte tranquillo.

Giorno 16

Il vento per la notte si è calmato, o comunque non mi ha dato fastidio, invece ora che devo riprendere a camminare sembra si stia alzando. Gli uccellini cantano e c’è sufficiente luce per muoversi. Sono ancora nel sacco a pelo. Le gambe fanno ancora male. Strano.

Disfo il campo e mi incammino, la differenza di temperatura tra dentro e fuori si fa sentire. Comunque comincio in salita così mi scaldo un pochetto. Seguo la traccia del CAI e dopo due chilometri finisco tra rovi. Ho la giacca addosso per fronteggiare le basse temperature ed il vento, ma rovinarla con i rovi mi pare proprio non sia il caso. Faccio più attenzione possibile, ma questi sbucano dappertutto. Mi accorgo che a fianco, dietro una “siepe” di ginestre c’è un campo quasi sgombro. Riesco ad attraversare la divisione e mi libero dalle spine. Allungo un po’, ma è molto più scorrevole.

Mi ricollego ed il sentiero stretto è diventato una stradina. Un guado e ricomincio a salire, via la giacca. Manca ancora un chilometro e mezzo al paese e la stradina non credo resista fino alla fine, ma mi devo ricredere. In paese il vento ricomincia a dare fastidio. Arrivo all’alimentari che fortunatamente chiude il mercoledì, ma solo il pomeriggio. Prendo solo un barattolo di fagioli. Il resto è già con me. Chiedo informazioni per una mappa perché ho visto che la traccia del CAI si discosta da quanto ho fatto l’anno scorso.

Mi mandano in comune e dal comune mi mandano al parco. La cosa assurda è che sono già nel parco. Cosa posso fare? Riprendo a camminare. Passa poco e mi metto la giacca. Seguo il percorso, una fontana dove riempio la borraccia perché per un bel pezzo niente acqua. 4km di asfalto così così ed arrivo al punto in cui le due tracce si discostano, seguo il CAI perché io avevo trovato problemi. Poco cambia, anche qui non è bene: zig zag tra le piante, ma almeno incontro dei maiali selvatici, e ci vado davvero vicino, poi scappano goffamente. Mi sembra di vedere una strada, dovrebbe esserlo, ma la traccia va da un altra parte. Non mi interessa, questa strada sembra più facile da percorrere.

Infatti è così. Inizialmente presenta qualche inconveniente, ma poi si sistema. Raggiungo la dorsale dei Nebrodi, c’è qualche segnavia. La strada è parecchio noiosa. Non si vede altro che bosco per una dozzina di chilometri. Quando esce per poco dal bosco è tutto coperto dalle nuvole. Comincio ad avere freddo. Mi fermo per mangiare in un posto che mi pareva riparato dal vento, ma è difficile trovarne uno davvero efficace qui.

La monotonia fa risaltare i dolori alle gambe. Un sacco di fiori ricoprono i prati sotto gli alberi. Riparto e il ritmo è alto, ma nonostante abbia guanti e copri-guanti addosso, la temperatura è tanto bassa da non permettermi di riscaldarmi. Scendendo al lago Maulazzo incontro due ragazzi che stanno facendo una passeggiata, hanno due zaini abbastanza grandi, chissà cosa ci tengono dentro. Arrivo alle loro spalle e non si accorgono di me, e quando gli affianco la ragazza si spaventa. Saluto, mi scuso e li supero.

Loro si stanno facendo una bella passeggiata, io… Io boh. Chissà dove finirò.

Passano i chilometri ed il vento non si placa. Combatto costantemente contro il freddo. Sono partito con l’idea di trovare caldo ed infatti l’attrezzatura che ho con me non è sufficiente. Il mio corpo si stava abituando a sole e caldo, questi venti dal nord non ci volevano.

Il ritmo cala, un po’ tutto concorre a rendere difficile il proseguimento. Decido di fermarmi per mangiare un po’ di Nesquik, ma riparto subito proprio per il freddo. Una piccola salitina mi aiuta a scaldare le ossa, ma dura poco questo tepore. I dislivelli sia in salita che discesa hanno pendenze molto basse e così non riesco riprendere una temperatura adeguata. In questa zona c’è molta acqua, e per non bagnare i piedi salto di qua e di là lungo la strada. Non so bene come mai il piede destro si bagna in punta. Poi tocca al sinistro qualche chilometro più avanti. Non mi preoccupano i piedi bagnati, quelli non sono freddi.

I faggio qui hanno già il fogliame, è di un verde molto brillante. E sotto, a terra, gialle, le primule. Piccole macchie di fiori sotto questi faggi,  forse anche qualche acero. Le zone umide aumentano e la strada diventa difficile da percorrere perché con i 4×4 vengono a divertirsi creando dei buchi profondi dove si accumula l’acqua ed attorno c’è solo fango. Decido che qualsiasi riparo trovo dalle 18.30 in poi sarà il luogo in cui passerò la notte. Intanto sulle foglie degli alberi si è accumulata troppa umidità e sembra stia piovendo.

Il Nesquik sembra stia facendo effetto, un po’ di grinta sulle gambe e un po’ di calore alle mani. Dei cartelli con riportato l’indicazione SI mi fanno spostare dal crinale. L’anno scorso avevo proseguito dritto. Così facendo allungo, ma devo seguire i cartelli.

La strada migliora, nel senso che ci sono meno zone in cui i 4×4 si sono divertiti. Sembra un giardino più che un bosco. Alberi si, ma anche tanto prato. Intravedo un lago tra gli alberi e poco dopo una casetta. Sgrano gli occhi. Proprio una casetta con un area picnic. Una piccola tettoia con due o tre fuochi, una fontana che solo a vederla mi fa ancora più freddo.

Mi concentro sulla casetta: le porte principali sono chiuse, ci giro attorno, le finestre sono sbarrate… ma aspetta, mancano due sbarre. Spingo e una portello si apre. Una feritoia di 60x35cm per passare ed entrare. Un lusso. Tolgo lo zaino, lo faccio passare e lo metto dentro. Ora tocca a me. Faccio un piccolo salto e mi aggrappo alla parte alta delle sbarre e nel contempo con i piedi raggiungo il balcone. Prima le gambe poi il resto. È il bagno, è piccolo.
Provo a vedere se si apre la porta. Si apre. Sento già una temperatura più gradevole. Ci sono altre due stanze con poche cose dentro. Due tavoli, uno per mangiare con delle panchine e due bottiglie di vino a metà. L’altro in cucina con due fuochi spezie e vecchie conserve ammuffite.

Guardo bene da buon curiosone e trovo delle pesche dimenticate. Hanno una peluria bianca di muffa che non mi fa per niente gola. Mi metto nella stanza di là, dove c’è pure in caminetto. Potrei accendere un fuoco ma c’è poca legna ed ancora meno è  la voglia di uscire per recuperarne altra. Durerebbe troppo poco per scaldarmi senza un valido guadagno in temperatura della stanza, insomma un lavoro inutile.

Mi metto comodo sulla panchina, mi sento un signore a non mangiare a terra. Ancora molta luce fuori nonostante stia tramontando e sia tutto coperto. Qui dentro mi metto il cuore in pace, mi è andata bene. Ceno con calma, ho finito mezz’ora prima del solito. Quando comincio a raffreddarmi mi sistemo nel letto, questa volta per terra.

Fuori dalla finestra vedo una stella o forse un pianeta. Dovrebbe essere Marte. Questo significa che le nuvole se ne sono andate. Il vento soffia ancora e prendo presto sonno. Mi sveglio quasi subito e fuori non c’è nemmeno una stella. Mi sistemo meglio sul materassino e riprendo a dormire.

Giorno 17

Il vento imperversa sulle piante ed il fruscio entra dalla finestra chiusa. Sembra ci sia abbastanza luce per cominciare la giornata. Ancora 5 minuti. Pochissimo dopo battono alla finestra.

Oh no, mi hanno scoperto. Resto fermo.

Battono ancora. Poi il gracchio di una gazza ladra mi fa capire che si sta specchiando sul vetro convinta sia un altro uccello. Non sono in una posizione comoda così trovo la forza di uscire con la testa dal sacco o a pelo. Non è caldo li fuori, ma nemmeno troppo freddo. Infilo la giacca ed i pantaloni lunghi. Quelli impermeabili li lascio li, nel dubbio o nella speranza non faccia troppo freddo. Ho quasi finito la colazione e devo ancora uscire.

Provo ad uscire. La differenza di 5-8 gradi si fa sentire.. Appena esco dallo stabile il vento cerca di farmi pentire di essere partito. Comincio con una piccola salita.
Vado molto veloce, non ho dolori e cerco di scaldarmi. Dopo un chilometro e mezzo finisce la salitina, lo zaino è vuoto e quindi faccio meno fatica riuscendo a sentire solo un leggero tepore.

Il vento entra da sotto i pantaloni e mi infreddolisce le caviglie. Da qui in poi è praticamente solo discesa. Leggera discesa. Mi trovo a 1400m, dopo altri tre chilometri comincio a sentire qualcosa di più di un leggero tepore, intanto sono sceso sotto la quota nuvole e comincio a vedere il paesaggio. È quasi tutto spoglio, niente dove ripararsi. A nord il mare e le isole Eolie.

Non vedo l’ora di arrivare a Floresta e riscaldarmi. Mi raffreddo di nuovo ma non mi fermo. Cerco di andare il più forte possibile anche se non è sufficiente. Incontro una salita, ripristino il tepore e si torna a scendere. Arrivo alla strada principale per Floresta, tre chilometri in piano, almeno il vento ha smesso.

Al paese entro nell’ “alimentari”, sperando di riscaldarmi, ma la porta è spalancata, tra l’altro non c’è nulla per me e così riprendo subito. Prossimo paese: Randazzo. 18 chilometri più a valle spero di trovare temperature più gradevoli. Il sole non si è ancora fatto vedere, ma sono riuscito a vedere in parte l’Etna. La cima è coperta dalle nuvole.

A Randazzo mi aspettano quelli del CAI di Messina per la ricarica delle batterie. Il vento scendendo sparisce, riesco a togliere la giacca ed i guanti. Esce il sole, ma qualche folata mi trattiene dal togliere anche la felpa, e faccio bene perché dopo questo bel tratto, le temperature a valle non sono molto alte. Cerco di fare più in fretta possibile per arrivare presto a Randazzo, devo fare la spesa prima che chiudano.

Incontro quelli del CAI proprio all’inizio del paese, prendiamo un caffè e discutiamo un po’ sui sentieri ed il Sentiero Italia. Mi accompagnano a fare la spesa, consegno la batteria e ci salutiamo perché per me è ancora lunga la strada. Lascio Randazzo dopo aver mangiato tutto infreddolito  e comincio subito a risalire. Qui ogni tanto la pendenza è abbastanza da farmi scaldare, ma il vento resta sempre fresco. Bevo abbondantemente all’ultimo rifornimento di acqua e riempio la bottiglia.  Tolgo i pantaloni per il caldo, ma non la felpa.

La cima è coperta, ma sotto riesco a vedere della neve e le colate. Mi piace tantissimo, ci sono davvero tanti colori contrastanti. Il bianco della neve, il nero, il rosso della lava, il verde delle piante assieme a del giallo mescolato al marrone. Quando raggiungo la strada in quota la pendenza diminuisce e rimetto i pantaloni. Il sole ora se ne va dietro le nuvole, il freddo torna a regnare. Marcio per qualche chilometro ed in un rifugio adibito a bivacco oltre che per curiosare entro per infilarmi il giubbotto ed i guanti. Ancora due orette di cammino ed arrivo a dove ho deciso di passare la notte.

Va meglio con la giacca, esce il sole per un po’ e mi lascio coccolare dal calore.  C’è della neve sulla strada, è molto compatta, sono costretto a passarci sopra. Aggiorno il meteo e mi dice che ci sono 2 gradi, ma non fa così freddo, saranno 5-7 non di più.  Mi guardo attorno ed è tutto bello. Mi piace davvero tanto.

La polvere di lava mi entra nelle scarpe, la sento nei piedi. Vedo del fumo da dietro ad una collinetta di lava, eccolo il mio rifugio. Ci deve essere qualcuno.

Ci trovo 3 ragazzi che hanno appena acceso il fuoco. Mi sistemo in un angolo, ma mi dicono quasi subito che non è il rifugio che pensavo che fosse. Manca circa mezz’ora al Rifugio Galvarina. Li saluto e proseguo. Questi 2 chilometri meglio farli ora che domani mattina. Il meteo dice farà più freddo domani. Brrrrrrr.

Dopo nemmeno 20 minuti eccomi al Rifugio. È chiuso, non c’è nessuno dentro. Apro la porta e l’impatto è interessante, c’è una bella temperatura. Alcune braci ancora accese fanno pensare alla recente presenza di qualcuno. Sistemo lo zaino ed esco per vedere se c’è della legna. Sul retro c’è ne molta, ma è tutta troppo grossa. Ne trovo di più fina sul fianco del rifugio, trovo anche due cipolle di tropea buttate la. Le recupero. Metto la legna nel camino. Comincio a cenare, di colpo il fuoco si accende. Devo allontanarmi per il troppo calore.

Dopo aver finito i fagioli metto le cipolle nel barattolo con dell’olio trovato qui. Appoggio tutto sulle braci e lascio cucinare, intanto mi guardo il bel tramonto dalla finestra del rifugio. Fuori fa freddo, ma qui dentro sto davvero molto bene. Il fuoco si spegne lentamente, mi gusto le cipolle e mi preparo a dormire.

È quasi buio quando entro nel sacco a pelo. I piedi sono pieni di sabbia, la tolgo con la mano senza prestare troppa cura e mi infilo nel caldo sacco a pelo. Le nuvole non se ne vanno e comincio ad avere sete.

Giorno 18

Il fuoco si è spento, ma la temperatura è sicuramente più gradevole rispetto a fuori. Cerco di preparare lo zaino in fretta. Fuori dalla finestra vedo che non ci sono nuvole. Una bella giornata di sole è proprio quello che ci vuole.

Mangio anche della cioccolata per avere subito a disposizione energia per riscaldarmi. L’uscita è traumatica. Un leggero venticello mi abbraccia, ma dietro una altura il sole sta cercando di sbucare. Camminando non fa proprio così freddo, ma non riesco ad abbassare il ritmo. Su alcune pietre si è depositata l’umidità e si sono formati dei cristalli di ghiaccio.

Capisco così che la temperatura esterna è sotto lo zero. Mi sento più che giustificato nell’avere freddo. Questo calo brusco di temperature mi ha fregato.

Il sole sbuca dal versante dell’Etna, fatica a riscaldare, ma è sempre meglio di niente. Poco dopo entro nel bosco, la strada è comoda e facile. Passo un rifugio forestale e l’orto botanico ed esco dal bosco, ora il riferimento è il Rifugio Sapienza, ormai diventato un albergo.

Ieri sera, una volta sistemato nel bivacco e calato il sole, mi hanno detto che avrei potuto passare la notte li senza spese. Non so se ne avrei approfittato avendolo saputo prima. Certo è che scoprirlo alle 20 non è il momento migliore. Incontro la strada asfaltata e so che manca poco al Rifugio. È da ieri che non sento il rumore delle macchine. Sotto il rifugio c’è la casetta delle guide alpine e del soccorso Alpino. Entro per curiosità, sono in 7 o forse 8 in una stanza 5×4, tutti in piedi ed hanno l’aria infreddolita. Chiedo quanto costa salire sulla cima. Partono subito con spiegazioni del fatto che non si può salire, che fino a 2500 si può, ma non oggi. Ripeto la domanda. Quanto costa salire sulla cima fino a 3335m? Chiedono al collega che ricomincia e ripeto ancora la domanda è finalmente mi dicono 85€. Faccio un salto al Rifugio per scrivere sul libro del rifugio del mio passaggio. L’ultima scritta risale a più di un mese e dieci giorni fa, in un normale rifugio così frequentato non accadrebbe.

Mi accorgo di aver passato la notte nel punto più alto fino adesso e forse anche la notte più fredda se non fosse per il riparo. Dopo un breve tratto di strada si devia a sinistra su una strada fatta con ciottoli di lava, a volte rovinata. Qualcuno c’è passato recentemente perché vedo delle impronte nella neve ancora rimasta dall’inverno. Comincio ad avere un po’ di sete e mi concedo 200ml circa dell’acqua che ho con me.

Salgo e ho l’impressione di scaldarmi. Vedo delle cose grigiastre cadere dal cielo, probabilmente della fuliggine che esce dal vulcano per l’eruzione in corso. Salgo su un lungo costone che scende praticamente fino a Zafferana Etnea, e da qui vedo la Valle del Bove, un’immensa distesa di lava creatasi nella eruzione del 1991-1993. Tutta la valle è nera, di un nero più brillante di quello che ho sotto i miei piedi. Seguo il sentiero non proprio di immediata individuazione, questa è una zona poco turistica ed i segnavia sono delle pezze o stracci di vestiti appesi a dei rami.

Fa freddo, ma mi sto decisamente scaldando per via del continuo saliscendi con buone pendenze, a dire il vero mi sto divertendo a scivolare sulla lava fina come sabbia anche se mi riempie le scarpe. In cima al Monte Zoccolano si ha un ottima vista sulla valle del Bove, sul mare e anche su Catania. E, se non sbaglio, si riesce a vedere pure Reggio Calabria. Capisco che la fuliggine non è altro che neve, ora mi è chiaro perché ha cominciato a nevicare, poco ma lo si nota bene. Che bello nevica! Ora però devo scendere di quota e si trasformerà in pioggia…

Comincio a scendere verso Zafferana e la neve si trasforma in piccole palline di grandine e in qualche goccia di pioggia. La discesa mi impegna in alcuni tratti perché è piuttosto ripida. Mi preoccupa un dolore al piede destro sopra l’alluce. Ho notato nella scarpa una cucitura che batte sulle ossa ed in discesa il piede spinto verso la punta batte proprio sulla cucitura. Le scarpe si stanno bagnando ma non mi preoccupo, i piedi stanno bene.

Arrivato giù incontro delle case ed una strada asfaltata, cerco un riparo per pranzare. Una piccola tettoia di una casa mi ripara dalla pioggia che scenderà mentre mangio. Sono infreddolito e la giornata sembra sarà caratterizzata da freddo e precipitazioni.
Il meteo mette una leggera pioggerellina in paese e ad Ovest verso le 14.

È mezzogiorno ora, un po’ in anticipo. Guardo la mappa e mi rendo conto che dovrò salire fino oltre i 2000m. Non mi preoccupo del dislivello, ma delle temperature. Seduto qui a guardare la pioggia mista a grandine che scende non mi aiuta. Mangio delle arachidi e del cioccolato e mi incammino. Non ho messo i pantaloni impermeabili perché spero che quelli che ho su, venduti come idrorepellenti, siano sufficienti.

Cento metri e comincio già a bagnarmi. Resisto. Più in alto sarà neve e scivolerà via. Dieci minuti dopo smette e riesco ad asciugarmi. La mappa che mi hanno passato della zona del Etna riporta un numero di sentiero diverso da quello dei cartelli. Non c’è il numero che dovrei seguire ma la direzione è giusta. Ricomincia a piovere, ma non mi sembra di bagnarmi, questa volta però è più grandine che pioggia. Seguo i segnavia nonostante non riportino il numero indicato sulla mappa.

Mi fanno proseguire a zig zag anche se c’è un sentiero che va su diretto senza percorrere tanta di strada in più. E in questa situazione direi che è abbastanza fondamentale non perdere tempo per la mia sicurezza. Devo riuscire a ridiscendere e perdere quota per passare la notte più al caldo possibile. Smette e riprende a grandinare in continuazione, ma la grandine una volta toccato terra si scioglie. In località Pietracannone mi immetto su una bella strada forestale che però anche qui non capisco perché abbiamo scelto di far fare al sentiero un giro molto più lungo invece di salire direttamente. Ora la neve resta a terra senza sciogliersi, a 1600m. Deduco che la temperatura sia di 0 gradi.

Salgo ancora fino alle pendici del monte Concazza dove c’è il rifugio Citelli, mi hanno detto che posso passare la notte qui senza problemi ma sono le 17 e non ho nessuna voglia di fermarmi anche perché domani non sarà tanto meglio la situazione. Un chilometro più avanti e mi sembra di essere in un altro luogo, lontano da qui. Mi fa pensare alla Russia in autunno inoltrato. Ci sono betulle, la lava nera e la neve a coprire gran parte del paesaggio. Mi fermo per un pezzo di cioccolato ed altre arachidi, mi serve energia per il pezzo più in alto e freddo. La sete si fa risentire, mi concedo un bel sorso assicurandomi di lasciare qualcosa per dopo.

Ha smesso di nevicare…ci sono delle impronte fresche di tre o forse 4 persone. Vanno verso piano Provenzana, dove ci sono gli impianti sul versante nord. Mi aiutano a prendere la direzione giusta, è quasi tutto bianco e diventa difficile riconoscere la strada coperta dalla neve nuova ma anche da quella vecchia. Ora ci si mettono anche le nuvole. La visibilità cala ad una trentina di metri.  Sull’asfalto finiscono le impronte, distinguo delle casette di legno, alcune riportano la scritta “scuola di sci” o “noleggio”. Se dovessi trovarne una aperta ne aprifitterei per passare la notte. Ne provo alcune, ma nessuna è aperta. In una vedo un termometro fissato alla parete dentro un anticamera. Segna 0 gradi. Forse fa freddo, la salita e la fatica sulla neve mi hanno permesso di scaldarmi e sento meno lo sbalzo di temperatura. Vedo i cartelli del sentiero che devo seguire, niente riparo, si continua a camminare. Un 4×4 fermo di fronte ad una sbarra mi fa pensare che non sono l’unico scemo. Passandoci a fianco vedo una guida al telefono, saluto velocemente e continuo. Se non dice niente tutto ok. Cento metri più avanti tre persone che stanno scendendo, non hanno molta attrezzatura, probabilmente sono arrivati poco fa con la guida e hanno fatto un pezzetto a piedi. Le tracce finiscono quasi subito. Il vento gelido mi punge la faccia, le scarpe sì sono gelate esternamente ed anche lo zaino sta facendo dei cristalli di ghiaccio. Anche io ho freddo, ma dai piedi nessuna notizia negativa. Ora gran parte del paesaggio è coperto ancora dalla neve invernale, ci sono accumuli di almeno mezzo metro.

Le impronte vecchie di forse qualche giorno, sporche di lava ed ancora profonde mi permettono di non sbagliare strada. Fa freddo e non sprofondo nella neve, chi ha lasciato queste tracce ha fatto più fatica di me a proseguire. Passo a fianco al Monte Nero e comincio a scendere, non salirò più così in alto per tutta la Sicilia. Due minuti dopo sono sceso sotto la quota delle nuvole e vedo che a valle c’è il sole. Vedo Mojo Alcantara, dove voglio arrivare questa sera e magari prima della chiusura dell’alimentari.

Ora mi concentro sulla discesa, devo arrivare in tempo a valle. Dai chilometri che devo fare per arrivare a Mojo, sicuramente non farò in tempo per la chiusura dell’alimentari, ma sono costretto a scendere per evitare vento e temperature troppo fredde per la notte. Il sole sta tramontando e le nuvole diventano arancio, peccato che il mio punto di vista non sia tra i migliori, nel bosco e vedo solo una parte del tramonto perché l’altra è nascosta dal versante Nord del Etna.

Ora il sentiero da le spalle al tramonto ed arrivo in una casetta della forestale, non si riesce ad accedere. Una cosa ho in testa, scendere il più possibile per passare la notte più al caldo possibile. Seguo fedelmente il sentiero nonostante ci siano possibili tagli. Cerco qui e li se ci sono dei ripari, ma non vedo nulla. Una rete costeggia la strada che sto percorrendo, ma nessuna costruzione, nemmeno una vecchia casa diroccata. Un leprotto scappa, fa solo 3 metri e si sposta dalla strada. Riesco a filmarlo ed a fargli una foto prima che scappi.

Comincia ad essere buio, e nonostante il terreno accidentato evito la torcia perché rischierei di non vedere dei possibili ripari lontani dal fascio luminoso. Così scendo, scendo ancora. Il dolore al piede sinistro ritorna, cerco di usare il tallone e non scivolare verso la punta.

Da 1300m in giù non trovo più neve, quindi la temperatura è sopra lo zero. Bene, ma ho un sacco a pelo da +5 di confort. Dovrei scendere ancora molto. Arrivo fino alla strada “quota mille”, qui a 850m, una casetta, mi avvicino, non si entra, ma presenta un tavolo di legno. Non è proprio quello che cercavo, ma direi che sarà il mio riparo per questa notte. Fermo la registrazione, 60,7km. Niente male. Ora tanto riposo. Entro ne sacco a pelo così come sono vestito, con la giacca impermeabile ed i pantaloni lunghi.

Giorno 19

Fa freddo fuori dal sacco a pelo. I calzini si sono bucati e sono ancora umidi. Li infilo e sento freddo, passa subito. Metto le scarpe e faccio la pipì sull’erba, non ne potevo più. Rimetto tutto in ordine e parto. L’Etna è leggermente coperto, ma sembra si sia sciolta la neve di ieri. Il sole cerca di scaldarmi con qualche difficoltà. Seguo i segnavia.

Dopo quasi due chilometri non trovo gli occhiali da sole. Ero convinto di averli messi in testa. Tasto, e non ci sono. Controllo nella custodia e non sono nemmeno lì.
Torno indietro lungo il percorso fatto e non li trovo. Cerco fino al riparo notturno e nemmeno lì li trovo. Provo a ripercorrere ancora una volta il tratto fatto questa mattina perché magari li ho persi nell’erba alta. Tasto ancora la testa e sento una cosa strana. Riprovo e non la sento più, tasto più indietro ed eccoli, gli occhiali. Si erano rivoltati indietro, chissà quando e come, e non li sentivo con cappuccio della felpa e della giacca tirati su, ahimè.

Riprendo da dove ho lasciato. Bevo l’ultimo sorso del litro di acqua che ormai mi accompagna da 80km. Tanto tra poco sarò a Mojo Alcantara e potrò berne quanta ne voglio. Al paese vado subito al alimentari, faccio la spesa per 3 giorni, perché non troverò rifornimenti sui Peloritani, a meno che non scenda dal crinale, ma non è una cosa che intendo fare.

Bevo e riempio la borraccia. Lo zaino pesa 8kg in più. Praticamente doppio zaino. Fisso l’incontro con il CAI a Portella Mandrazzi, il confine tra Nebrodi e Peloritani per le 15.30-16. Vado verso Malvagna, il paese dopo Mojo a circa tre chilometri, in piazza bevo ancora per assicurarmi di essere idratato. Lascio il paese a Nord nella zona del cimitero. Il sentiero qui è segnato, è segnato come E1. Ovvero sentiero Europeo 1 di cui il Sentiero Italia ne fa gran parte. Il Sentiero Europa 1 non ho ancora ben capito se parte dalla Sardegna o dalla Sicilia, ma sono sicuro finisca a Capo Nord in Norvegia.

Comincia a piovigginare e vedendo solo nuvole grigie mi proteggo anche con i pantaloni impermeabili, la pioggia dura poco, forse ho impiegato più tempo a vestirmi che a prendere pioggia. Lascio la strada principale per seguire il tracciato del CAI che poi si ricollega alla stessa strada due chilometri più avanti, forse accorcia un poco, ma era giusto proseguire sulla stessa strada secondo i segnavia. Seguo sempre la strada e grazie al peso in più sullo zaino mi scaldo e tolgo la giacca ed i pantaloni.

Sembra diventi una bella giornata, il sole ogni tanto scalda per davvero, è una goduria. Il panorama è molto bello e da sull’Etna, che ora ha il cappello di nuvole. Sulla cresta il vento soffia insistentemente e mi devo infilare ancora la giacca ed i guanti. Ho paura di non fare in tempo per l’appuntamento e così avviso che ritarderò di mezz’ora.

Il vento sulla cresta davvero rompe le scatole. Anche qui hanno installato una marea di pale eoliche, ed evidentemente è una zona soggetta a vento piuttosto costante perciò me ne faccio una ragione. Quando il sole se ne va le temperature calano bruscamente. Quando ritorna lo sento scaldare gambe e mani. Passa mezzogiorno e non pranzo per paura di ritardare. La segnaletica inoltre mi fa allungare rispetto alla traccia del CAI e per fortuna ho avvisato del possibile ritardo. A 4km da Portella vedo che ho tempo a sufficienza per mangiare. Trovo un posto poco ventilato ed oltre ai fagioli ed il pane ho pure un frutto: una pera! Non perdo molto tempo e riprendo a camminare.

Devo aver sbagliato i conti ancora perché arrivo proprio alle 15.30 a Portella. Il telefono prende e mi arriva il messaggio che per un imprevisto arriveranno per le 17. Mi trovo un posto al sole e riparato dal vento. Per un po’ funziona, poi il vento gira e comincio ad avere freddo. Mi trovo un altra sistemazione più riparata. Alle 16.50 arrivano e mi invitano in macchina. Mi siedo e la temperatura è decisamente gradevole. Mi portano lungo la strada per farmi vedere una frana che dovrò valutare se attraversare o meno qualche km più avanti. Da qui sembra fattibile e dalle immagini satellitari sembra esserci un passaggio. Chiedo informazioni riguardo ad un posto dove passare la notte. L’anno scorso mi sono fermato più avanti di circa 27km, mi viene difficile pensare di arrivare così lontano oggi. Proprio poco dopo la frana c’è un posto dove potrei fermarmi, una casetta della forestale. C’è anche acqua. Dopo un oretta di chiacchiere ci facciamo due foto ed io riprendo da dove ho lasciato con la batteria ricaricata.

Il vento sembra essersi calmato ed il sole mi scalda un po’. Nemmeno due chilometri e mi devo fermare per valutare il passaggio sulla frana. Proseguire dritto è troppo pericoloso. Tropo ripido e non ho appigli e finirei giù di un bel po’. Prendere un altra strada mi costringerebbe ad allungare di un sacco di km. Provo a passare dall’alto. Vedo tracce di capre che hanno segnato il terreno facendo un sentierino. Non è proprio sicuro e qui in alto vedo dei pezzi di terra che si stanno staccando per cedere prima o poi. Non mi piace troppo. Cerco di seguire il sentiero fatto dalle capre e di percorrerlo più in fretta possibile. Non ho molta aderenza e mi devo assolutamente aiutare con i bastoncini. Passato questo “salto” di una trentina di metri tutto ritorna ad essere in piano. Riguardo la frana scendere fino a valle. È andata bene. Questo è un tratto da sistemare assolutamente o ancora meglio da modificare.

Poco dopo la frana trovo il riparo che mi hanno consigliato, la casetta e chiusa ma c’è la rimessa degli attrezzi. Quasi un lusso. Sono riparato anche questa sera. Sento il vento soffiare da fuori, e pensare che volevo continuare e cercare un altro riparo di fortuna. Da dentro al sacco a pelo penso di aver fatto bene. Il desiderio di una doccia comincia a farsi sentire, sento le gambe appiccicarsi leggermente, lo sento anche nelle braccia che si appiccicano alla maglietta.

La notte sono costretto ad indossare ancora la giacca ed i pantaloni. Una notte tormentata da risvegli continui.

Giorno 20

Un altra giornata fredda. Il naso che è fuori dal sacco a pelo assieme alle guance lo sanno bene.

Resto almeno mezz’ora li ad aspettare che qualcosa cambi. Sono sempre troppo ottimista in questi casi. Devo cominciare a muovermi mi dico. Così potrò scaldarmi penso.

Comincio a camminare e forse qualche grado in più oggi c’è. Questo è un tratto con pale eoliche quindi deve esserci spesso vento, altrimenti sarebbero inutili, e così le temperature percepite restano comunque piuttosto basse. Guanti e giacca indispensabili. Tre o forse quattro chilometri e riesco a scaldare le mani.

La strada resta in quota ed aggira i crinali, una volta a Nord una volta a Sud. A Nord subisco il vento. Passata la zona eolica il vento si placa e comincio a scaldarmi per bene, c’è il sole e così resto in canotta e pantaloncini. Duro poco. Mezz’ora ed infilo la felpa. È quasi mezzogiorno, cerco un posto riparato dal vento per pranzare.

Trovo una zona poco ventilata, mi siedo a terra e sento il sole scaldarmi molto più ora che quando sono in movimento. Non capisco. Fatico a trovare la voglia di alzarmi e riprendere a camminare. Si alza il vento e ritorno ad indossare i pantaloni. Li sento appiccicarsi alla pelle, l’istinto è di non muoversi per evitare questa sensazione.

Mi alzo e comincio a preparare lo zaino, infilo quello che non mi serve nello zaino, sistemo i vestiti e sono pronto a partire. Sul crinale si vede il Mare Ionio e il Tirreno dall’altra parte. E dritto nella mia direzione la Calabria. Domani ci arriverò.

Faccio due conti e potrei arrivare a Messina questa sera verso le 22 se mantengo un buon passo. Ma di solito alle 21 sono già con gli occhi chiusi nel sacco a pelo, dedito al riposo.

La strada si interrompe e diventa sentiero, l’unico tratto qui sui Peloritani.
Si passa facilmente ma il piano di calpestio è cosparso di pietre. Questo rallenta il mio passo. Arrivo al posto tappa e trovo solo un rudere.

Il vento si alza ancora e delle nuvole cominciano a coprire le cime dietro di me facendomi restare in ombra. Giacca e guanti, è ritornato il freddo. L’Etna ogni tanto sbuca tra un’avvallamento e l’altro. Sta fumando in cima e crea una nuvola che si estendere per chilometri verso il Mediterraneo. Sono le 19 da un po’ sto percorrendo una strada tutta rotta e piena di pietre. Sono parecchio provato ed ho dolori articolari come quando ho la febbre.  L’indicazione di un rifugio mi fa pensare al riposo.

Le finestre sono chiuse. Mi avvicino e manca la porta d’entrata. Quando valico la soglia il piano è cosparso da feci di capra.

Non ho voglia di passare la notte riparato da un cespuglio e subirmi il vento costantemente. Pulisco alla meglio un angolino e mi sistemo. Esce del fumo dalla bocca. Fa freddo. Ho le mani di nuovo molto fredde. Mangio da dentro il sacco a pelo e vado a dormire togliendo solo le scarpe.

La notte mi sveglio ed ho meno freddo dei giorni precedenti, ma comunque nella parte alta della schiena non riesco a scaldarmi.

Giorno 21

Il naso fuori dal sacco a pelo funge da termometro. Non fa freddo, o almeno non come ieri mattina. Il vento da poco si è calmato.

Il sole entra dalla finestra senza balconi. Non è andata così male questa notte. Esco con il busto dal sacco a pelo ed effettivamente non fa così tanto freddo. Mi preparo, faccio colazione camminando. Oggi biscotti ed una mela. Dopo 20  chilometri sono a Messina. Incontrerò quelli del CAI per farmi restituire l’altra batteria che ho lasciato loro per la ricarica. Tre chilometri ed ho la confidenza di togliere la giacca.

Controllo il tracciato di ieri e sembra essere il più impegnativo in termini di dislivello da quando sono partito. Più di 3500m di dislivello positivo e altrettanti in negativo. Ora capisco la stanchezza. Comunque mi è sembrato di essere restato sempre più o meno in quota. Controllo il grafico e sembra attendibile. Non l’avrei mai detto.

Percorro tranquillamente la strada che comunque a tratti presenta sassi temuti dalle caviglie e dalla pianta del piede. Arrivo al Monte Dinnammare, tolgo la felpa ed i pantaloni, ora fa abbastanza caldo. Un segnavia del Sentiero Italia, proprio la bandierina rosso-bianco-rosso. Avvicinandomi leggo molto sbiadito “SI”. Poco dopo mi infilo nel bosco e penso avrei potuto tenermi addosso la felpa. Non me ne preoccupo troppo perché sto scendendo di quota è dovrò raggiungere il mare.

A Cumia Superiore il primo contatto con l’urbanizzazione. Un piccolo borgo, subito dopo Cumia Inferiore. Un po’ di rottami e spazzatura cominciano a comparire da questi insediamenti. Arrivato a Messina seguo il percorso più breve per raggiungere il porto, perché a mezzogiorno mi aspettano i riferimenti del CAI di Novara e di Sicilia, Liliana e Lucio. Non è troppo caotica Messina, perché domani è il 25 aprile ed è festa, così molti hanno deciso di fare ponte anche oggi che è lunedì.

Per me comunque sentire tutto questo rumore e vedere il traffico è insolito. Non troppo fastidioso, ma di certo una cosa alla quale non pensavo più.

Tra parcheggi azzardati e schivanelle varie raggiungo il marciapiede e dopo aver attraversato gran parte della città arrivo nel porto.

Fermo la registrazione della traccia e dietro di me c’è Liliana. Andiamo in un bar dove hanno promesso di presentarmi. Poi mi portano a mangiare… Una bella mangiata. Non che pane e fagioli non mi piacciano, ma qui ho mangiato con calma e davvero molte cose diverse.

Mi danno una grande mano con i riferimenti per la Calabria e scopro che quell’unico simbolo visto sui Peloritani lo hanno messo proprio loro tanto tempo fa. Mi portano a fare la spesa e poi ritorniamo al bar per presentarmi alla padrona che lavora al turno del pomeriggio oggi.

Una granita per me e dei caffè per gli altri. Mi fanno riempire la borraccia perché non ho trovato nemmeno una fontana. Ora vado  verso il porto per ripartire.

Sono le 17.20. Abbiamo chiacchierato un sacco.

Alle 17.35 mi imbarco dopo i saluti ed averli ringraziati per tutti i favori e le gentilezze.

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