Emilia Romagna e Toscana 2017

Giorno 56

Sono a Bocca Trabaria verso le 17.40, piove ed ho finito l’acqua e secondo i miei conti per altri 25km non ne troverò. Al passo c’è un camionista con targa slovena fermo intento a leggere. Provo a chiedere a lui se può darmi dell’acqua. Fa cenno di sì. Si sposta dal posto del passeggero e riappare con un tanica da 10 litri. Mi riempie la borraccia. Lo ringrazio, non sa quanto mi ha aiutato con solo un litro di acqua. Ora riprendo più tranquillo. Un altra soluzione sarebbe stata quella di uscire dal sentiero e scendere lungo la strada per qualche chilometro e risalire. Sinceramente non mi andava molto.

Qui comincio a seguire i segnavia della GEA ed il sentiero 00. Sono sentieri abbastanza battuti e so che sono in buone condizioni, quindi spero anche di riuscire ad andare molto veloce.

L’inizio non è molto promettente. Piante alte intralciano lungo il sentiero e così continuo a bagnare le gambe. Purtroppo in alcuni punti sono presenti rovi e rosaspina ai quali presto attenzione per non rovinare il giubbotto. Per le gambe tengo d’occhio anche le ortiche. Comincio ad avere le mani lesse e cerco di asciugarle, ma anche se non piove più, gli alberi stanno ancora facendo cadere delle gocce. Il meteo non prevede pioggia per la sera, ma naturalmente non voglio restare fregato. Lungo il percorso troverò due posti dove passare la notte al coperto scongiurando l’umidità, il primo a circa 8km da dove mi trovo e l’altro altri 8km più avanti. Il secondo ricordo avere una fontana vicino però significa camminare oltre il tramonto e forse fino alle 22, ma il primo è forse troppo vicino. Per ora punto il primo, ma deciderò strada facendo.

Lungo il sentiero si presentano dei piccoli strappi in salita ed altri in discesa alternati da tratti in falso piano, non è difficile da seguire a parte alcuni punti incerti. Il sole sta calando, ma il paesaggio si sta asciugando ed io comincio a scaldarmi, così verso le 20 decido ti togliere la giacca anche perché per un pezzo percorrerò una strada bianca e le piante mi saranno lontane e non mi bagneranno. Verso le 20.30 arrivo a quello che potrebbe essere in bivacco per la notte, Rifugio Pian delle Capanne. Da qui cominciano un tratto in comune con la via Francigena.  C’è altra gente e noto dei vestiti stesi, probabilmente anche qualcun’altro ha preso la pioggia. Deciso comunque di proseguire per sfruttare tutta la luce a disposizione, anche se farei due chiacchiere volentieri.

Il cielo è terso, e le temperature gradevoli. All’orizzonte il sole che tramonta. L’aria è molto umida e poco dopo il tramonto le temperature calano. Devo lasciare la strada per entrare nel bosco e la differenza di luminosità è tanta che per abituarmi mi ci vogliono 3-4 minuti. Sono in salita e mi scaldo un po’. Speravo di non bagnare ulteriormente le scarpe, ma alcuni punti presentano erba alta. In discesa incontro delle mucche e spero davvero tanto non abbiano lasciato di ricordi sul sentiero perché sarebbero molto scivolosi, non ne incontro o per lo meno non li pesto fino a quando arrivo alla strada.

Arrivo ad una chiesetta che è chiusa, vicino una tettoia, purtroppo è sulla strada, ma sono stanco per continuare ed in più rischio di ritrovarmi a percorrere un altro tratto di erba alta e bagnarmi ulteriormente. Mi fermo nonostante sia a fianco strada. Sono comunque coperto dalla vista da una siepe. Mangio e sento i piedi, le spalle e la schiena stanchi. A fine giornata posso dire di aver visto 2 lupi ma non ne sono sicuro, 3 lepri, 1 allocco, 3 rane o rospi, 3 caprioli ed una volpe. Un bel risultato per una singola giornata. Ed anche oggi ho portato a casa altri 70km, una bella soddisfazione per essere il secondo giorno.

Giorno 57

La notte e prima di alzarmi lungo la strada passeranno delle macchine a disturbare il sonno purtroppo.

La mattina mi sveglio e 6 zecche trovate sul corpo mi ricordano che sono passato per diversi tratti di erba alta. Anche oggi parto prima delle 7. Il sacco a pelo era caldo e nascondeva i dolorini alle spalle, ma anche in Sardegna ho avuto questo inconveniente che dopo qualche giorno è sparito. Il sole fuori dal bosco si fa sentire. I calzini che non si sono asciugati durante la notte cominciano a darmi fastidio al tendine d’Achille perciò appena sarò sicuro di non bagnare più le scarpe li cambierò con un paio asciutto per evitare escoriazioni. Fino al posto che avevo deciso come tappa, percorro una strada bianca, mi fermo alla fontana e l’acqua non è fresca come me la aspettavo. Riprendo e devo attraversare un prato dove l’erba non si è ancora asciugata. La fonte successiva è più fresca. Seguendo il tracciato, per terra vedo delle feci di lupo, le riconosco per la forma e dimensioni simili a quelle di un cane della stessa taglia, ma presentano del pelo. Il sentiero prosegue abbastanza tranquillo, in discesa fino a Pieve Santo Stefano.

Al paese individuo subito la fontana, poi vado in cerca di un alimentari e lo trovo in piazza. Prendo solo una porzione di ceci, non hanno molto altro. Riprendo a salire e non non ci vuole molto per ritrovarmi completamente sudato. La pipi è ritornata scura, ma oggi dovrei incontrare abbastanza fontane. Anche oggi non faccio molta colazione, sia perché non mi sono rimasti molti biscotti sia perché non ho molto appetito.  Qui ho in comune dei tratti anche con il “Sentiero della luce” che va da Assisi a La Verna o viceversa. Le ginestre umide hanno un profumo ancora più forte oggi. Dopo una salita di 250m proseguo in continui saliscendi tra piccoli borghi molto pittoreschi. Mi fermo a cambiare i calzini ed è tutto un altro proseguire.

Si aggiunge il Cammino Camaldolese. A Caprese Michelangelo non trovo nessuna fontana, ho finito l’acqua e mi accorgo che avrei potuto fare la spesa qui ed evitare un po’ di peso. Da qui continuo su carrabili fino all’ Eremo della Casella. Prima dell’ Eremo passo per Lama dove c’è un altro alimentari e siccome ho un leggero appetito mi prendo tre mele in modo da idratarmi. A Fragaiolo non ricordavo ci fosse una fontana così mi rinfresco dalla calura e prendo acqua. Uscendo dal paese in direzione dell’ Eremo, passo per una località piena di Ville molto belle. Sono molto curate, ed una mi colpisce in particolare perché leggermente diversa dalle altre. Presenta una costruzione di tipo anglosassone, dal recinto fino a tetto. Qui gli alberi fanno un ottimo lavoro nel proteggermi dal sole, sudo, ma non lo sto soffrendo. Invece le gambe mi stanno chiedendo un po’ di riposo, ma gli concederò solo qualche minuto all’ Eremo mentre mi dedicherò al pranzo, il resto lo avranno stasera.

Sto puntando a fare anche oggi circa 70km. Sopra i 1100m gli alberi non coprono più il sentiero, ma mi viene in soccorso una fontana con l’acqua fresca. Mi bagno le braccia ed il viso e così per un centinaio di metri non sento il minimo caldo. Vicino l’Eremo sento la pancia brontolare, le mele hanno fatto un bel lavoro. L’Eremo offre molto spazio per i pellegrini, ci sono due grandi tavolate ed anche due bei camini. Mi fermo il tempo per magiare e riprendo.

Il sentiero in discesa fino a Chiusi la Verna è ben definito, ma a tratti presenta rocce che lo rendono pericoloso, inoltre spesso piante invadino il passaggio ed io sto scongiurando altre zecche. Mi accorgo di cominciare a puzzare, in fondo ho sudato davvero molto. A Chiusi mi fermo alla fontana per un po’ di refrigerio. Salgo verso il Santuario nel bosco così non patisco troppo il caldo. Intanto cerco di organizzarmi per domani, in quanto se non ricordo male per 30km non troverò rifornimenti d’acqua, in più è sabato e dovrò probabilmente fare la spesa fino a lunedì aumentando il peso dello zaino e così anche la fatica ed il sudore. Dal santuario prendo subito per Poggio Tre Vescovi, altri 20 chilometri scarsi ed arrivo a Badia Pratalia dove conto di fare la spesa. Mi fermo ad una fontanella per l’ultimo rifornimento prima del paese, sto percorrendo una strada bianca in falso piano. Continuo così fino al Passo delle Gualanciole per prendere un sentiero, il primo tratto in salita mi fa sudare nonostante sia nel bosco, poi da Poggio Tre Vescovi procedo grossomodo in piano. L’anno scorso passare tutto questo tempo nel bosco non mi piaceva molto. Quest’anno invece, con il sole caldo di questi giorni è davvero una cosa gradita. I chilometri non passano ed io per qualche errore di calcolo mi trovo 8km in più da percorrere e quindi rischio di arrivare dopo la chiusura dell’ alimentari, ammesso che ci sia.

Uso i bastoncini anche se sono in piano, qualcosa mi fanno andare più veloce. Inoltre cerco di bere il litro di acqua a disposizione per idratarmi il più possibile. A Poggio dei Mandrioli la segnaletica non è molto chiara, sembra ci siano due possibilità. Io prendo quella più rapida che evita la strada. Inizialmente il sentiero non è messo bene, ma scendendo si trovano passaggi agevoli per evitare i detriti. Si sbuca in una segheria e poi si prende la strada asfaltata fino al paese. Arrivo al paese giusto in tempo per la chiusura. Alle 19.25. Faccio in fretta ed ho la cena con me. Se l’avessi trovato chiuso avrei dovuto aspettare domani mattina perdendo probabilmente 3 ore di marcia. Cerco di seguire il sentiero da qui ma non è chiara la segnaletica. Improvviso un po’ e poi recupero il tracciato. Salendo verso la località “Capanno” incontro 5 cervi che non mi avevano sentito e sono davvero vicini, al massimo 25 metri. Non mi sono accorto nemmeno io di loro perché stavo controllando il telefono.

Continuo a salire fino ad un, bivacco ma ci arrivo troppo presto per decidere di fermarmi. C’è una fontana a fianco al Rifugio che l’anno scorso non avevo notato. Dopo aver bevuto continuo la salita. Le gambe sono stanche, vorrebbero davvero fermarsi, ma c’è ancora un oretta a disposizione per camminare. Nel bosco la temperatura è finalmente gradevole, il sole sta tramontando e pure in salita riesco a non sudare. Altri cervi, non sto facendo molto rumore, solo ogni tanto i bastoncini cozzano con delle pietre e penso sia per questo che si siano accorti di me. Continuo ad andare avanti, in salita sudo un po’ ed una volta in quota, si alza un po di vento che mi fa venire qualche brivido. Sarebbe bene proteggersi dal vento. Ricontrollo la mappa e mi accorgo di aver ancora sbagliato i conti per domani. Le opzioni sono due, o sono fuso oppure il telefono fa scherzi. Comunque alle 21.30 decido di fermarmi, ho trovato una zona di alberi più fitta che mi proteggerà sia dal vento che dall’umidità.

Giorno 58

La notte, dentro il sacco a pelo fa troppo caldo e fuori fa freddo anche per il vento e quindi la passo ad aggiustare spesso l’apertura. Inoltre sento muovere sul mio corpo diversi insetti.

Alle 5.30 c’è luce a sufficienza, ma sono stanco. I piedi sono ritornati duri, e fuori è umido. Riprendo sonno con qualche difficoltà ed alle 6 in punto un 4×4 mi sveglia. Deve passare e quindi in fretta metto le scarpe e sposo il giaciglio per lasciare abbastanza spazio per il passaggio. Al tendine sinistro, quello che si stava irritando ho un leggero fastidio. Le gambe sono indolenzite e riprendere la marcia non è facile. È fresco, grazie all’umidità ed al vento sono tentato di indossare la felpa. Un salita mi scalda ed il sentiero si sposta dalla cresta così evito il leggero venticello che comunque tende a raffreddarmi. Ho ripreso il solito ritmo e mi accorgo di un leggero dolore al ginocchio destro ed alla pianta del piede sinistra, spero siano dolori di assestamento perché il ginocchio potrebbe diventare qualcosa di grave per questa avventura.

Al Passo La Calla trovo una mappa e controllo il sentiero per essere sicuro di seguirlo correttamente. Riprendo a salire ed ho qualche difficoltà, sto facendo colazione e non posso respirare con la bocca perciò smetto fino ad un tratto più facile. Al Rifugio la Burraia prendo altra acqua anche se non ne avrò bisogno. Il sentiero sempre in cresta passa in un corridoio fra faggio e pino muto ed arriva al monte Falco. Questo monte è visibile dalle prealpi vicino casa e fa uno strano effetto, anche per il fatto che sto piano piano allontanandomi da casa. Il cielo è coperto e del paesaggio non vedo altro che gli alberi attorno a me. Proseguo fino al Falterona e la storia e la stessa. Sono le 9 ed il sole sembra voler uscire, intanto comincio la discesa.

L’inizio è piuttosto diretto e ripido poi continua con dei zigzag. In 2 chilometri perdo 400m di quota. Decisamente un tratto impegnativo. Il sole mentre scendevo è ritornato tra le nuvole. Ora proseguo su comoda strada forestale per raggiungere il rifugio Fontanelle, quando ricomincio a scendere mi trovo ad avere una specie di deja vù, perché anche l’anno scorso percorrevo questo tratto di bosco nella nebbia. Al Rifugio trovo altra acqua. Segue una discesa ripida ed impegnativa, e mentre scendo ho una sensazione di formicolio ai muscoli della mandibola. Non penso sia un buon segno. La sensazione non se ne va fino a quando non termina il tratto impegnativo.

Non ho più problemi, a parte la stanchezza, fino a Colla dei tre Faggi. Dopo mi si presenta una variante, visto che il sole ha cominciato ad uscire e scaldare scelgo la variante bassa ed in teoria più semplice. Purtroppo accuso un attacco strano di dissenteria. Dopo i bisogni non accuso problemi. Verso mezzogiorno mi trovo al Passo del Muraglione e mi fermo a mangiare. Un sacco di motociclette sono parcheggiate di fronte al bar ristoro. Ogni tanto qualcuna passa facendo un bel fracasso. Nel riprendere il sentiero mi accorgo che qualcuno ha provveduto a tagliare l’erba e le piante che davano fastidio al passaggio. Subito penso alle zecche evitate. Lungo il sentiero c’è un cane, poco dopo sento chiamare. Raggiungo il sestetto ed una del gruppo esordisce “Ti possiamo fare una foto? Sei il primo essere umano che vediamo.”. Due parole veloci e chiedo informazioni riguardo acqua e se sanno se a Montepiano potrò trovare aperto domani. Inizialmente rifiuto la loro acqua perché ne ho abbastanza per arrivare a Casaglia, ma riparto con la borraccia piena. Uno sfizio che mi aiuterà. Presto il sentiero non è più curato e l’erba ed altre piante intralciano al passaggio. Ora il percorso si presenta maggiormente fuori dal bosco ed il sole sa bene come dire la sua.

Chiamo la pro loco di Montepiano per sapere se l’alimentari domenica sarà aperto. Negativo. Provo a sentire il panificio e mi informa di un bar alimentari poco distante, forse 1 chilometro aperto anche domani. Trovo il numero, chiamo per sicurezza, confermano l’apertura. Così dovrò portare meno peso. Al momento di lasciare il sentiero 00 a favore di quello che scende a Casaglia cominciano dei problemi. Il sentiero non è più nemmeno definito e le piante lo coprono. Incontro alcune ortiche che non riesco ad evitare ed il pungere è davvero forte. Il formicolio lo sento anche in cammino. Nonostante tutto, i segnavia ci sono e a tentativi seguo il sentiero fino ad una fonte, bevo, mi rinfresco le braccia ed è quasi tutto vano perché poco dopo trovo delle alte felci che mi asciugano. Ora una zona detritica e ripida fino ad una fattoria. Riprendo su asfalto fino al paese dove faccio la spesa.

Tolgo le scarpe per pulire da sassi e foglie e mi trovo addosso 6 zecche. Tastando i piedi mi accorgo che non hanno una suola così rigida come pensavo. Ho dimenticato i bastoncini nell’alimentari, per fortuna mi sono fermato davanti e la ragazza me li riporta, poi riempio la borraccia e riparto. La salita per il primo tratto è insidiosa, ma quando raggiungo i 1100m ritorno a percorrere i continui saliscendi brevi. Incontro una strada  asfaltata e dopo 400m comincio una strada bianca. Un chilometro forse 2 più avanti c’è un bivacco dove mi sarebbe tanto piaciuto passare la notte, ma come al solito sono di fretta. Più chilometri faccio oggi, meno dovrò farne domani mattina.  In discesa sento tutte le gambe doloranti per i primi metri. Davanti a me so esserci 3 fontane, e siccome dal passo di Giogo a Montepiano non troverò acqua devo bere in abbondanza per evitare di avere sete come l’anno scorso.

Alla prima fontana bevo abbondantemente e riempio la borraccia obbligandomi a bere tutta l’acqua al suo interno prima dell’ultima fontana per averla disponibile da riempire. Alla seconda fontana, 500m dopo mi risciacquo e basta. Una volta alla terza ed ultima fontana, circa 3 chilometri prima del passo, la trovo secca o chiusa. Ho finito l’acqua della borraccia apposta ed ora sono senza. Un bel problema. Continuo cercando di vedere nei canali di scolo se scende dell’acqua, ma è tutto secco. Forse al Passo il ristorante è aperto o forse ci sarà qualche camper. Quando arrivo a vista del passo, noto un camper. Sono salvo. Arrivato al camper non c’è nessuno dentro, ma il ristorante è aperto. Entro ed una signora gentile al bancone con forte accento toscano mi aiuta riempiendomi la borraccia. Per questa piccola pausa i muscoli si sono già rilassati ed irrigiditi, ma voglio continuare per avere meno chilometri da percorrere domani. In salita mi tocca proseguire. Sono stanco e sto arrancando. Incontro una faina, si stava grattando la schiena su un tronco, non mi ha notato nonostante abbia fatto un po’ di rumore. Mi faccio notare, scappa 2 metri più in là e mi guarda. La guardo pure io poi riprendo. Sto facendo un sacco di pipi ed è limpidissima. Non vado molto più avanti perché sono dolorante e stanco. In più rischio di non trovare buoni posti per passare la notte. Mi sistemo sotto a dei faggio che mi ripareranno un po’ dal vento e perché non c’è erba alta qui.

Mangio e controllo le tappe dei giorni successivi. Devo decidere se domani è un giorno in cui posso fare qualche chilometro in meno o dovrò ancora dare il mio meglio. Niente riposo. Controllo anche le tappe fino in Liguria.

Dovrò percorrere un sacco di tappe senza avere punti di appoggio dove fare la spesa. Sarò costretto a scendere a valle per rifornirmi oppure caricarmi un sacco di peso sulle spalle. Mi stendo ed ho dolori alle anche e fatico a rilassarmi. Mi sforzo e finalmente i dolori passano.

Giorno 59

Anche questa notte caldo e sudore, apro il sacco a pelo ed il vento subito mi infreddolisce, aspetto di asciugarmi un po’ e mi sistemo un po’ più coperto. Mi scoccia tenere il sacco a pelo spero. Già sento un sacco di animaletti muoversi addosso, così è un invito a nozze.

Mi sveglio alle 6.30 quando avevo deciso di partire. Ho sete nonostante l’acqua bevuta ieri. Trovo una zecca sul materassino, mi controllo e ne trovo 19 addosso. Non ne sono entusiasta.

Ho i piedi gonfi ed il sinistro mi fa male nella parte frontale della pianta. Il ginocchio sembra essersi riposato perché non da problemi. A stare fermo ho i brividi, ma passano presto camminando, come anche il gonfiore al piede destro. Incontro ancora erba ed altre piante alte purtroppo. Da metà strada verso la Futa il sentiero è più largo, prosegue in comune con la via degli Dei dove incontro altri escursionisti e dei ragazzi in MTB.

Comincio a vedere i monti dopo Pracchia. Più alti, più spogli ed a ricordo più belli. Chissà se quest’anno la penserò allo stesso modo. Intanto oggi non è una giornata troppo calda, almeno per ora. Il piede sinistro mi fa male ma arrivo alla Futa. Subito dopo incontro 2 giovani che stanno andando a Firenze lungo la via degli Dei è gli allarmo riguardo le zecche. Mi fermo e per sfizio e ne trovo alte 15. È un supplizio continuare così.

Un cartello mi inquieta. Mi dice che per arrivare a Montepiano ci si impiega 7 ore. Ma sono circa 12 km. Probabilmente mi sfugge qualcosa, ma non mi pare di averci messo tanto l’anno scorso.

Nei pressi del monte Citerna incrocio l’autostrada A1, un punto particolare. Se indichiamo il Sentiero Italia come il sentiero numero 1, allora è un incontro tra opp,osti. L’uno veloce e largo, l’altro a passo d’uomo e spesso stretto ed angusto. Qui un altro cartello indica 3 ore e già mi tornano meglio i conti. Il tratto è leggermente rovinato poi sale su una strada brecciata sempre nel bosco. Giunge fino ad un incrocio a 7 vie contando i tratturi. La segnaletica mi aiuta. Sono un po’ in ritardo rispetto il previsto ma dovrei farcela per l’orario di chiusura. Proseguo il più veloce possibile, ed in discesa approfitto per una leggera corsa. Cominciavo ad avere sete e a Montepiano trovo subito acqua. Vado diretto verso il bar alimentari. 1.4 chilometri da Montepiano, nemmeno troppo. Cerco di fare l’autostop, ma non funziona. Arrivo ed è aperto.

Mangio li fuori, e una ragazza dice di avere i brividi. Anche io li ho, ma i due ragazzi con lei stanno bene. Questo mi indica che mi sono abituato alle temperature. Prima di andare via riprendo il telefono ed il barista mi fa qualche domanda, poi mi presenta ad un cliente, probabilmente un suo amico che mi darà un passaggio fino a Montepiano. Vorrebbe portarmi più avanti ma gli spiego che devo farlo tutto a piedi il sentiero. Riprendo su asfalto fino ad un agriturismo-albergo dove ritrovo il ragazzo che mi ha dato il passaggio. Ora ricomincio a salire. Sgranchisco le gambe dopo tanto asfalto a passo uniforme. Ora mi scaldo, ma sudo poco. Incontro qualche escursionista. Una fontana e contino a macinare chilometri, il sentiero è generalmente ben tenuto e ha pochissimi tratti di erba alta. Forse non dovrò preoccuparmi delle zecche stasera. Al Rifugio Pacini riempio ancora la borraccia. Ci sono diverse persone nel prato intente a prendere il sole, chiacchierare o a giocare a palla.

Io riprendo subito. Ho ancora molta strada da fare e vorrei arrivare a Pracchia per vedere se durante la notte qualcuno è così gentile da ricaricarmi le batterie. Ne ho ancora in abbondanza, ma per un po’ di giorni non incontrerò paesi dove poter ricaricare. Ogni volta che incontro una discesa rapida cerco di correre. Comincio ad avere dolori alle gambe e vorrei fermarmi. Incontro pure una fontana di cui non ricordavo. Passare dalla discesa alla salita è un colpo per i muscoli ed impiegano qualche passo per “svegliarsi”. A Cascina Ospedaletto ci sono un sacco di persone ancora intente a fare picnic. Vorrei anche io essere li steso e tranquillo. Il ginocchio ogni tanto si fa sentire ed ora comincio ad avere un dolore al collo del piede sinistro. La pianta non mi fa più male dalla mattina forse, il dolore è sparito senza che me ne accorgessi. Controllando l’orario ed i chilometri mancanti dovrei farcela per le 21.30 circa.

Dopo la Cascina incontro dei punti di strada con rocce, il passo rallenta e anche quando finisce questa zona è difficile riprenderlo. Sto andando bene e anche se arrivo alle 22… poco importa se riesco a caricare le batterie. Un trattodi  asfalto, ed è strano camminarci sopra: sembra sia più forte la forza di gravità qui. Il piede nemmeno qui mi da tregua e sto pensando di rallentare. Non posso permettermi di avere un infortunio però una parte di me dice ed è quasi sicura che domani mi sarà passato tutto. Ritorno nel bosco e resto comunque parallelo alla strada anche se non la posso vedere, il sole filtra dagli alberi ed è già abbastanza basso da abbagliarmi. Un chilometro dopo riprendo la stessa strada asfaltata fino a svoltare su un altra strada bianca piena di pietre che persistono per 400m, un toccasana per il piede ed il ginocchio che comincia a darmi fastidio. Migliorano le condizioni fino a Collina. Ancora 7 chilometri. So esserci un riparo 2 chilometri più avanti, gli darò una chance.

È tutta comoda la strada fino ad un ritrovo di cacciatori dove c’è una tettoia dove probabilmente organizzano feste o cose simili in quanto ci sono diverse grandi tavolate. Cerco una spina della corrente, la trovo ma non carica. Ormai ho tolto lo zaino ed è dura pensare di ripartire. Mi fermo qui. Mi tolgo altre 3 zecche, e mi sistemo vicino un tavolo abbastanza riparato dal vento che si è alzato da qualche chilometro fa. Tolgo le scarpe e massaggio i piedi, è molto piacevole. Al tatto non sento dolori, è proprio il movimento che me li procura. Mangio con più calma, ho finito alle 21 di camminare, c’è ancora luce, ma il piede ha bisogno di riposo. Non voglio rischiare problemi più gravi. Spero di passare la notte tranquillo, senza troppo caldo e senza essere disturbato. Un ghiro si è già fatto sentire, ma gli ho detto di stare buono.

Giorno 60

Purtroppo durante la notte il dolore al piede non passa, quando lo muovo ogni tanto si fa sentire. Ho dormito un po’ meglio ma alle 6.10 sono passate delle macchine ed alcune si sono fermate proprio qui. È una zona di addestramento cani e li stanno portando nei recinti.

Mi metto in moto e cammino strano per evitare i dolori da subito. Voglio scaldare il piede prima di cominciare a marciare come al solito. È tutto in discesa ed il piede comincia a scaldarsi, ogni tanto però mi ricorda che non sta benissimo. A Pracchia vado subito all’alimentari, mi prendo i fagioli per mezzogiorno e due mele da mangiare subito. L’alimentari apriva addirittura alle 7. Ora da qui i percorsi avranno maggiore altitudine e spettacolarità, però dai 600m oggi dovrò salire fino ai 1800m: una bella faticata. Il piede sembra starsene abbastanza buono, lo tengo sotto controllo.

L’inizio della salita è intenso e solo verso i 1000m si addolcisce. Mi accorgo che il piano di calpestio è ottimo in questi tratti per il problema al piede. È composto perlopiù da sotto bosco. Foglie, terriccio, piccolo rami, sabbia e qualche volta sassi. Se sto attento forse posso continuare a marciare senza fermarmi per un giorno di riposo per recuperare il piede. Si perché se non migliora, sarò obbligato a fermarmi. Tutto bosco di faggio, pino nero, castagni. La temperatura è gradevole e proseguo a buon passo. L’ultima salita per il rifugio del Montanaro è ripida e presenta sassi, sono attento al piede ed evito di aggravare la situazione. Al Rifugio ci sono i due gestori, faccio due chiacchiere poi arrivano altri sei e mi chiedono cosa stia facendo. Spiego ed uno di loro cerca di convincermi ad usare il solare. L’anno scorso ci ho provato con scarsi risultati. Ne ha uno con se è mi convince a prenderlo. Non lo voglio, ma vorrei dargli una possibilità dopo quello che mi ha detto, in fondo è piccolo e non aumenta di molto il peso. Nel bivacco del rifugio c’è il libro, e dentro c’è scritto ancora quello che il 25 agosto dell’anno scorso ho lasciato al mio passaggio. La fontana al Rifugio non butta molta acqua, ma non importa, so che ne troverò più avanti.

Riprendo il sentiero 00 e fino al Monte Abetone è quasi tutta cresta. Infatti sale subito per guadagnare il posto panoramico. Il sole scalda e c’è un bel venticello, non affronto grandi salite. L’occhio ora è contento. Finito il bosco ho cominciato subito ad armeggiare con il nuovo pannello. Non sembra funzionare granché ahimè. Il sentiero si sposta dalla cresta e passa vicino una fonte dove prendo acqua ed incontro degli escursionisti intenti in una pausa. Io invece riprendo subito. Qualche roccia sul sentiero e sono subito in allarme per il piede. Il tratto non dura molto e ritorno sulla cresta. Devo salire al Passo dei Tre Termini ed incontro qualche roccia alla quale stare attento, intanto il pannello sembra dare qualche miglioramento. Dal passo mi si apre la vista verso il percorso del pomeriggio fino la sera ed anche quello di domani, più lontano vedo le Apuane. Continuo fino al lago Scaffaiolo dove mi fermo per pranzare dopo aver dato una lavata ai calzini appesi allo zaino perché ogni tanto con vento a favore ne sentivo la scia, che benessere. Nonostante ci siano dei giovani con alcuni bambini abbastanza rumorosi sono tranquillo. Il sole è giusto, c’è anche la giusta ventilazione e sto riempiendo la pancia. Con la pancia sazia riprendo e chiedo a due ragazze intente in un picnic se gentilmente mi possono dare un occhiata alla schiena per evitare sorprese riguardo le zecche. Mi dicono di non vederne. Riparto più tranquillo anche se non so se fidarmi veramente. Il sentiero ora è tutto sulla cresta fino al Monte Abetone. È prevalentemente ben percorribile, a parte qualche tratto, ma non mi faccio intimidire. È tutto il giorno che cammino con un passo leggermente zoppo, ma solo una persona attenta sarebbe in grado di accorgersene. Intanto il pannello da segni di cedimento, ha ricaricato fino al 80% ed ora non va più.

Ho finito l’acqua, ma so che tra poco ne troverò ancora. Dopo una breve sosta in cima scendo verso Bosconero, una frazione di Abetone. Nel bosco trovo la fontana, l’acqua è fresca e scende giù molto bene. Purtroppo mi accorgo che nelle 4 ore di cresta mi sono bruciato le braccia grazie al sole. A Bosconero non c’è alimentari allora vado verso Abetone, una signora americana mi offre un passaggio. Decido di fare la spesa per i prossimi due giorni nonostante il peso da portare, così da arrivare al Passo della Cisa e li fare di nuovo compere. Al ritorno a Bosconero non trovo passaggio, per fortuna la strada è poca. Prendo il sentiero per il Lago Nero, dove nei tratti di salita impegnativa su una strada tutta rotta comincio a sentire dolori al piede. Non ne sono contento, ma un bel risultato viste le condizioni della mattina. Al Lago Nero i fianchi delle montagne si riempiono di mirtilli e lamponi.

C’è il rifugio chiuso, ma c’è il bivacco. È comunque, purtroppo, troppo presto per fermarsi. Da qui il sentiero continua su un tratto tutt’altro che agile. Rocce, sassi e grandi massi caratterizzano il piano di calpestio. Il ritmo cala inevitabilmente. La parte più dura è quella vicina al monte Rondinaccio, la salita è fatta su salti di roccia che mi sfiancano, e proprio meglio ultimi 40 metri di salita sulla cresta Ovest mi sento sfinito.

In cima non c’è il forte vento dell’anno scorso e mi godo il paesaggio, ma non per molto. Il sole scende, sono le 20. Faccio più in fretta possibile nella discesa, ma il terreno è molto tecnico e pericoloso ed io non ho un piede al 100%. Mi impegna molto sia fisicamente che in termini di tempo. Come non bastasse cominciano a comparire le zanzare.  Arrivo comunque al Lago Santo quando ancora c’è sufficiente luce. Alla fontanella mi do una sciacquata a gambe e braccia perché sono appiccicose. L’arietta mi rinfresca. Vorrei e potrei fermarmi nella chiesetta nella quale ho passato la notte l’anno scorso, ma c’è luce mannaggia. Se mi sposto dal lago eviterò sicuramente anche le zanzare. Purtroppo, non ricordando bene questo tratto sono in difficoltà nel trovare un posto piano dove poter passare la notte. Ovunque sassi e rocce. Dopo circa a 2 chilometri lo trovo.

Ma ci sono ancora zanzare. Ormai mi sono fermato e mi chiuderò bene bel sacco lasciando fuori solo naso e bocca. Prima di coricarmi faccio due conti su quanto ho percorso fino ad ora.

3200 chilometri e 185000 metri di dislivello positivo ed altrettanto negativi, posso andare a dormire sereno.

Giorno 61

Alle 5.45 le zanzare cominciamo a ronzare, così dopo un quarto d’ora a scacciarle, mi alzo. Il piede sta meglio. Sono costretto a mettere la felpa ed i pantaloni lunghi per non farmi pungere. Riprendo ancora tra rocce e sassi, ma via via ritorno su terreno buono. Le braccia sono ancora bruciate, cercherò un po’ di crema.

Guardo la mappa, cerco un posto dove potrei passare la notte e mi accorgo di un inghippo. L’anno scorso dal lago Santo al Passo a Cisa ho impiegato 2 giorni e mezzo, ma ho fatto i conti per una giornata e mezza ed ho cibo di conseguenza per questo tempo. Seguendo il chilometraggio dovrei farcela, resta un’incognita fino a probabilmente questa sera quando saprò dove mi fermerò. Giungo fino a San Pellegrino in Alpe, mi fermo solo per togliere le foglie dalle scarpe. Dei motociclisti si fermano per delle foto ricordo. Io riprendo per il passo delle Radici. Il sentiero è semplice, al Passo mi fermo per un po’ d’acqua e riprendo subito. Qui ci sono dei tratti in forte pendenza, ma è tutto ben segnato. Incontro anche alcuni del CAI che stanno mettendo dei nuovi segnavia, non mi era mai capitato. Sto seguendo lo 00 e in qualche punto c’è qualche salita impegnativa. Mi viene mal di pancia e mi fermo subito per scaricare, in poco tempo passa fortunatamente. Ora comincio un lungo traverso che sembra semplice e corto verso il passo di Lama Lite. Ricordo di essermi fermato a mangiare qualche squisito lampone, ora è ancora presto. È quasi mezzogiorno e la pancia sta già programmando il pranzo. La testa decide di aspettare e trovare un posto in piano ed all’ombra. Così nei pressi del rifugio della Bargetana mi fermo.

Le mosche ed i tafani non mi danno tregua così in fretta mi rialzo appena finito di mangiare e mi libero dalla pena. Il sole picchia forte ed io sono ancora scottato. Indosso la felpa per proteggermi, il vento aiuta a sopportare il caldo, in salita però è dura. Quando scendo dalla cresta e passo dalla parte non ventilata comincio a sudare, resisto fino al Passo di Pradarena, poi rientro nel bosco e posso evitare il forte sole. Quando ritorno in cresta nei pressi del monte Scalocchi il sole non sembra più così forte e mi permetto di restare senza la felpa. Fino a passo Belfiore il sentiero è veloce poi diventa più tecnico e devo stare attento a dove metto i piedi se non voglio farmi male. Dal Monte la Nuda scendo su un sentiero poco stabile e ripido, raggiungo il bivacco Rosario ma è presto per pensare di fermarsi purtroppo. Sono stanco e la testa pensa a quando riposerà finalmente. “Solo” 20 km mancano. Il sentiero rimane coperto di rocce granitiche offrendo poche parti in piano. Quando incontro la strada sono sono talmente stanco che non ne riesco nemmeno ad apprezzare la facilità di percorrenza e la  scorrevolezza. Rientro per un breve tratto del bosco a fianco la strada fino al Passo del Cerreto.

Oggi è dura andare avanti. Il sole mi offre ancora 2 ore abbondanti di luce e devo sfruttarle. Il primo tratto è in falso piano ed è un tratto turistico, un sentiero che va ad una fontana o per i più volenterosi fino alla Sorgente del Secchia. A me che in questo momento ho poca volontà mi tocca andare oltre. Appena comincia la salita compaiono i primi sassi a complicare la situazione per il mio piede. Con calma e dopo una bella salita arrivo alla sorgente del Secchia. Ci sono delle capre, i cani vengono subito per cacciarmi, non sono molto tranquillo.

Una volta passato mi lasciano in pace. Contino e trovo il pastore, non un uomo giovane e sembra stesse dormendo. È bravo a dormire con questo fresco e questo vento. Guardo le cime, vedo dove devo arrivare e sembra un infinità. Il sentiero non è in buone condizioni, ma mi accorgo di salire più in fretta del previsto. Alla forcella mi devo fermare per far riposare le gambe. I polpacci davano segnali come di crampi, il piede in alcuni momenti mi ha fatto male. La discesa non è da meno. Ripida ed ostica. Voglio smettere. C’è pure un bivacco dove passo, è nascosto dalla vegetazione, ma l’anno scorso sono andato a curiosare. Continuo solo perché so essercene un altro più avanti e mi incuriosisce un sacco. È il bivacco del rifugio Sarzana. Mi incuriosisce perché l’anno scorso ero entrato nel Rifugio è mi è parso accogliente e mi dispiaceva non fermarmi li nonostante avrei dovuto dormire nel rifugio in quanto periodo in cui era gestito.

Quest’anno ne ho l’occasione e non me la lascio sfuggire. Così trovo il coraggio di riprendere a salire questi altri 200m. Comincia ad alzarsi il vento e porta del refrigerio al mio corpo durante questa salita ripida. Non è un sentiero curato, c’è qualche segnavia vecchio, ma sufficiente. Mi stupisce vedere delle orme recenti, forse dei tizi incontrati al Passo Pradarena che sono passati di qui e mi avevano pure detto che avevano trovato il rifugio chiuso. Una volta a 1600m di quota il sentiero diventa praticamente in piano. Ci sono dei canaloni dove grandi massi granitici sono franati e complicano il passaggio. La stanchezza e la vicinanza al Rifugio non aiutano. Prima di andare al bivacco mi fermo alla fonte, tramite una breve deviazione, per recuperare acqua. Non c’è ne molta, ma attendo volentieri. Ormai sono arrivato. La vista del rifugio mi mette di buon umore. Passerò finalmente una notte al coperto. Chissà che riesca a dormire meglio. Al bivacco si accede dal retro tramite una scala. Entro e ci sono 5 posti letto con coperte e materassi ed è pure caldo all’interno. Mi chiudo subito e mi siedo nel letto nel quale ho deciso di passare la notte. Un controllo veloce ai materiali a disposizione della struttura rivelano del cioccolato bianco che da tanta muffa ha addosso è diventato cioccolato normale.

Mi rilasso, e sento delle zanzare ronzare, ma sembrano intontite. Mangio con comodo e massaggio il piede sinistro sperando gli faccia bene. Grazie al massaggio alle gambe scopro altre due zecche. Dispongo i cuscini nella parte dei piedi per dare uno spessore e dormire con le gambe alte. Mi infilo nel sacco e cerco di dormire. Fatico a trovare una posizione valida per i dolori alle anche poi prendo sonno senza accorgermene.

Finalmente mi sento la testa “sul sentiero” ed ho anche capito cosa vuol dire.

Giorno 62

Mi sveglio sperando sia presto, in realtà sono già le 5.50. Mi alzo e comincio a prepararmi. Mi ci vorrà un po’. Esco per i bisogni, fuori c’è vento e faccio bene ad aver messo la felpa. Quando rientro nel bivacco un odore caldo e stantio pervade l’aria. E pensare che è tutto merito mio.

Riparto solo alle 6.30 ed il sentiero è impegnativo nonostante in discesa. Giungo fino alla Diga del Lago Paduli e dopo un breve tratto di asfalto riprendo nel bosco tra gli uccellini che cantano. È un brutto sentiero che mi porta al Lago Squincio e poi al Lago Scuro, che definirei di più una Piana vista l’assenza di acqua. Subito dopo il lago Verdarolo e dal colore d’acqua deduco da cosa dipenda il nome. Solo scendendo a Prato Spilla il sentiero ritorna facilmente percorribile. La località è deserta, tranne per un muratore che viene a prendere acqua nello steso posto dove mi sono fermato io. Anche suo figlio ha fatto un viaggio in giro per l’Italia mi racconta con orgoglio. Dopo la chiacchierata riprendo in salita per recuperare il sentiero 00 ed il crinale. Inizialmente sassi sul sentiero ma fuori dal bosco ritorno su prati coperti da mirtilli ed il passo può essere ritmato. Salgo e scendo diverse cime. Dal Monte Sillara però il sentiero diventa di nuovo impegnativo, i prati lasciano lo spazio alle rocce. Alle 10.30 ho già fame e sono già stanco, infatti ho dovuto affrontare alcune salite, sebbene brevi, piuttosto ripide. Questo tratto è molto panoramico, nulla ostacola la vista. Alla mia sinistra la Toscana ed in fondo il mare, a destra L’Emilia, riesco anche a vedere la Pianura Padana.

Il monte Aquila presenta una salita più morbida, ma in discesa è ripido, poi mi aspetta il monte Aquilotto, impegnativo in tutti e due i sensi. Alla sella del Marmagna finalmente scendo dal crinale verso il Lago Santo Parmense, ma il sentiero si presenta come una strada rotta. Appena raggiungo il bosco mi fermo a mangiare, vorrei davvero fermarmi. Devo arrivare al Passo della Cisa invece per fare la spesa, o meglio arrivare li e scendere per fare la spesa. Nel riprendere passo vicino un ruscello e mannaggia a me, in quel momento non avevo sete. So che non avrei trovato acqua fino alla Cisa, ma pensavo sarebbe bastata quella che avevo. In salita al monte Orsaro (1831m) già ne sento le conseguenze cominciando ad avere sete. L’ultimo monte di questa elevatura fino alla fine della Liguria. La discesa dal monte si presenta facile, veloce e ripida.

Penso “Sto ritornando a quota zecche”, mi dovrò controllare. Al Passo del Cirone nemmeno mi fermo per andare dritto alla Cisa. La sete comincia a farsi sentire di più, sono di nuovo su cresta è ventilato, ma comunque caldo. Ci sono dei pascoli e quindi deve per forza esserci acqua da qualche parte, ma chissà dove. Mi sono bruciato ancora le braccia, più dietro dove ancora non c’ero riuscito e devo indossare la felpa aumentando la sensazione di caldo e la sudorazione. I segnavia scarseggiano e lasciano spazio a qualche dubbio. Controllo di continuo se verso valle vedo qualche fontana e finalmente vedo una ventina di mucche radunate vicino delle vasche. Scavalco la recinzione e mi ci dirigo.

Acqua c’è ma le povere mucche devono succhiare l’acqua dal fondo della vasca perché non riesce ad accumularne abbastanza. E per di più dove se ne accumula maggiormente ci sino dei grossi vermi verdi. Quando mi avvicino alla canna da dove esce l’acqua una delle mucche con la testa cerca di spostarmi il braccio, lo fa un altra volta. Capisco che anche per loro è difficile, con questo caldo e con le vasche in queste condizioni, restare idratate. Aspetto un attimo e con cautela ci riprovo, mi lascia fare. Non sono impaurite da me. Mi ricorda le scene viste nei documentari sugli animali in Africa nel periodo di siccità. Tutti uno a fianco a l’altro nelle pozze per bere.

Dopo aver preso un litro ritorno al sentiero, non dura molto l’acqua e ricomincio ad avere sete ancora prima del passo, ma manca poco e resisto. Quando rientro nel bosco tolgo la felpa perché mi sta davvero facendo caldo. So di una fontana al Passo, ma vedo un camper che sta per partire. Sembra vada in direzione di Berceto dove c’è l’alimentari più vicino. Mi avvicino al finestrino e chiedo se gentilmente mi offrono un passaggio. Sono francesi e lui parla un po’ di italiano. Mi chiedono che giro sto facendo e restano stupiti. Partiamo, bello fare i chiloetri così in fretta e l’aria che entra dai finestrini spalancati è un altra bella cosa. Sono veramente zozzo e mi sono seduto appena per evitare di sporcare. Mi lasciano poco fuori dal paese perché continuano in direzione diversa. Li ringrazio e vado all’alimentari. Faccio la spesa un po’ più abbondante rispetto al solito perché non vorrei avere un calo di energie. Faccio “amicizia” con il commesso e nella via per il passo mi mangio due banane e della altra frutta fresca che ho preso apposta da mangiare subito.

Arrivo al croce via di strade sulla principale che porta alla Cisa, mi fermo vicino in piazzale ed aspetto che passi qualcuno disposto a portarmi su. Dopo varie macchine una si ferma. E nonostante la sua tratta non prevede arrivare fino alla Cisa mi accompagna comunque per poi tornare indietro. Ritorno nel bosco e posso togliere la felpa. Ho deciso di arrivare ad un bivacco dove anche l’anno scorso ho passato la notte. Sarò al coperto e disporrò pure di acqua. Il peso dello zaino è aumentato, ma le gambe sono forti. Anche qui il sentiero è semplice, molti lo usano come pista per MTB o forse anche da cross. Nei pressi del monte Molinatico devo prendere una strada lunga in leggera discesa con quei sassi che tanto mi fanno innervosire. Salto da una parte all’altra per cercare il percorso più fluido e non è così semplice. Controllo costantemente i chilometri che mancano al bivacco. Oltre a sembrare interminabile, vorrei arrivare senza dover usare la torcia. Con sorpresa al Monte Croce di Ferro stanno facendo dei grossi scavi, forse per dell’eolico e quindi la strada è molto battuta ed i sassi e le rocce spariscono, così io posso procedere più sereno e veloce. Al Passo del Bratello mancano 2 chilometri per il bivacco. Mi dico “Dai che ci sei!”.

Così entro nel Bosco del Monte Cucco e faccio gli ultimi km. Il bivacco in realtà è 700m fuori sentiero, ma ne varrà la pena, ne sono certo. Arrivato alla porta, la apro e sembra tutto come lo avevo lasciato l’anno scorso. Poi guardando più attentamente, qualche piccolo particolare è cambiato come il calendario che riporta il mese giusto. Mi siedo sulla grande panca che userò come base del letto e comincio a vuotare lo zaino. Mi sono preso delle banane disidratate. Che buone. Le mangiucchio mentre consumo il resto della cena. Finita la cena continuo con le banane mentre controllo i sentieri dei giorni successivi, le tappe per i rifornimenti. Mi spingo fino a metà Piemonte. Ma non posso fare molti piani fino a quando non saprò quanti chilometri riuscirò a fare. In Piemonte comincerò le Alpi e di conseguenza i dislivelli saranno più severi.

Alle 23.30 mi accorgo di essere ancora sveglio, metto via il cellulare e dormo.

Giorno 63

Un sonno tormentato quello di questa sera. Nonostante il riparo non riesco a dormire tutto d’un fiato. Alle 6.20 sono in cammino, il sole sta sorgendo e uscendo dal bivacco la temperatura cambia, imboccando la strada forestale principale fa ancora più freddo. Ho fatto bene ad indossare la felpa. Bastava salire di qualche metro ed il freddo era  scongiurato. Il sentiero è trascurato, ma riesco a non farmi rallentare troppo. Appena comincio a salire tolgo la felpa per il caldo. Mi devo fermare subito dopo per un po’ di dissenteria. Si alternano tratti buoni ad altri meno buoni, addirittura sbaglio un tratto per mancanza di segnavia. La dissenteria continua, non so a cosa sia dovuta però.

Verso le 9 arrivo al Passo dei due Santi, non c’è anima viva. Cerco il sentiero che l’anno scorso non sono riuscito a trovare. Dei vecchi segnavia sbiaditi me lo indicano timidi. Si sale pressoché sulla pista da sci fino ad un impianto di risalita e poi si ritorna nel bosco. Le condizioni migliorano e lo riesco a percorrere di nuovo velocemente, in una della incontro l’AV (Alta Via dei Monti Liguri) che assieme alla GEA mi porta a Foce Tre Confini. Pochi chilometri ed avrò finito anche questo tratto. Come mi aspettavo, la seconda parte, da Pracchia in poi, mi è piaciuta di più nonostante i sentieri meno facili. In diversi momenti mi hanno ricordato le Alpi.

Nel bosco le temperature sono gradevoli anche grazie al venticello che ogni tanto si fa sentire. Arrivo a Foce Tre Confini alle 11 ed un altra regione è stata completata.

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